«E allora un governo costituente» di Giuliano Ferrara

«Non tutto è cipria e la vita Il segretario del ppi: «Chi vince governa ma forse nessuno ce la farà» «E allora un governo costituente» Martinazzoli: «Subito le riforme» CJJERA da aspettarselo da " Mino Martinazzoli, che non ha mai sopportato le telecamere, gratificandole sempre di smorfie d'insofferenza vibranti su quella sua faccia massiccia e bitorzoluta. Sarà lui 10 Zapata antivideo, il guerrigliero invisibile della prima campagna elettorale veramente telecratica che si combatte in Italia a furia di spot più che di concetti? Come quasi tutti sanno, in televisione si devono presentare le proprie idee nell'intervallo tra due pubblicità, con non più di 600 parole. E la brevità, dice Noam Chomsky, lascia spazio solo alla ripetizione del pensiero convenzionale. Berlusconi, in questo, sembra nato imparato; a Occhetto l'hanno spiegato e lui, poveretto, fa di tutto per riuscire; D'Alema, dopo qualche legnosità iniziale, è diventato un vero animale da telecamera, meglio della Panetti. Ma Martinazzoli non si rassegna e chissà che l'invisibilità televisiva, rispetto all'overdose di altri, non possa trasformarsi in un must, come dicono gli esperti di marketing, della campagna di un Centro che i mai è apparso così debole e ne-i gletto. Martinazzoli, diciamolo, il suo profilo non è molto levigato e il suo lessico non sufficientemente elementare. «La mia faccia la conosco bene e non mi crea problemi, anche se non è hollywoodiana. Mi guardo bene dal farmela levigare, perché rifiuto di esibirmi, mi infastidiscono i sorrisi stereotipati e l'innaturalità in politica. Non mi travesto, perché sono convinto che basilare in politica è un po', almeno un po', di verità». Ma di qui al funereo... «Lo so, mi attribuiscono perfino capacità iettatone e dicono che faccio calare l'audience. Ma Funari, per esempio, non la pensa così. E comunque la mia faccia fa di me il vero leader dei NeoCentristi, naturalmente per la quantità di nei...». Buona questa... «Quanto al lessico, il sublime sarebbe non parlare proprio, visto che la tv non invita a ragionare, invita soltanto a guardare. Ma non attendendomi la nomination per l'Oscar, se permette, rifiuto questa mistificazione. La politica ha bisogno di parole, non di sguardi, di dentature e di banalità». Perciò i centristi useranno poco la tv? «Guardi che non è soltanto una scelta anticonformista, ma un obbligo finanziario. I mezzi di cui dispongono sia la Destra che la Sinistra sono incomparabilmente superiori ai nostri. Noi spenderemo 3-4 miliardi, la Destra berlusconiana, dieci o quindici volte di più». Quaranta miliardi? «Di più, di più. Un imprenditore può gettare via come crede le sue risorse. Le confesso che io non conosco antropologicamente l'homo berlusconiano, ma devo ritenere che non sia soltanto uno yuppy, dev'essere anche un tifoso e, in qualche caso, un volontario, altrimenti il leader si spianterebbe: quanto gli costerebbero mai quegli strani 11 mila club? Comunque, non mi faccia dire che voglio disinventare la televisione e il suo prodotto politico. Non è vero: semplicemente, ho ben presente Popper, 11 rischio di manipolazione del consenso, il problema di libertà connesso al dominio sui massmedia. Ci vuole una nuova etica, di cui mancano perfino i fondamenti». L'autoregolamentazione televisiva? «Mi fa ridere l'autoregolamentazione. Per una volta, ha ragione Giuliano Fenara che la sbeffeggia. Dirò di più, io solidarizzo con Fede che ha trasmesso la prima uscita di Berlusconi. E vero che ci vuol molta fede, scusi il modesto gioco di parole, per star lì, ma io quella trasmissione l'ho vista e mi ha interessato, anche se ne ho ricavato