L'ultima battaglia di una donna sola

L'ultima battaglia di una donna sola L'ultima battaglia di una donna sola // male oscuro diJackie 0, tra gloria, miliardi e tradimenti ste di libri, perché il maquillage giornalistico politico che per decenni ha coperto il volto di questa donna infelice e gelida, vanesia e raffinata, colta e scialacquatrice cominciasse finalmente a cadere. Oggi, mentre cattive notizie arrivano sulla sua salute, non ci sono più lobbies, più press agents, più imperativi politici a nascondere la sola verità sicura sulla vita di Jacqueline, quella di un'estrema, incurabile solitudine che neppure la gloria di Jack Kennedy, i miliardi di Onassis, o l'affettuosa compagnia del suo ultimo amico, il re dei diamanti newyorkese Maurice Tempelsman, hanno mai potuto guarire. Certamente, «Jackie O», come la battezzarono i giornali dopo il matrimonio con «Ari» Onassis di cui ancora porta il nome perché ne è la vedova mai risposata, non è la sola donna ad avere sofferto il male divorante della solitudine. Ma la scala, la dimensione delle sue gioie e delle sue sofferenze, delle passioni e delle curiosità che questa donna ha suscitato ne hanno fatto un personaggio sovrumano. Anzi, disumano. Molte donne, molte mogli hanno dovuto patire tradimenti. Ma quante hanno dovuto subire l'umiliazione di quel 29 maggio 1962, giorno del quarantacinquesimo compleanno del marito, quando al Madison Square Garden di New York, davanti a 25 mila spettatori e alle telecamere, Marilyn Monroe cantò con la sua più miagolante «voce da letto», un pubblico «Happy Birthday» al Presidente che avrebbe agitato i lombi di un morto. Poteva Jacqueline, che rifiutò di par- tecipare alla festa, non sapere quello che sapevano tutti, di Marilyn e di «Jack» Kennedy, di Jane Mansfield e di Kennedy, di Judith Campell, la «squinzia» della Mafia e di Kennedy? Sapeva, sapeva. E poteva non sapere, la «First Lady» che dedicava il suo tempo al restauro della Casa Bianca, alle crociere sul fiume di Washington, il Potomac, per i capi di Stato stranieri accompagnati dal violino di Isaac Stern, che proprio quel 20 gennaio, alla festa dell'insediamento con il caviale di Kruscev, il marito e il cognato Peter Lawford scommettevano tra loro su chi A sinistra Jacqueline con Aristotele Onassis A sinistra la Monroe, sopra la Callas Pronta a spendere migliaia di dollari per lo shopping a Roma e a Parigi ora lavora in una casa editrice avrebbe per primo «infilzato» una donna nello storico lettone di Abramo Lincoln alla Casa Bianca, mogli, s'intende, escluse? (Vinse, per la cronaca, il Presidente). Ma se lei, di certo, sapeva, noi non sospettavamo che la Jackie fredda e impettita sotto il suo cappellino di visone, nella tribuna all'aperto dalla quale il marito annunciò al mondo «il passaggio della torcia a una nuova generazione di americani» era una donna tormentata dal dolore. Dolore fisico, lasciato da un difficilissimo parto cesareo che appena 7 settimane prima del 20 gennaio le aveva lasciato ferite profonde, per mettere al mondo John John. Lei sapeva, ma non parlava. Noi, il pubblico, sospettavamo, ma preferivamo non sapere, perché Jackie era «il volto della speranza», come disse la femminista Gloria Steinem, in quei primi Anni 60. E proprio come nel volto di una madonna profana, ciascuno poteva leggere nel viso nobile e un po' fisso, da icona ortodossa, le speranze e le illusioni che preferiva. Jackie era l'ultima casalinga, l'ultima «madre-amante-sposasorella» di un'America che stava per inventarsi altri modelli per le donne. Affettuosa e perfetta, in apparenza. Dol¬ ce e sempre al fianco del «suo uomo», nelle immagini pubbliche. Testolina svagata e spendacciona, come le mogli delle barzellette maschiliste, capace di fare una capatina da Bloomingdale's a Manhattan e ordinare cento - la cifra è ufficiale - paia di scarpe, di entrare da Hermes a Parigi e uscirne con tutta la collezione di foulards. O di convocare d'urgenza Valentino al Plaza Athénée di Parigi, il giorno dei funerali di Onassis, perché non aveva «niente di nero decente». Nel 1961, il primo anno come First Lady, spese 105.446 dollari e 14 centesimi in «shopping», nel 1962, dopo aver promesso al marito presidente che le faceva scenate pubbliche di mettere un freno ai suoi acquisti, ne spese 121.461 e 61 centesimi, più dell'appannaggio annuale presidenziale, che era allora di 100 mila dollari. Una donna-bambina, dunque, esasperante, capricciosa, vana, bella, come vorrebbero gli antichi miti maschilisti. Ma nel risvolto, una donna dura, calcolatrice, decisa a controllare al massimo la propria esistenza, le proprie scelte, come vorrebbero i nuovi miti femministi. Quando il «clan Kennedy» la implorò, tento di ricattarla per impedirle di sposare «Ari» Onassis, che lei in privato chiamava «il mio rospone», non ci fu nulla da fare. «Non farò tutta la vita la vedova Kennedy», disse asciutta a Ted, il senatore, e alla sua confidente, Mary Barelli, sussurrò: «Ari è il solo uomo che ancora mi ecciti sessualmente». Ma quando Aristotele Onassis riprese la sua vita di insaziabile collezionista di miliardi, di controversie, di

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