PETRASSI La febbre del novecento di Sandro Cappelletto

PETRA»! Intervista con il grande compositore, alla vigilia dei 90 anni: le stagioni che hanno sconvolto la musica Igor Stravinskij PETRA»! del Novecento ySTI OFFREDO Petrassi, il de1 * cano dei compositori itaI liani, ha 90 anni. Li com1W pira fra cinque mesi, il 16 ,"l luglio, ma i festeggiamenti sono già partiti. Il Conservatorio di Santa Cecilia - dove il Maestro ha studiato e insegnato, formando generazioni di musicisti - lo ha celebrato ieri sera eseguendo sue opere in un concerto diretto da Francesco De Masi. Intanto la casa musicale Bongiovanni sta per pubblicare Omaggio a Goffredo Petrassi, con tre sue composizioni: Grand Septuor, Serenata per 5 strumenti e Laudes creaturarum. Il disco sarà accompagnato da una lunga intervista di Sandro Cappelletto al grande protagonista della cultura musicale del '900. Ne anticipiamo uno stralcio. EA mia opinione sul '900? Per la musica è stato un grande secolo. Non dico che sia cambiata tutta la visuale, perché le cose sempre s'intersecano, ma certo l'immagine della musica che si poteva avere all'inizio del secolo è totalmente mutata alla fine. Non è poco». Certo è poco tradizionale... «Da un lato la tradizione va rispettata, anzi venerata, ma bisogna evitare che blocchi lo sviluppo del pensiero musicale. Quando è mitizzata, come purtroppo lo è in questi ultimi tempi, impedisce la creazione. Allora è il momento di guardarsene, per non cadere nelle tentazioni di abbandonare il presente e dedicarsi alla vita nullificata». Quando, nel 1978, lei ricevette il Premio Feltrinelli dell'Accademia dei Lincei, intitolò il suo discorso «Come si diventa compositori»... «Più esattamente: come io, da giovane, ero diventato compositore. Prima di tutto, mi pare, ci sono delle attitudini naturali, poi viene la scoperta di queste attitudini. Diceva Stravinskij: "I compositori sono come dei cani da tartufo"». Quello stile che Gavazzerà ha chiamato «barocco romano» è stato un suo tartufo? «Lui si riferiva ai lavori di un certo periodo, quasi agli esordi, ma una traccia del concetto, molto astratto, di barocco è reperibile anche nei lavori successivi. Gavazzeni pensava alle mie origini nella campagna romana e al periodo trascorso come fanciullo cantore nelle cantorie di Roma. L'idea dell'identificazione etica di un luogo è ancora possibile per il Salmo e il Magnificat, per via di una grandiosità che può ricondurre all'idea di romano; poi, forse sussiste nelle mie opere un'idea di barocco, non certo di romano». Le «Laudes creaturarum», del 1982, pensate per voce recitante, tre clarinetti, due tromboni, violoncello. Perché acco- sta questi strumenti a questo testo, perché una scelta così orientata del colore del suono? «Ho scritto le Laudes su commissione della Sagra Musicale Umbra e la prima esecuzione è avvenuta nella Basilica Superiore di Assisi. Per esprimere chiaramente la finalità di questo brano, il sottotitolo dice: Obolo francescano. Il testo è talmente eccezionale! Tentai di trovare dentro di me una possibilità di espressione musicale delle parole, ma alla fine risolsi di avvalermi di una voce recitante e il contorno timbrico, come al solito, mi è stato suggerito dal testo, che è beatificante, ma anche molto tragico». Le «Laudes» tragiche? «Pensi al contrario di quello che è scritto. Si loda la luce, ma quali sono i pericoli della luce? E così via, c'è una possibilità di lettura rovesciata di tutte le altre cose lodate. Ho abolito le parti alte e in questi timbri, nella loro unione, cercavo un'emanazione di quelle parole, un travolgimento musicale di quelle parole. Questi strumenti mi assicuravano una timbricità che poteva sposarsi bene col credo di Francesco; testo detto, naturalmente, non cantato, così che potesse galleggiare sulla tenuta timbrica, sui suoni. Alla fine del testo - "beata sona nostra morte corporale" - mi ritrovai con la voce recitante e il violoncello. Ma non ero ancora soddisfatto, e così ho aggiunto una preghiera di San Francesco in latino, forse apocrifa, ma talmente bella... Francesco prega il Signore di liberargli la mente di tutte le cose che sono sotto il cielo, di dissolversi in lui come una fiamma. E' un concetto che riporta a temi del buddhismo zen: superare la razionalità, diventare contemplativi». Continuiamo il nostro percorso, incontrando il «Duetto per violino e viola». «L'occasione fu data da un compleanno di Adriana Panni, protagonista straordinaria della vita musi¬ cale italiana. Decisi di scrivere un pezzo che del resto avevo sempre desiderato, avendo un po' trascurato il violino e la viola. Era recente la Sestina d'autunno, e composi il Duetto togliendo e riutilizzando una cellula con la quale iniziava la Sestina, che è dedicata a Stravinskij T " cellula è l'adattamento del Ve/., o, •atorspiritus, e come sottotitolo alla Sestina volli precisare: Veni, creator Igor». L'antica devozione a Stravinskij, quasi il responsabile della sua iniziazione alla musica. Ma torniamo al «Duetto». «La viola comincia con il tema gregoriano del Veni creator spiritus, reso in modo molto intimo: da qui si sviluppa tutto. Mi sono compiaciuto di scrivere per questi due strumenti. Forse un estremo, appena mormorato, omaggio al "barocco romano". Comunque un'eccezio- ne alla regola dell'inorganicità nella scelta degli strumenti del suo catalogo cameristico. Regola che ritorna nella Serenata, per flauto, viola, contrabbasso, clavicembalo e percussioni. E' stata scritta nel 1958. Mi ero persuaso a non usare più certi stilemi. Volevo cercare "qualcosa" e mi lanciai a capofitto: nessuna preoccupazione tematica, o tonale, soltanto l'uso degli strumenti con assoluta libertà. Una piccola cosa, che fece un po' d'impressione. Come dicevo, non c'è alcun rapporto tonale, ma a un certo punto della cadenza (da qui il nome di Serenata, intesa come esibizione dei solisti) il clavicembalo intona un accordo di la maggiore, che arriva assolutamente inatteso, in un panorama sonoro in cui gli accordi non hanno più nessuna consistenza, nessuna ragione di essere se non come incontri casuali. Questo accordo di la maggiore è una luce improvvisa, che fece anch'esso un po' di sensazione». Lo chiamò «accordo di stupore». «Mi ricordavo, dagli anni della primissima giovinezza, uno studio di Domenico Alaleone - un nome oggi dimenticato, totalmente - nel quale si parlava del famoso accordo iniziale del Tristano appunto come di un accordo di stupore. Mi piacque quell'espressione e la usai, molti anni dopo, in un lavoro che per me è stato un salto verso altre avventure, verso altri orizzonti». Sandro Cappelletto Goffredo Petrassi (foto grande) è nato a Zagarolo il 16 luglio 1904 Qui sopra il compositore il musicologo Massimo Mila In basso Igor Stravinskij «Rispetto la tradizione senza mitizzarla Abbandonare il presente significa darsi alla vita nullificata»

Luoghi citati: Assisi, Roma, Zagarolo