In un luogo dove l'orbo è re di Monica Bonetto

In un luogo dove l'orbo è re Applausi per «Il paese dei ciechi» con protagonista Nino D'Introna In un luogo dove l'orbo è re Va in scena sino a questa sera al Teatro Araldo Ci sono storie, poche a dir la verità e dunque tanto più preziose, che penetrano così profondamente nell'anima da non potervi rimanere rinchiuse e sonnecchianti. Premono con urgenza per essere condivise, per essere narrate con la stessa passione che hanno provocato in chi le ama. E' questa la forte motivazione che legittima e sostiene Il paese dei ciechi, spettacolo rappresentato venerdì al Teatro Araldo e che resterà in scena sino a questa sera. Nino D'Introna, autore, regista e unico interprete, ha covato per molti anni il desiderio di realizzarlo, indeciso sulle scelte stilistiche da attuare, ma convinto della necessità della rappresentazione. Una sincerità di intenti e un coinvolgimento emotivo che si avverte nitido e di cui il pubblico in sala non può non essergli grato. Perché «Il paese dei ciechi», trasposizione scenica di un omonimo racconto dell'inglese Herbert George Wells, è una storia narrata e agita in prima persona. E' abitata sulla scena con il conforto di una musica trascinante e struggente (di George Fenton e Jonas Gwangwa) e con le suggestioni fortemente evocative di una penombra squarciata di continuo da tagli di luce (a cura di Andrea Abbatangelo). Un gioco di chiaroscuro che ben si addice alle vicende narrate dal protagonista, capitato un giorno in un luogo isolato dal resto del mondo, dove gli uomini da generazioni hanno perso l'uso della vista. Le case, dipinte dai colori più inconsueti, sono senza finestre e gli abitanti hanno palpebre chiuse e arrossate; si muovono tuttavia con singolare levità e hanno gesti rassicuranti. «Nel paese dei ciechi l'orbo è re»: una diceria sentita chissà dove, una speranza che si fa strada nella mente dell'uomo ma disattesa fin dai primi contatti con quegli strani ospiti, la cui grave menomazione è divenuta straordinaria sensibilità, forza, saggezza. La sicumera dello straniero non può che stemperarsi nella goffaggine, la sua facoltà di vedere ciò che gli altri hanno imparato ben più intensamente a «sentire», diventa impaccio; le sue descrizioni di un mondo diversamente avvertito, appaiono deliri visionari di una mente non ancora perfettamente formata. Come sacrificio d'amore la ragazza di cui si è innamorato gli chiederà dunque di liberarsi dei suoi occhi, inutili orpelli e invalicabile barriera tra loro due. Non sveliamo la fine. Vi consigliamo invece di andare a vedere e sentire di persona con quanta grazia si può narrare una storia. Questa sera, alle 21,15, al Teatro Araldo. Monica Bonetto

Persone citate: Andrea Abbatangelo, George Fenton, Herbert George Wells, Jonas Gwangwa, Nino D'introna