Alba dì guerra in Bosnia la Nato attacca di Enzo Bettiza

E' il primo duello aereo in Europa dal '45. Mosca protesta, ma non condanna il raid E' il primo duello aereo in Europa dal '45. Mosca protesta, ma non condanna il raid Alba dì guerra in Bosnia, la Nato attacca Gli F16 americani abbattono quattro caccia serbi DA OVEST SI STRINGE LA MORSA Gli uomini senza orecchie QUESTA prima operazione militare della Nato nei cieli della Bosnia si è svolta su uno sfondo politico estremamente delicato e complesso sia sul piano regionale che su quello internazionale. Malgrado le reticenze dei governi di Belgrado e di Pale, non possono esservi molti dubbi sull'identità dei quattro aerei da combattimento sorpresi e abbattuti dagli F-16 americani. I cacciabombardieri, di produzione ex jugoslava, sono finiti insieme con la quasi totalità dell'equipaggiatissimo arsenale ex jugoslavo nelle mani dell'armata serbo-montenegrina, la quale, a sua volta, ne ha dato una parte cospicua in dotazione «autonoma» all'esercito serbo-bosniaco di Karadzic. 1 croati, tranne qualche elicottero o qualche caccia, non possiedono ancora una vera aviazione da guerra, mentre le formazioni musulmane ne sono completamente prive. La reticenza serba sull'identità degli aerei colpiti si spiega con due ragioni, una psicologica e l'altra politica. Da un lato le autorità di Belgrado e di Pale, che hanno sempre sprezzato l'efficacia e la credibilità degli ultimatum occidentali, evidentemente non vogliono demoralizzare il fronte interno serbo ammettendo che le loro forze hanno subito in una settimana due rovesci, prima col ritiro delle artiglierie dalle colline di Sarajevo e ora con l'abbattimento istantaneo di ben quattro aerei impegnati in operazioni belliche. Il mito dell'impunità serba, su cui Belgrado ha puntato le carte della sua martellante propaganda per rassicurare e galvanizzare le masse coinvolte nella guerra, deve essere protetto dal dubbio e dalla critica dei pacifisti interni. Da un altro lato, Milosevic e Karadzic desiderano minimizzare e sdrammatizzare il doppio smac- Enzo Bettiza CONTINUA A PAG. 4 SETTIMA COLONNA SARAJEVO. La cronaca del raid Nato nel cielo della Bosnia dura solo 28 minuti, dalle 5,31 alle 5,59 di ieri mattina. Quattro «F-16» americani intercettano sul cielo di Banja Luka sei «Jastreb» serbi, che stanno sorvolando la zona in aperta violazione della fascia di non volo. Ai caccia viene intimato per due volte di atterrare o di uscire immediatamente dallo spazio aereo, altrimenti saranno attaccati. Gli «F-16» non ricevono risposta. A questo punto, partono i missili aria-aria. In rapida successione, quattro jet serbi vengono abbattuti, mentre due riescono a fuggire. «Il combattimento sui cieli della Bosnia non è stato in alcun modo provocato dai caccia americani, né apre la porta a nuovi raid, ma è una nuova conferma che la Nato fa sul serio», ha commentato ieri con i giornalisti Bill Clinton. La Casa Bianca ha sottolineato che l'incidente non costituisce un passo indietro sul sentiero della pace in Bosnia: «Semmai - ha osservato il vicepresidente Al- bert Gore - ne migliora le prospettive». Approvazione è arrivata anche dal ministro della Difesa russo Pavel Graciov che da Oslo, dove si trova in visita, ha dichiarato che l'attacco della Nato dimostra che «chiunque violi la zona di non volo sarà punito». Graciov ha poi aggiunto: «Non credo che questo condurrà a un'escalation del conflitto». Anche il ministro degli Esteri russo, Andrei Kozyrev, ha rilasciato un comunicato conciliante: «Qualsiasi delle parti abbia compiuto voli militari sulla Bosnia, in violazione delle risoluzioni delle Nazioni Unite, deve assumersi la piena responsabilità di ciò che è accaduto». Soltanto il capo dell'ufficio