Si pente in cella il re della camorra

Napoli, il boss Carmine Alfieri ha deciso di collaborare con la giustizia Napoli, il boss Carmine Alfieri ha deciso di collaborare con la giustizia Si pente in cella il re della camorra A convincerlo a parlare sarebbe stato il luogotenente Usuo «impero» ha un fatturato di oltre 1500 miliardi PALERMO Le indagini sul presunto assalto alla Rai «Golpe» a Saxa Rubra arrestato un generale Con l'ufficiale presi due neofascisti Volevano attaccare anche il Quirinale NAPOLI. Fino a ieri era conosciuto come il camorrista più ricco d'Italia, con un fatturato di 1500 miliardi. In realtà Carmine Alfieri, il boss dei boss, l'uomo che secondo i pentiti aveva stretto un patto di alleanza con esponenti politici di grande rilievo, merita anche la qualifica di pentito. La decisione di collaborare con i magistrati l'avrebbe presa in carcere, dove è detenuto da due anni, dopo una trattativa estenuante proseguita per oltre tre mesi. Nei giorni scorsi il padrino originario di Nola è stato messo a confronto in una località segreta con un altro camorrista dissociato: Angelo Moccia, che di Alfieri è stato il rappresentante in buona parte del Napoletano. Che cosa sta dicendo il boss ai giudici dell'antimafia? Perché ha deciso di squarciare il velo di mistero che ancora avvolge i misfatti della malanapoli? Gli inquirenti non si pronunciano. Sembra tuttavia escluso che la scelta del pentimento sia da mettere in relazione con il proclama lanciato il sei febbraio scorso da don Antonio Riboldi, il vescovo di Acerra che annunciò l'intenzione di molti camorristi di arrendersi allo Stato. Sui motivi che hanno indotto il padrino a confessare, dunque, si possono azzardare solo ipotesi. La più attendibile por- PALERMO. Una spietata esecuzione di mafia è avvenuta ieri all'alba a Belmonte Mezzagno, paese di cintura. Padre e figlio sono stati assassinati da due killer poco dopo essere usciti da casa, diretti al loro piccolo allevamento di bestiame. Le vittime sono Giuseppe e Giovanni Tumminìa, di 50 e 25 anni. I sicari li hanno inseguiti sparando a bruciapelo numerosi colpi di fucile e pistola. Il padre era stato condannato per associazione mafiosa alla fine del'87 nel primo maxiprocesso alla mafia, principalmente sulla base delle accuse che gli erano state rivolte dal pentito Salvatore Contorno che l'aveva indicato come uno dei più temibili boss del paese. Giuseppe Tumminìa fu quindi arrestato nel 1985 e considerato uno degli affiliati al clan di Belmonte Mezzagno che fu tra i primissimi ad allearsi con quello di Totò Riina. [a. r.] ROMA. «Generale Romolo Mangani, lei è in arresto». L'inchiesta sul presunto golpe - con tanto di assalto a Saxa Rubra - è arrivata a una svolta. Si trovano dall'altro ieri in carcere l'ex generale dell'Aeronautica Romolo Mangani, già coinvolto nell'inchiesta sulla strage di Ustica, più altri due presunti golpisti, Ambrogio Tagliente, 53 anni, e Marcello Perfili, 39 anni, due neofascisti. I giudici li interrogheranno oggi. Un quarto ordine di custodia cautelare è stato notificato in carcere a Giovanni Marra, un calabrese di 35 anni, pilota dell'Ati, estremista di destra. Per tutti, l'accusa è di «cospirazione politica». Proprio Marra avrebbe confermato ai giudici un particolare che li ha portati ad emettere l'ordine di cattura per il generale Mangani. Da intercettazioni e accertamenti della Digos sono infatti emersi legami tra Mangani, oggi titolare della società di materiale sofisticato Sonix, e i presunti golpisti. A novembre il nome del generale, apparve nel registro degli indagati, ma lui negò ogni coinvolgimento. «Conobbi Marra disse - un paio di anni fa e mi chiese una consulenza a proposito di un'attività di trasporti con aerei cargo che lui voleva intraprendere. Ma non so nulla del progetto di assalto a Saxa Rubra che lui voleva mettere in atto». Con i nuovi arresti, quello che sembrava un golpe da operetta Carmine Alfieri, il re della camorra, si è pentito si, camorristi e uomini della 'ndrangheta. Alfieri esce indenne da numerose vicende giudiziarie, tra le quali il processo per la strage di Torre Annunziata (otto morti e decine di feriti) avvenuta nell'84 e di cui Alfieri è ritenuto il principale mandante. Condannato all' ergastolo in primo grado, Alfieri viene tuttavia assolto in appello. L'unica pendenza giudiziaria fino all'arresto è costituita da una ordinanza cautelare per associazione camorristica emessa a conclusione delle indagini sulle attività della malavita organizzata nel nolano. Alfieri all'inizio degli Anni 80 è uno dei promotori della «Nuova famiglia», il cartello di clan che si oppone alla Nuova camorra organizzata di Raffale Cutolo. Dopo la sconfitta dell'organizzazione cutoliana, all'interno della nuova famiglia si sviluppano forti contrasti che portano Alfieri a schierarsi con Antonio Bardellino e altri boss di primo piano, contro la fazione capeggiata da Lorenzo Nuvoletta. Il suo primato nel «ghota» della criminalità organizzata è sancito dallo studio di un settimanale che colloca la sua organizzazione in testa, per volume di affari, ad una classifica che comprende le imprese di mafio¬ Fulvio Milone sembra prendere consistenza. Un piano apparentemente inverosimile, venuto alla luce in maniera rocambolesca: uno dei congiurati si confidò con un giornalista-editore di Trento, Eugenio Pellegrini, che lo convinse a mollare i suoi compari. I due prima registrarono tutto. Poi denunciarono i fatti alla magistratura. E l'Italia apprese con sconcerto che un gruppetto di estremisti, nel pieno infuriare di Tangentopoli, stava pensando a un golpe. Sì, un colpo di Stato vecchia maniera. Roba da Paese equatoriale, con un tocco alla James Bond per via delle armi supersofisticate che gli «esperti» avrebbero utilizzato: elicotteri d'attacco sovietici, importati come velivoli civili e poi riarmati; bombe a base di gas nervino, o al neutrone, per espugnare rapidamente i ministeri, il Parlamento e anche il Quirinale; mercenari armati fino ai denti, per impadronirsi dei centri nevralgici del potere. Mangani, da ufficiale dell'Aeronautica, fu chiamato a testimoniare su Ustica: da responsabile del centro di Martina Franca, avrebbe dovuto sapere tutto quanto avveniva #nei centri radar di Marsala e Trapani. Cioè, a quanto risulta dall'inchiesta, il marasma di quella notte. E invece lui negò sempre tutto. Francesco Grìgnetti