cupi presagi». Quali? «Posto che Berlusconi non è il demonio, in questo deserto avanza purtroppo l'idea di una democrazia carismatica, pubblicitaria e plastificata. Ma la politica non è soltanto casa, sanità e sacrosanti bisogni, è la relazione complessa tra tutte queste cose, che non si può banalizzare per non aprire varchi alle illusioni. Non si possono far promesse a piene mani con parole che non stanno insieme tra loro». Lei stesso ha detto che la sublimazione televisiva è star zitti, semplicemente facendosi vedere... «Sì, ma io resto convinto che il popolo non è audience e la tv non è tutta la vita, anzi la vita è contro la sua immagine televisiva: non tutto è cipria, spero che valgano ancora le ragioni. E in questo mi confortano alcuni amici americani: quando hanno saputo che nei nostri collegi per essere eletti occorrono circa 35 mila voti, mi hanno detto: "Ma allora gli elettori li puoi incontrare uno per uno, puoi promettere una cosa a ciascuno". Noi non rinunciamo al contatto diretto con il popolo, così esorcizziamo l'invisibilità, che in politica è una condanna: è come scommettere su un cavallo azzoppato. Visibilità discreta, non volgare nella sua spettacolarità. Kafka diceva che se Ulisse non si fosse messo la cera nelle orecchie sarebbe morto non per il canto delle sirene,-ma per il silenzio». Teme la volgarità, quando respinge irritatole domande dei cronisti? «C'era ima volta Gorcesio, ora gli opinionisti autorevoli stanno nel loro studio a scrivere di cose che non conoscono e i cronisti sono stati educati soltanto a raccogliere battute. A me non piace parlare per battute, odio apparire quello che non sono: sono un avvocato di Brescia, esattamente come dice spregiativamente quel suo collega giornalista di Cuneo. Ma cosa può dare più che battute una politica che si fa ormai col pallottoliere». Chi fa la politica col pallottoliere? «Quando andai a trovare Berlusconi verso Natale gli dissi: guardi, Cavaliere, che se lei applica la logica aritmetica del pallottoliere, anche il convenzionale pudore verso i missini cadrà. E ho cercato di spiegargli che noi siamo nella storia italiana dal Diciannove: abbiamo visto crescere Mussolini e abbiamo visto tanti popolari che sono andati con lui. Ma Sturzo e altri andarono invece in esilio, un esilio che poi legittimò De Gasperi. Bisogna avere lo sguardo lungo, gli dissi. E lui replicò ancora col pallottoliere. Se è lui che gli italiani vogliono, se lo prendano, ma sappiano che l'esilio della politica non sarà un buon affare per nessuno. Non parlo di pericoli dittatoriali, ma del venir meno della consistenza stessa della democrazia: il solo fatto di invocare un salvatore che garantisca chissà che, significa che la democrazia perde il senso di sé stessa. Questo rischia di diventare un Paese Senza, come dice Arbasino». Senza che? «Senza più storia, senza più voci autorevoli. Si descrive un Paese alle macerie, ma sono balle di smemorati: è senza senso dire che tutto quello che c'è stato prima della Seconda Repubblica è da buttare. In questo c'è un limite degli intellettuali italiani: non si sa se siano più trasformisti o conformisti. E' una fase goffamente rivoluzionaria, che qualcuno ha colto al momento giusto». Chi? «Ma come chi? Berlusconi, che, se ha un merito di naso, è quello di essere arrivato nel momento giusto, quando il terreno era tutto sconvolto, a proporre un cambiamento senza orientamento». Togliendo la scena a Segni? «Sì, con una specie di gioco a rubamazzo. Dopo i guai con le liste, Segni almeno avrà capito che i movimenti referendari non sono la politica, che senza un po' di organizzazione la politica non si fa proprio. Nelle domocrazie moderne i partiti