il lungo viaggio del Patriarca di Lorenzo Mondo

r PANEALPANE 77 lungo viaggio del Patriarca SITAVAMO ancora a concederci un poco di sollievo per la tregua di Sarajevo, quando il vento della strage si è abbattuto su Hebron, nella Palestina che sembrava avere imboccato la via stretta della pace. Chi riesce a provare sgomento per ciò che accade negli immediati dintorni dei propri affetti e interessi, è stato costretto a una brusca dislocazione geografica e morale. Ha dovuto appuntare un'altra bandierina rossa sulla mappa delle città che subiscono il peso doloroso della storia (da Stalingrado a Hiroshima a Berlino, da Beirut a Baghdad a Sarajevo). Sono le città-simbolo in cui si esalta, quasi sotto una lente d'ingrandimento che si sposta capricciosamente nel tempo, l'incapacità degli uomini a vivere insieme. Esistono, come sempre, catene di cause, spinte e controspinte, grovigli di passioni e ragioni che conducono a risultati apparentemente fatali. Ma ciò che è successo a Hebron colpisce ben oltre l'atroce contingenza, che purtroppo non costituisce un evento eccezionale nell'ultimo mezzo secolo e che, per un triste paradosso, potrebbe perfino condurre a un più risoluto processo di pace (è quello che spera fermamente lo scrittore israeliano Abraham Yehoshua). Questa volta l'odio ha inciso una falda particolarmente suggestiva della terra biblica, che pure sovrabbonda di simboli. Basta aprire il libro della Genesi e ci sentiamo ricondotti, per vie ancestrali, al cuore delle nostre inquietudini. «Abramo dunque prese Sara, sua moglie, e Lot, figlio di suo fratello, e tutti i beni che avevano acquistato in Harran e tutte le persone che ivi si erano procurate, e s'incaminarono verso la terra di Canaan». Hebron è la città destinata come ultimo approdo di Abramo. Là secondo la tradizione è sepolto, e venerato dalle tre religioni monoteistiche: proprio in quella Grotta dei Patriarchi dove il crepitio delle armi ha spezzato il raccoglimento della preghiera. Hebron dunque è j^ana delle città da cui po¬ trebbe cominciare idealmente la storia dell'Occidente e dei popoli mediterranei, che con lenti passi di carovana ha portato all'essenza costitutiva della nostra cultura, della nostra modernità. Ma la vicenda di Hebron ci appartiene anche per l'ecumenismo stravolto e negato intorno alla tomba del primo Patriarca, per la caricatura di una preghiera che si ripete davanti all'unico Dio con alternanza blasfema. E finisce per chiamare in causa, non una generica apprensione o compassione, ma il nostro svagato modo di vivere. Ci aiuta a ricordare, dopo tante illusioni di pacifico sviluppo senza frontiere, che angeli e demoni vendicatori ci sovrastano benché inavvertiti, che devono essere continuamente esorcizzati. Non serve l'apatia e neanche la resa a una metafisica negativa (la rassegnazione all'inevitabilità del male). Persi dietro le afflizioni vere del nostro Paese, le lentezze burocratiche e morali sulla strada del rinnovamento civile, le mistificazioni di una confusa campagna elettorale - ominidi di sangue freddo e vista corta -, non ci rendiamo conto che siamo tutti assediati, non siamo sfiorati dal senso della sfida in un mondo che torna a preannunciarsi terribile. Occorrerebbe, oltre ogni legittimo dissenso che ci fa liberi, un patto intorno a pochi saldi principi che privilegino, verso l'interno e verso l'esterno, forti iniziative di unità e di concordia. Occorrerebbe almeno, in mancanza di meglio, un po' di serietà. Proprio mentre il nemico già si insinua nelle nostre strade, con le stigmate dell'intolleranza e del razzismo, del disprezzo per l'uomo. Piaccia o no, non si può essere distratti o renitenti davanti alla dura lezione dei fatti. Lorenzo Mondo

Persone citate: Abraham Yehoshua, Canaan, Patriarca

Luoghi citati: Baghdad, Beirut, Berlino, Hiroshima, Palestina, Sarajevo, Stalingrado