«Noi sopravvissuti all'inferno ma uccisi dai ricatti dello Stato» di Renato Rizzo

«Noi, sopravvissuti all'inferno ma uccisi dai ricatti dello Sfato» Bologna, primo atto nella battaglia giudiziaria per la strage provocata dall'aereo che nel '90 si abbatté sulla scuola «Noi, sopravvissuti all'inferno ma uccisi dai ricatti dello Sfato» ^^^^^^^^^^^^^^^^ TRA RABBIA E DOLORE BOLOGNA DAL NOSTRO INVIATO Federica ha 18 anni e conosce l'inferno. Da 1154 giorni lo vede, lo sente, lo misura in ogni istante, ad ogni respiro. Diciott'anni e neppure un po' di voglia di piangere perché le lacrime proprio non servono a chi, come lei, è ormai abituata a vedere scorrere la vita dal fondo di un abisso. Si scruta le gambe, il collo, il braccio destro che U fuoco, un mattino di dicembre di quattro anni fa, artigliò e bruciò come fossero carta. Si sfiora le cicatrici e dice: «Dio mio, quanto ho sofferto, quanto dolore ho provato. Da non poterne più. Per questo ho deciso di non sottopormi a nessuna operazione di chirurgia plastica: sono stanca di star male, sono esausta. Resterò per sempre con i segni di quel fuoco. Anzi, sa che cosa le dico? Mi sento bella anche così». Federica Regazzi è una delle studentesse che, il 6 dicembre del '90, erano a scuola nell'istituto tecnico Salvemini di Casalecchio di Reno, alle porte di Bologna, quando, implacabile come un siluro, un jet militare piombò sull'edificio. Fuoco che divampa, ruscelli di cherosene che trasformano in torce umane le giovani protese in un'impossibile fuga, aria che arde e accartoccia i polmoni e uccide lasciando solo il tempo di un grido, schegge di vetri e calcinacci come raffiche di mitraglia mentre, chi può, folle di panico, scavalca i morti, fende il sipario dei lamenti e si getta in cortile, dal secondo piano. Dodici morti, un'ottantina di feriti alcuni dei quali, ancora oggi, come e quanto Federica, percorrono la propria vita in compagnia di pene e pav.re ed incubi che non li faranno mai più tornare uguali a prima. Ieri mattina, a Bologna, si è celebrato il primo atto del procedimento giudiziario per quella strage: un momento poco più che formale con la discussione degli accertamenti tecnici compiuti dai periti. L'avvio vero di questo processo è ancora lontano: l'udienza preliminare è fissata per maggio, il dibattimento incomincerà, se tutto andrà bene, a gennaio. Il tribunale bolognese è subissato di cause: non è stato possibile trovare un'aula disponibile se non all'inizio del '95. «Questo non è altro che l'ulteriore conferma del disinteresse con cui lo Stato segue questo nostro calvario»: Roberto Alutto nel disastro del Salvemini ha perduto la sua Debora. Da allora ha costituito un'associazione che si batte con testardaggine perché l'oblio incolpevole o colpevole delle istituzioni non cari celli il sacrificio dei morti e i diritti dei feriti. «Ho detto disinteresse dello Stato, forse dovrei dire accanimento. Lo Stato, infatti, in questo processo è 0 nostro avversario perché difende il pilota che abbandonò l'aereo in avaria al suo destino, lanciandosi con il paracadute». Accanto a questi padri e queste madri c'è un uomo che, da quel dicembre, insegue la verità della strage come un missionario: appassionato, dolente eppure freddo e pragmatico come dev'essere chi lotta contro l'ottusità o il cinismo della burocrazia. E' il professor Gianni Devani, vicepreside del Salvemini: è stato lui a lanciare una sottoscri¬ zione per consentire ai famigliari delle vittime e ai dipendenti della scuola di costituirsi parte civile: 82 milioni che serviranno a pagare i