Vivere con la Bibbia e il facile

ALLE RADICI DELL'ODIO Vivere con la Bibbia e il facile Nella città-bunker del medico assassino ALLE RADICI DELL'ODIO KIRYATARBA DAL NOSTRO INVIATO Israele ha vissuto un altro giorno di guerra totale, con morti e feriti dovunque. Si è sparato e ucciso anche dentro una moschea, nuovamente; i morti sono 5, un centinaio i feriti. E Meir Kahar, che è un bimbo biondo, alto poco più d'un metro, ieri diceva che in questa guerra vuole un fucile anche lui. Le guerre della nostra (tele)coscienza quotidiana hanno ormai solo le facce grigie dei bimbi massacrati dalle pallottole, o gli occhi sgranati dei loro piccoli compagni che sopravvivono dentro il teleschermo. Sono le vittime innocenti di un sacrificio rituale. Meir il biondino è però diverso, la sua guerra non sta dentro la televisione. E se Sarajevo ormai vale come Beirut, Mostar, Kabul, Mogadiscio, o un qualsiasi altro posto di morte, tutti uguali, questo Kiryat Arba dove il piccolo Meir d'Israele vive e chiede il fucile è un'altra cosa. Kiryat Arba, 8500 abitanti, la più importante colonia israeliana nei Territori Occupati, è infatti il mondo visto da dietro un alto recinto di metallo, una rete che corre tutt'attorno alle case, all'ufficio postale, alla scuola, al bar di David Elitzur, alla drogheria di Gary Leummi, e divide quelli che stanno dentro, da tutto il resto del mondo. Il fucile per Meir serve ad ammazzare questo «resto del mondo», che ha la faccia araba e fa la guerra dall'altra parte del recinto. Se non fosse per questa sua alta rete di ferro, che è come una frontiera invalicabile dello spirito, Kiryat Arba potrebbe anche sembrare una sorta di Milano Due orientale, con le sue case basse di pietra bianca, i viali lindi e tranquilli, la pinetina, i giochi per i bimbi. Ma la gente che ci cammina ha sempre il mitra in spalla, o la pistola alla cintura; anche i ragazzi in braghe appena lunghe, anche i papà che spingono le carrozzine con i neonati. Hebron è quasi dall'altra parte della rete, sta dietro la curva dello stradone; e il dott. Baruch Goldstein, che a Hebron ha massacrato una cinquantina di palestinesi e scatenato questa guerra totale, era un abitante di Kiryat Arba. Stava nella palazzina n. 306, al terzo piano; un suo figlio era anche compagno di scuola di Meir il biondino. La guerra della gente di Kiryat Arba sta tutta nella paura di un futuro che all'improvviso si mostra avaro. «Siamo venuti qui perché il governo ce lo ha chiesto e ci ha dato i soldi per venirci a fare una vita», grida la signora Annette Arhel, che parla francese ed è moglie del direttore della posta. «Ora invece ci vuol mandare via, o vuole che andiamo in giro senza le armi per difenderci. Ma noi ebrei abbiamo solo questa terra, mentre i palestinesi hanno 32 Paesi arabi dove potere andare. No, da qui noi non ci muoviamo; se sarà necessario ci moriremo anche». Ritorna la disperazione antica della diaspora, il governo e i palestinesi diventano la nuova faccia di una storia che ha memorie assai lontane. La signora Annette grida e piange, ha un impenneabi- lino povero, tenuto da una vecchia cintura; il marito le dice in ebraico di calmarsi, e la ripara sotto un piccolo ombrello scassato. Se ne vanno nella pioggia sottobraccio, come due figure di un cinegiornale in bianco e nero, di quando il Terzo Reich stava ancora dietro un angolo di futuro. Ma Kiryat Arba è un universo dell'oltranzismo ortodosso. I non conformisti sono pochi, rari, hanno vita difficile. Yigall Zahot, che vede arrivare dall'altra parte della rete qualche straniero curioso, scrive allora velocemente un cartello che dice: «Non tutti siamo per la violenza. Bisogna imparare a vivere in pace»; ma glielo strappano via, lo spintonano. Lui spiega e grida forte, ha 26 anni, un figlio di 2 «e voglio che viva senza più paura»; grida e le mani gli tremano dalla tensione. Quando