Cimiteri tangenti come prassi

38 Interrogati i due fratelli sacerdoti: si facevano pagare per i funerali Cimiteri, tangenti come prassi «Così si è sempre fatto» «Non abbiamo mai chiesto soldi, mai obbligato nessuno a consegnarne. Il denaro lo davano loro, i titolari di imprese funebri, di loro spontanea volontà». A tratti è stata addirittura commovente, ieri davanti al giudice per le indagini preliminari, Flavia Nasi, la difesa dei due ex cappellani dei cimiteri torinesi, i fratelli Giuseppe e Rosario Ormando, arrestati per concussione. «Abbiamo continuato a fare quello che facevano i nostri predecessori... E per la verità tre ditte non ci hanno mai dato soldi, anzi da cinque di queste non abbiamo mai visto una lira... Abbiamo sempre dato soldi a missionari di cui non ricordiamo il nome e anche a poveracci che si presentavano alla cappella del cimitero. Vorremmo poter celebrare la messa in carcere, se possibile». I due sacerdoti erano stati arrestati tre giorni su richiesta del sostituto procuratore Donatella Masia che da cinque mesi conduce le indagini sullo scandalo dei cimiteri torinesi. Come già è stato scritto, le indagini hanno accertato che i due sacerdoti avevano titoli di Stato e soldi in contanti per oltre mezzo miliardo a testa, case date in affitto, e conti in banca intestati anche a due donne. Per quanto riguarda le mance si è scoperto che i due preti hanno davvero seguito quella che era una prassi, poiché anche chi li ha preceduti ha sempre preso soldi dalle imprese funebri. Il pm Masia alla fino dell'interrogatorio ha solo detto: «Questo filone d'indagine è quasi concluso. E' possibile che faccia ancora interrogatori, ma conto di arrivare a giorni alle richieste di rinvio a giudizio». Se i due ex cappellani si sono semplicemente adeguati ad una prassi che durava da tanti anni, quanti lo sapevano? «Quella delle mance ai preti per noi è sempre stata una consuetudine d'uso», ricorda il titolare di una nota e antica impresa funebre. «Ancora nel '69 davamo 200 lire per ogni salma benedetta dal cappellano di allora. E come potrei non ricordarmi dei due fratelli Ormando? Puntualissimi ogni fine mese. Venivano sempre in borghese. Quello del cimitero di corso Novara era più sicuro nel presentare i conti rispetto all'altro, che sembrava quasi vergognarsene. E anche il loro padre me lo ricordo bene. Di solito ritirava il contante nei mesi estivi. Forse perché a turno i figli andavano in ferie». «Chiedere denaro per benedire le salme e accordarsi con le imprese di pompe funebri non dovrebbe essere considerato normale»: così pensa anche l'ex assessore allo Stato Civile Beppe Lodi. Egli ribadisce di non aver mai ricevuto informazioni di garanzia sullo scandalo dei cimiteri. Lei sapeva del comportamento dei due preti? «No, almeno fino al 1988. Appena l'ho appreso ho fatto di tutto per avvisare i loro responsabili. Però non volevo creare un caso, visto che c'era già stata una mezza polemica con il vicario episcopale in carica allora, don Lello Birolo: diceva che noi del Comune non volevamo più mandare le salme in chiesa per la benedizione. Così, per evitare attriti, ho mandato un funzionario in Curia e segnalare informalmente il caso». Che cosa denunciò? «Tra l'altro disse proprio a Don Birolo che i due fratelli cappellani usavano 10 mila lire come segnalibro del breviario. E se qualcuno voleva capire...». Ivano Barbiere A sinistra, don Rosario Ormando arrestato con il fratello per concussione Qui a fianco, l'ex cappellano don Giuseppe Ormando: «Non abbiamo mai chiesto soldi»

Persone citate: Beppe Lodi, Donatella Masia, Flavia Nasi, Giuseppe Ormando, Ivano Barbiere, Lello Birolo, Masia, Ormando, Rosario Ormando