SE I DEMONI RITORNANO IN ISRAELE di Barbara Spinelli

77 lungo viaggio del Patriarca SE I DEMONI RITORNANO IN ISRAELE di colpa per essere sopravvissuti ma non vergogna totale, quella che fa desiderare la propria scomparsa. Israele da questo punto di vista è una nazione eccentrica, in Occidente: non sono frequenti i popoli che ancora credono nella bontà naturale della natura umana, che hanno su se stessi una visione provvidenziale, positiva. Che ancora sono fedeli all'ottimismo antropologico di Rousseau. La convinzione che l'ebreo in quanto popolo sia spontaneamente buono è costitutiva di Israele, su di essa è fondata la nazione, e la coscienza che quest'ultima ha della propria storia: storia lineare, che conosce dolore e annientamenti ma non precipizi subitanei nel proprio errore. Non è semplice disfarsi di questa coscienza perché ad essa è collegata l'idea della Elezione: della particolare destinazione di un popolo, di una terra, di una religione. Aprirsi alla tragedia vuol dire introdurre un dubbio in questo edificio di certezze, e di fede: forse la religione è eletta ma la terra no, forse è eletto il popolo e la nazione meno. La tragedia disgrega, frantuma, introduce nella storia vera, non provvidenziale. «Un dono ho ricevuto: un dono funesto della patria per averla salvata», dopo aver fondato Tebe, Edipo scopre se stesso, e una storia di colpe: «Soltanto agli Dei non giunge né vecchiezza né morte. Le altre cose, il tempo le confonde. A chi prima, a chi dopo, le cose care si fanno dolorose, e care le dolorose». L'incrocio tra Israele e Sofocle può dare le vertigini, mette in questione non solo l'Elezione, ma l'esistenza stessa di Israele. «La mia sventura: questa di vivere»: tale è l'abisso tragico che Israele lo guarda con prudenza, Rabin ammette la vergogna ma parla poi di uno psicopatico, che da solo avrebbe ucciso 52 uomini e ne avrebbe feriti 256. Altri, come il filosofo Assa Kasher interrogato da Fiamma Nirenstein su questo giornale, dicono che un religio¬ so non potrebbe mai uccidere uomini in preghiera, che può farlo solo chi è spregiudicatamente laico, nazionalista. Purtroppo può ammazzare chiunque, anche un religioso. Non un religioso che si sottomette al giogo della legge e osserva i Comandamenti ma certamente un folle di Dio, un hezbollah ebraico, un fondamentalista che crede, totalmente, nell'Elezione. Che non distingue fra terra, popolo, religione, fraternità etnica e di sangue. Nella storia del messianesimo ebraico ci sono di questi religiosi, che Gershom Sholem ha studiato e di cui ha raccontato i misfatti, le volontà apocalittiche di potenza, la «vocazione all'anomia», alla violazione delle leggi. Sabbatai Zevi, nel XVII secolo, si proclamò Messia e si collocò al di là del bene e del male. Entusiasta, il colto rabbino Nathan di Gaza esaltò il «peccatore santo». Zevi finì col convertirsi all'Islam, lui che diceva: il Messia esiste, dunque tutto è permesso. Tre secoli sono passati ed è nella festa di Purim, giorno in cui tutto è permesso, che il fondamentalista Goldstein ha fatto strage nella moschea. «Un giorno un ebreo si alzerà e ucciderà decine di arabi in memoria di Meir Kahane», aveva dichiarato qualche tempo fa, ricordando il rabbino ucciso a New York nel '90. I nuovi fondamentalisti in Israele vogliono affrettare la venuta del Messia, la costruzione del Terzo Tempio. Per questo scatenano i Dèmoni, a Gerusalemme: Dèmoni nichilisti che non sono nuovi nella storia di Israele, che hanno sempre avuto l'ossessione della terra, della fraternità di sangue. Sono presenti nella storia e anche nella cultura ebraica: Nietzsche e il suo superuomo hanno influenzato non pochi ebrei tedeschi, nel secolo scorso. Il nemico dichiarato dei Dèmoni israeliani sono i palestinesi fondamentalisti di Hamas ma l'avversario vero è un altro: è lo Stato di Israele, accusato di aver tradito, di collaborare con il nemico, di diventare laico. Il fondamentalista messianico è sempre contro il regno terreno cui appartiene. Non è diverso oggi: il colono armato somiglia più al fondamentalista islamico che al politico israeliano. In segreto sogna di tornare in Egitto, in cattività, di ridiventare piccola minoranza perseguitata da Faraoni tiranni, di ripetere la Shoah. Per questo non vuol lasciare le colonie, rifiuta di abitare in un Israele più piccolo, compie i suoi misfatti con la stella di David cucita sugli abiti, come ai tempi delle persecuzioni naziste. Una delle cose più difficili, per Israele, è sapere cosa vuol dire esattamente essere ebrei. Se sia la terra che fa l'ebreo, o il sangue, o il popolo, o la nazione, o la religione. E i dubbi crescono, con l'andare del tempo. Non è più precisamente un territorio: nella guerra del Golfo, Israele ha visto che poteva essere colpito dai missili, e che i territori non erano uno scudo. Non è più precisamente il sangue: qualche tempo fa, un decreto poi abolito vietava agli ebrei sieropositivi l'ingresso in Israele: una decisione che rompeva con tradizioni millenarie, che ha scandalizzato alcuni, ma non oltre misura. L'ebraismo è di certo una religione, ma la religione si sfibra anche a Gerusalemme. Forse la risposta definitiva non c'è, e l'ebreo che non cessa di domandarsi è eletto per questo. E' eletto per scoprire, invecchiando, l'orrore di se stesso. Per disarmare i propri figli fondamentalisti, e diffidare di chi dà risposte troppo sicure. Per fare entrare la tragedia greca, a Gerusalemme. Barbara Spinelli