Spaventa, la virtù dell'antipatico di Filippo Ceccarelli

Spaventa, la virtù dell'antipatico IL PALAZZO Spaventa, la virtù dell'antipatico TTACCA, Cu.jo!», che il ministro Spaventa non vuol essere importunato dai giornalisti. E prima o poi, certo, bisognerà pur fare un discorsetto sui cronisti invadenti, inopportuni, stolti e massimamente ignoranti. Tuttavia, nel frattempo, vale la pena di soffermarsi su quell'evidentissima leggenda metropolitana secondo cui, in data e luogo imprecisati, il candidato progressista avversario di Berlusconi nel primo collegio della capitale avrebbe aizzato e quindi lanciato il proprio dobermann contro un disgraziato operatore dell'informazione. Con ogni probabilità la storiella è finta. Sicuramente vera e ben certificata è invece la battuta di Luigi Spaventa a chi gliene chiedeva conto: «Potrebbe essere una buona idea». E proprio qui, nella rispostina perfidamente compiaciuta, in questa mirabile rivendicazione - ah, non ci avevo pensato! - tanto più pretestuosa quanto più gratuita, ecco, proprio qui, assai più che nel mito belluino e quasi dantesco del giornalista azzannato c'è tutto il professor Spaventa: antipatico per eccellenza e per virtù, antipatico per natura e forse anche per scelta. L'antipatico, appunto, del collegio Roma 1 che deve vedersela con l'amabilità cattolica e ye-ye di Michelini e con i sorrisoni gioiosi e artificiali del Berlusca. Rispetto a questi due campioni di simpatia obbligatoria, modernizzante, ansiosamente seduttiva e televisivamente adulterata, il progTessista Spaventa appare senz'altro sincero, ma ancora di più lo appare grazie a questa sua antipatia che quasi scavalca i confini della relatività, del gusto soggettivo, individuale, e che, in epoca di personalizzazione sempre più spinta, finisce per assurgere a categoria politica e perciò anche a metro di giudizio. Un'antipatia che a prima vista si potrebbe classificare nel genere saputello-spocchiosetto, tipologia accademico-professorale, ma che risulta più acuta e fulminante che in Amato o Andreatta. E quindi, tesse I acuta e fulminante che in I Amato o Andreatta. E quindi, i o o o a a a e i ù i e a r e l n i i a , ù a l ù n allargando il campo, più universale che in Visentini, antipatico aristocratico; più secca che in Martelli, antipatico strategico (simpatico cioè solo quando serve); più incessante che in De Mita, antipatico saltuario; più borghese che nella Boniver, infine, antipatica snob, o in Speroni, antipatico popolaresco. Ed è come se Spaventa emanasse qualcosa di profondo e per certi versi inesprimibile, la timidezza che si invoca sempre in questi casi, o chissà, un fluido di rabbioso e forse pure travagliato perfezionismo, un'insofferenza da formalismo britannico costretto in una Roma scettica, miserabile, accattona. Un'antipatia completa, comunque, fatta di cervello, cuore, gesti e posture, la testa alzata di chi guarda dall'alto, il vestito perfettino, i colletti della camicia inamidati come quelli del primo della classe dei disegni di Novello. Un'antipatia - ecco il punto - fenomenale, e perciò vera, da cogliere nei suoi aspetti più autentici, perfino benefici, e da sfruttare nella sua ragionevolezza. Soprattutto se si pensa che il professore, oltre che amico dei dobermann (ma Jerry I e Jerry II sono defunti e ora c'è il bastardino Sandy) è un uomo sicuramente onesto, un economista preparatissimo, un parlamentare diligente e ora anche un buon ministro. Intransigente soprattutto con se stesso per poterlo poi essere con gli altri: nel caso specifico con due sospetti simpaticoni come Michelini e Berlusconi. Fortunata l'epoca, dopo tutto, in cui un candidato si deve solo votarlo. E non passarci le vacanze insieme. n I I I Filippo Ceccarelli §

Luoghi citati: Novello, Roma