non sono un sopruso pleonastico, come molti adesso sostengono: bisogna cominciare a distinguere tra le degenerazioni e il valore di partiti che ne siano emendati. A meno che non voghamo che protagonisti siano tv e gruppi massmediali, invece della politica stessa». Scusi, Martinazzoli, non ha l'impressione che mentre voi vi contendete i seggi in Parlamento, altri poteri stiano definendo i nuovi assetti dell'Italia? «Certo che ne ho l'impressione: molti grandi interessi pensano di fare senza più la mediazione della politica. Nell'eclissi della politica si gioca una grande partita tra potentati economici: le telecomunicazioni, la tv stessa, le banche e quant'altro. Noi rischiamo di essere agiti e non di agire, di assistere a spartizioni di business fatte direttamente dai protagonisti, uno dei quali, peraltro, fa anche politica in prima persona». Così questo Centro invisibile diventa sempre più marginale? «Guardi che noi usciamo da due anni di comportamenti virtuosi, che mi piacerebbe fossero riconosciuti: abbiamo assecondato le politiche di Amato e di Ciampi, anzi Ciampi l'abbiamo aiutato più di chiunque altro e io mi sono stufato...». Di che cosa? Di Ciampi? «No, sono proprio stufo di senti- re Occhetto che si presenta come Quintino Sella. Non lo è. Questo governo l'abbiamo sostenuto noi, pur conoscendo i suoi limiti politici». Ma lei pensa che questo possa essere considerato un merito dall'homo berlusconiano, da un elettorato assatanato di luoghi comuni un po' ottusi? «Guardi che molte cose rispettabili in questa Nazione son state frutto delle minoranze: il Risorgimento la Resistenza...». Insomma, non le dispiacerebbe essere minoranza? «Essere minoranza non mi piace affatto, non ho vocazioni al martirio, però sono certo che la politica non è come un ristorante, dove il cliente ha sempre ragione. La politica si fa per le proprie ragioni ideali e io sulle mie sono piuttosto ostinato». Va bene, ma Berlusconi ha quasi un plebiscito di gradimento, Occhetto ha il suo zoccolo... «Lasci perdere i sondaggi. Parliamo di cose serie. Può darsi che vinca uno dei tre blocchi. Se vincerà quello di Berlusconi, fatto col pallottoliere, allora governerà. Altrimenti, il destino di quel fronte io vedo cupo. Non vedete che c'è Bossi con la museruola, con la sua leadership mortificata? Se vincono forse riusciranno a stare insieme, se no...». E se vince Occhetto? «Più o meno è lo stesso discorso: Occhetto-Quintino Sella mi sgrida da Londra, lui che sta insieme con quello che vuole tassare i Bot. Come si fa ad accettare, da destra o da sinistra, chi sta insieme soltanto per un fattore tecnico?». Va bene, Martinazzoli, potrebbero vincere anche i centristi, ma facciamo l'ipotesi più probabile: che non vinca nessuno dei tre schieramenti. «Io non credo che se uno è malato si possa operarlo ogni sei mesi, per cui, in questo caso, tenderei a salvare la legislatura». Come? «Posto che non sappiamo come si comporterà il nuovo ceto parlamentare e che non conosciamo la distribuzione dei seggi, io non penso a una replica del governo Ciampi, ma a un governo costituente che si misuri con la congerie di problemi di indole costituzionale». Vuol dire che voi resistete fino alla fine alla regola dell'alternanza? «Niente affatto, noi vogliamo l'alternanza, ma non la finzione dell'alternanza o, peggio, quella che alternanza non è, ma è spaccatura del Paese». Che cosa dovrà fare esattamente questo governo costituente? «Completare una riforma elettorale tutt'altro che esauriente, dare una sede al dibattito sul fantasma del federalismo, dare la garanzia che le conezioni costituzionali non avverranno con strappi o soperchierie, magari attraverso alcuni passaggi