periti e le spese dopo che il ministero della Pubblica Istruzione aveva diffidato dall'usare a questo scopo i fondi del bilancio scolastico: «Lo Stato - ricorda -, sino ad ora, ha fatto una sola offerta ai genitori che hanno perso i loro ragazzi o che li hanno riavuti feriti, spesso in modo gravissimo: 250 milioni per ciascun morto, 1 milione per ogni punto percentuale di invalidità agli ustionati o ai traumatizzati». Tutti hanno respinto questa proposta rifiutando il capestro di una clausola in base alla quale chi accettava si impegnava a non entrare in causa. E così, professor Devani? «E così c'è il rischio che, se il processo andrà per le lunghe, ci sarà chi, forse, dovrà rinunciare a curarsi». Gli ustionati, soprattutto: per alcuni di loro sarebbero necessari almeno cinque-sei interventi programmati negli anni al costo di 50-60 milioni l'uno non rimborsabili dal servizio sanitario: ((Aspettiamo una risposta della Regione cui abbiamo chiesto di anticiparci il denaro, visto che il governo ha promesso, indipendentemente dall'esito del procedimento giudiziario, di darci tali somme. Sì, ma quale governo, dal momento che oggi stiamo andando a nuove elezioni? E quando, poi?». Per Federica Regazzi questo tempo del ((troppo tardi» è già arrivato: «Non avrei detto no alla chirurgia plastica se avessi potuto farmi operare subito». E aggiunge: «Tutti questi anni, forse, mi hanno fatto maturare. E così, oggi, io rispondo no agli interventi». Dice proprio così: «Maturare». Ma quanto questa maturità è frutto di una scelta serena? E chi, fra coloro che reggono le istituzioni, può guardare senza vergogna alla scelta di una ragazza di 18 anni che, sprezzante, irride «alla solidarietà delle parole»? Alessandra Gabellini ha vent'anni. Quel 6 dicembre del '90 restò intrappolata nel corridoio davanti alla «2aA». Di fronte a lei, le scale crollate; dietro, il ruggire delle fiamme. E' rimasta ustionata in modo terribile alle mani, alle braccia, al collo e già l'hanno operata quattro volte solo per restituire funzionalità agli arti. Adesso dovrebbe incominciare quella che i medici definiscono «la fase ricostruttiva», ma le tappe sono lontane almeno quanto è incerto l'intervento dello Stato. Dice: «Ricordo continuamente quel giorno, basta che mi guardi allo specchio». Da allora non è più riuscita a entrare in un ascensore: claustrofobia, dicono gli esperti. La stessa paura del chiuso che, mesi fa, l'ha fatta urlare dentro la cabina del metaldetector all'ingresso del tribunale. Fobie, tensioni con cui tutte le ragazze del Salvemini sfuggite alla morte sono abituate a convivere. Giuseppina Cavallini si fratturò due vertebre gettandosi dal secondo piano: «Per anni appena sentivo il rombo di un aereo scappavo fuori casa. E, ancora adesso, il rumore di un aeroplano, magari lontanissimo, magari solo un ronzio flebile, riesco a sentirlo anche con la televisione a tutto volume». C'è un'insegnante, Cristina Germani, che, quella maledetta mattina, stava tenendo lezioni di tedesco proprio nella 2aA. Riuscì a fuggire quando il terrore piombò in classe con la tozza sagoma di una carlinga che sembrava uno squalo. Da allora ha smesso di insegnare e non ha più voluto entrare in un'aula. Ora, al nuovo Salvemini, si occupa della biblioteca. Renato Rizzo I familiari delle vittime lottano per il risarcimento Lo squarcio che provocò l'aereo militare nel muro dell'istituto tecnico

Persone citate: Alessandra Gabellini, Cristina Germani, Federica Regazzi, Giuseppina Cavallini, Roberto Alutto, Salvemini

Luoghi citati: Bologna, Casalecchio Di Reno