vuole andare a far pipì nel cesso del baretto di David Elitzur, quella barbacela nera nera gli dice di no e lo scaccia via. «Io voglio bene a tutti, italiani, americani, russi, inglesi. Ma gli arabi no, il posto degli arabi è 14 metri sottoterra», spiega David e con la mano fa vedere il buco che lui scaverebbe nel pavimento, sotto il forno dove gira lo spiedo profumato del kebab. La gente che sta lì a farsi il panino caldo ride e approva. Yigall torna al freddo di fuori, con la sua pipì che non ha potuto fare perché lui non è di quelli ai quali si può voler bene, a Kiryat. A fondare la colonia era stato il rabbino Moshe Levinger, che aveva perfino forzato il governo nella politica di «riconquista» di Giudea e Samaria. Introvabile fino a ieri, diffidente di qualsiasi giornalista («Vogliamo un curriculum dell'intervistatore, la posizione religiosa del suo giornale, le domande scritte, il controllo sulla pubblicazione delle risposte» era sempre la frase delle sue guardie del corpo), ora che la guerra si è fatta totale e che Kiryat Arba è davvero in pericolo, il vecchio rabbino si fa anche incontrare per strada e risponde piano, disponibile, indifferente alla piogga che ci lava. «La colpa è soltanto del governo, incapace di tenere un ordine» (lui in realtà dice «silence», in una difficile ricerca della parola inglese, ma pare una sua traduzione incerta della parola ebraica «sheket», che vuol dire anche «disciplina» e «quiete»). «Qui ci vuole ordine, e l'ordine arriverà, tra qualche tempo, forse alcuni mesi, forse un anno». Giusto il tempo di finire la guerra con i palestinesi, dice. E intanto, da Jaffa ancora fino a Gaza e fino all'estremo Sud del deserto di Bersheva, oggi non c'è più un solo pezzo d'Israele che non sia travolto da questa guerra. Si combatte dovunque, le pietre contro i fucili e le bombe lacrimogene; e anche ieri i morti e i feriti. Le città e i paesi dei Territori Occupati sono stati, anche ieri, un paesaggio tragicamente privo di vita, nessuno nella strada, non una finestra o una porta aperta verso la strada. La pace, o meglio la speranza di pace, si va consumando: il governo pare incapace di affrontare il cuore del problema; tra i palestinesi c'è una rabbia disperata e una delusione tragica tra i loro leader. «Un milione di arabi non valgono l'unghia del mignolo di un ebreo»: così ha parlato il rabbino Yacov Perrin ieri ai funerali di Goldstein. Un migliaio di persone ha reso l'ultimo omaggio al medico immigrato dagli Usa. «Baruch Goldstein: nazareno, sant'uomo, eroe, giusto»: così ha detto un uomo che ha parlato davanti alla bara nella sinagoga di Kiryat Arba. A Gerusalemme, durante la veglia funebre, dalla folla qualcuno aveva gridato «siamo tutti Goldstein». Mimmo Candito JOUNIEH Bomba esplode nella chiesa della Madonna del Parlo, almeno 10 i morti e 60 i forili • BEIRUT ■ I I IP» A SIDONE Il fratello di un allo funzionario dei servizi di informazione dell'Olp è sialo assassinalo da un commando armato BEIRUT Rubano UBANO MERIDIONALE Guerriglieri hezbollah hanno attaccalo con mitragliatrici e razzi le postazioni della milizia filoisraeliana «Esercito del Ubano del Sud»: quattro integralisti sono rimasti uccisi MAR MEDITERRANEO CISGIORDANIA Un palestinese è stalo ucciso dai mi liìari i JAFFA Disordini alla periferia di Tel Aviv e nei villaggi arabi di Kfar Kassem e Tira: qui un dimostrante ha accoltellato un ufficiale di polizia GAZA Due dimostranti palestinesi sono stali uccisi negli scontri con l'esercito israeliano hanno sfidato il coprifuoco per inscenare una protesta VILLAGGIO DI RABAT Un beduino israeliano è stalo ucciso e Ire feriti durante una manifestazione di protesta In alto soccorsi a un ragazzo palestinese ferito durante scontri con ' l'esercito A lato i funerali di Baruch Goldstein il killer di Hebron Il rabbino al funerale «Un milione di arabi non vale la tua unghia»