referendari, non soltanto abrogativi, ma di indirizzo». Una nuova consociazione? «No, lo ripeto: chi vince governerà. E ripeto che noi non confluiremo a sinistra, come molti sospettano. Ma se nessuno vince non si può uccidere il paziente. Ci vuole un luogo costituente, che sostituisca l'assemblea eletta direttamente dal popolo, cui avevamo pensato io stesso, Cossiga e Miglio. E questo luogo può essere, per l'appunto, un governo costituente». Per far che? «All'interno stesso del Patto ci sono diversità: io non sono favorevole all'elezione diretta del leader sostenuta da Segni. Penso piuttosto a un sistema di cancellierato alla tedesca». E il suo ruolo quale sarà? «Mi piacerebbe pensare di aver contribuito a impedire la dissipazione e, con questo conforto, dare il commiato». Riconquistando la vera invisibilità? «Guardi che noi saremo pure un po' invisibili, ma abbiamo un nerbo popolare che quelli con tutta quella cipria e quei belletti se lo sognano». Comunque è un impegno: di qui al 27 marzo niente tv? «Visto che nessuno ci regala mezz'ore... Stia certo comunque che non mi vedrà a II Rosso e il Nero, luogo dove si consumano oppio e droghe varie. Ideologiche, naturalmente». Alberto Staterà osto che Berlusconi non è il demonio, in questo deserto avanza purtroppo l'idea di una democrazia carismatica, pubblidtaria e plastificata. Gli dissi: Cavaliere se lei applica la logica del pattottoliere anche il pudore contro il msi cadrà «Non tutto è cipria e la vita non è televisione» razia matica, dtaria tificata. ssi: ere se lei a la logica ttottoliere il pudore il msi cadrà zitti, semplicemente dosi vedere... io resto convinto che il non è audience e la tv tta la vita, anzi la vita è a sua immagine televisi tutto è cipria, spero che ancora le ragioni. E in mi confortano alcuni mericani: quando hanno che nei nostri collegi per letti occorrono circa 35 ti, mi hanno detto: "Ma li elettori li puoi incono per uno, puoi prometa cosa a ciascuno". Noi unciamo al contatto din il popolo, così esorcizinvisibilità, che in politina condanna: è come ttere su un cavallo az. Visibilità discreta, non nella sua spettacolarità. iceva che se Ulisse non si esso la cera nelle orecrebbe morto non per il elle sirene,-ma per il sie la volgarità, quando ge irritatole domande nisti? ma volta Gorcesio, ora gli sti autorevoli nel loro studio re di cose che oscono e i cro A me non piace parlare ute, odio apparire quello sono: sono un avvocato ia, esattamente come digiativamente quel suo giornalista di Cuneo. Ma ò dare più che battute itica che si fa ormai col liere». a la politica col pallote? o andai a trovare Berlu«Mino non sa stare in tv» MILANO. «Al Centro manca una strategia dei media». E' Claudio Sorgi, sacerdote e critico televisivo di Avvenire, a lamentare Mino Martinazzoli non sa dare il meglio si sé in tv. Il leader del ppi è stato da Funari; ma a Sorgi non è piaciuto. «Stava in trasmissione più con l'aria di uno che accondiscende, suo malgrado, a una specie di giochino,.. Non può parlare in tv come parlerebbe attorno ad un tavolo di amici. Il mezzo televisivo deve comunicare anche emozioni e non solo nozioni». Meglio ha fatto - sostiene il critico - Roberto Formigoni, su Italia 1, nel faccia a faccia con Bertinotti: «Ha avuto tutt'altro piglio; ha opposto alla melina un po' da sacrestia di Bertinotti una prontezza dialettica. Peccato che in altri canali, in quasi tutti, alla stessa ora si vedeva o si parlava solo di festival di Sanremo. Insisto: manca una strategia dei media». [r. int.] Martinazzoli (foto grande) A sinistra Carlo Azeglio Ciampi e Giuliano Ferrara Qui a fianco Mario Segni

Luoghi citati: Brescia, Cuneo, Italia, Londra, Milano, Sanremo