Agente-killer per 300 milioni di Fabio Albanese
Catania, nuove rivelazioni dopo l'arresto di sette militari Catania, nuove rivelazioni dopo l'arresto di sette militari Agente-killer per 300 milioni Doveva uccidere rivale di Santapaola CATANIA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Trecento milioni. In contanti e senza tante formalità. Era il prezzo che Nitto Santapaola era pronto a pagare al killer che avrebbe eliminato il suo acerrimo nemico, Turi Cappello, il boss degli «sliddari» che insidiava il suo regno incontrastato. Ma l'eliminazione di Cappello non sarebbe stata affare di uno dei tanti esperti killer di Cosa nostra. Ad ucciderlo doveva pensarci Corrado Caruso, 30 anni, assistente di polizia, al quale gli uomini di Santapaola avevano già fornito una potente calibro 38 e un giubbotto antiproiettile. Caruso avrebbe dovuto eliminare Cappello nell'ottobre del '91, a Milano, dove il poliziotto si trovava in missione con un collega per conto della questura di Catania. Poi qualcosa andò storto, l'agguato non ci fu e Cappello salvò la pelle. Emergono particolari sconcertanti dall'inchiesta che, all'alba di giovedì, ha portato in carcere cinque poliziotti, un carabiniere e un finanziere, accusati dai giudici catanesi di avere favorito, in cambio di denaro, le cosche di Nitto Santapaola e di Pippo Pulvirenti «U Malpassotu». A raccontare ai giudice della direzione antimafia di Catania l'episodio dei trecento milioni è stato il pentito Pippo Licciardello, uno di quelli che ha consentito il clamoroso blitz dell'altro giorno. A dare l'incarico al poliziotto colluso sarebbe stato Maurizio Avola, uno dei due capi della famiglia mafiosa del borgo di Ognina. Ma non è il solo terribile particolare emerso dall'inchiesta. Sempre Caruso avrebbe cercato di carpire al pentito Giuseppe Di Mauro indicazioni sul sistema di protezione dei pentiti in generale, e più in particolare informazioni sul suo conto, su dove viveva, su come veniva protetto, su quali auto lo accompagnavano. Di Mauro parlò tranquillamente, non sospettava che uno degli uomini che lo proteggevano in realtà avrebbe passato quelle notizie alla mafia. Ma poi, insospettito, raccontò tutto ai giudici. Il capitolo sulla sicurezza dei pentiti è il più ricco. La famiglia Santapaola avrebbe saputo dallo stesso Caruso che Claudio Severino Samperi, uno dei collaboratori di giustizia che ha scardinato Cosa nostra a Catania, nei primi tempi del suo pentimento viveva nascosto nella caserma della polizia «Rinaldi», in corso Italia. Un altro pentito ha raccontato che il sovrintendente di polizia Antonio Fogliani e il vice sovrintendente Giuseppe Rinaldo avrebbero incontrato Giuseppe Pulvirenti in persona. L'incontro con il boss latitante sarebbe avvenuto nel 1984 a Nicolosi, un paese alle falde dell'Etna, in casa di Pippo Leonardi, «Pippu u curtu», uomo fidato del Malpassotu. Fogliani e Rinaldo accompagnavano un altro poliziotto, non ancora sotto inchiesta a quanto pare, che voleva parlare con Pulviren¬ ti: aveva sentito dai colleghi che pagava bene le informazioni della polizia. Ricompense che, stando ai pentiti, erano varie ma di tutto rispetto. Santapaola stesso ebbe a lamentarsi del fatto che «gli sbirri mi costano molto». Regali e denaro per le festività comandate, ma anche cospicui contributi in occasione di acquisto di auto, mobili, case. Il pentito Carmelo Grancagnolo ha raccontato di avere personalmente e più volte consegnato a Fogliani e Rinaldo «stipendi» da due-tre milioni alla volta. Il finanziere Salvatore Lavenia, sempre secondo le testimonianze dei pentiti e i riscontri dei magistrati catanesi, avrebbe riferito al clan mafioso che un pregiudicato, arrestato per traffico di droga, aveva rivelato alle forze dell'ordine i nomi dei complici. Il giudice per le indagini preliminari Antonino Ferrara e il sostituto procuratore Carmelo Zuccaro, titolari dell'inchiesta, cominceranno questa mattina, nel carcere militare di Forte Boccea a Roma, gli interrogatori di Caruso, Fogliani, Rinaldo, Lavenia, dell'appuntato dei carabinieri Vincenzo Mazzucco e degli altri due poliziotti, Giuseppe Giuffrida e Massimo Balzano. La sensazione, tuttavia, è che le posizioni dei sette siano ben diversificate. Alcuni sarebbero dei veri e propri collusi, altri pagherebbero adesso delle madornali leggerezze. Fabio Albanese
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