stampa della Presidenza russa, Anatoli Krasikov, aveva detto poco prima che il Cremlino «lamenta l'accaduto, perché la Russia lavora nella direzione di un accordo pacifico nell'ex Jugoslavia». Chiesa, Di Robilant, Mitene Squillante e Zaccaria ALLE PAG. 2 E 3 Tre dei caccia «F16» dell'aviazione mili itare americana che hanno abbattuto i 4 jet serbi sorpresi nella «no fly zone» ISOFIA N morte di Stefan Miroslavov detto «la pera» o anche «il frescone» c'è stato a Lovetche, cittadina bulgara di centomila abitanti, un funerale molto strano, con un corteo di uomini tozzi, ancor giovani, quasi tutti con grumi di carne al posto delle orecchie. Stefan era un lottatore famoso, in un Paese dove la lotta, sia grecoromana che libera (prese solo sopra la cintola, prese senza restrizioni), è il primissimo degli sport, e dove chi - dotato - non diventava campione olimpico o mondiale era un traditore della patria. Gli uomini tozzi, con le orecchie ridotte così dal lungo contatto con le braccia dell'avversario che ti serra la testa, sono stati molto scortesi con i giornalisti, e sono riusciti a impedire le riprese televisive. La moglie e i due figli hanno potuto piangere il morto in relativa tranquillità. Qualche giornale è però andato a fondo nella storia del «frescone», che era magari tale sulla materassina, dove non era andato oltre al bronzo nel campionato europeo di lotta grecoromana 1988, ma non nella vita, nella nuova vita, dove era titolare di una delle più grosse agenzie bulgare di guardie del corpo, per fornire ai nuovi ricchi di Sofia, ai capi di una mafia russa o italiana o tedesca che si trasferiscono in Bulgaria, uomini forti, allenati. Miroslavov ufficialmente era titolare di un export-import di petrolio. Ma il suo vero lavoro era quello di assumere e smistare ex lottatori ed ex pugili per lavoretti sporchi nella società del nuovo corso, del liberismo sregolato, del crimine emergente. Al suo funerale molti piangevano perché temevano la disoccupazione. Il «frescone» è stato ucciso di notte, dalla pallottola di un fucile a raggi infrarossi. Si sospetta un killer russo, un reduce dall'Afghanistan, un tiratore scelto dell'Armata Rossa: ha mirato alla testa, ha sparato bene. Sembra che questo signore sia sempre sulla piazza, costa centomila dollari fargli uccidere qualcuno. Gli amici di Miroslavov lo stanno cercando, sognano di ucciderlo strangolandolo, con una presa mortale di lotta. La polizia non può fare nulla, è sprovveduta, per troppi anni il regime l'aveva abituata a operazioni facili, contro dissidenti tremebondi. Al massimo la polizia ha potuto condurre indagini sul passato del morto, scoprendo che la sua agenzia si occupava anche di estorsioni, ricatti, rapine. Comunque la polizia ha ucciso, in un conflitto a fuoco, Ivan Guinov, lottatore amico di Miroslavov, campione bulgaro di lotta libera, altro titolare di agenzia di guardie del corpo. Ma c'era stata una soffiata, e infatti quelli di Guinov hanno poi sparato nelle gambe ad alcuni di una agenzia rivale, quasi tutti ex pugili ed ex judoka e karateka. Adesso si aspetta il prossimo morto importante, sicuramente un atleta che ai tempi del socialismo reale era additato come esempio per i giovani e che la line del regime ha sbattuto sulla strada. Sì, perché quella è stata anche la fine dello sport di Stato, di stipendi e carriere legati ai successi sportivi esaltanti il regime, di cibo ottimo e abbondante, di pillole per far gonfiare i muscoli, di auto, alloggi, viaggi all'estero con contrabbando per far dollari. In tutto l'Est europeo ci sono storie tragiche alla Miroslavov. Storie di cocchi belli del governo ora disoccupati, di «fresconi», a centinaia, tozzi, le orecchie che sono polpette, il naso schiacciato dai pugni.