Proclami da guerra fredda al Cremlino

Dopo la scoperta della talpa russa al vertice Cia, Mosca attacca l'Occidente su tutti i fronti Dopo la scoperta della talpa russa al vertice Cia, Mosca attacca l'Occidente su tutti i fronti Proclami da guerra fredda al Cremlino Di nuovo scontro sulle spie MOSCA DAL NOSTRO INVIATO Se Washington sbatte in prima pagina la spia Aldrich Ames, Mosca replica per le rime. «Si vede che gli americani non hanno digerito la Bosnia». Il commento, sarcastico, sprezzante, viene da Vladimir Lukin, ex ambasciatore negli Usa e oggi presidente della commissione Esteri della Duma e uno dei leaders dell'opposizione democratica a Eltsin. Il capo dello spionaggio Evghenij Primakov, in visita a Bratislava, rifiuta di commentare. Il suo portavoce, Jurij Kobaladze, si dichiara «sorpreso». «Sembra che questo episodio sia utilizzato per sollevare clamore. Non capisco perché». Il ministro degli Esteri Kozyrev si affretta a dire che i rapporti tra Russia e America «sono ormai troppo buoni» per poter essere messi in crisi da un episodio del genere. Ma Clinton non scherza, parla di «affare molto serio». E il segretario di Stato Christopher va giù pesante: «I rapporti con la Russia dipenderanno dai prossimi passi di Mosca». Siamo davvero alla vigilia di una crisi tra due potenze che, fino a qualche giorno fa, sembravano ormai alleate? E - come fa capire Lukin - davvero Washington ha tirato fuori la spia per «dare una lezione» a Eltsin? Il presidente tace su questo punto, ma affida al suo portavoce Kostikov l'incarico di replicare. E Viaceslav Kostikov usa con l'Ame- rica lo stesso tono - «intemperante» rilevano ora i diplomatici stranieri - che ha sempre usato contro gli avversari interni di Eltsin. Accusa l'America di «spiomania» e alza il tiro: «Si ha l'impressione che la Nato, nonostante la retorica pacifista, sia ancora prigioniera dell'ideologia della guerra fredda». La presa di posizione scoppia come una granata, subito seguita da una salva di colpi di cannone. «Dopo l'iniziativa di Eltsin sulla Bosnia - aggiunge - emergono dichiarazioni di certi circoli della Nato che non riescono a nascondere la delusione per non essere riusciti a realizzare l'offensiva aerea». Peggio ancora: «C'inquieta il livello di rischio, lo sprezzo delle vite umane da pagare, che la Nato sembra pronta a ignorare per tenere alto il proprio status». Per concludere ancora più seccamente: «Noi non accettiamo il linguaggio degli ultimatum militari». Sembra di essere tornati ai tempi di Breznev e Gromyko, di Nixon e Vance. Roba da brividi. Ma deve ancora entrare in campo il presidente russo. Che aspetta la cerimonia alla tomba del milite ignoto per dire la sua. La minaccia di attacchi aerei sulla Bosnia, dice, «ha provocato non solo la reazione negativa dei dirigenti di Russia, ma ha sollevato l'indignazione del popolo russo». Il vento anti-occidentale ha aperto anche le finestre del Cremlino. E sprona Eltsin a andare avanti con una nuova iniziativa, evidentemente non concordata con Washington. Facciamo subito un vertice dei cinque grandi sulla ex Jugoslavia. Russia, Usa, Francia, Germania, Gran Bretagna. «Un solo giorno. Ho proposto Mosca, Ginevra, Bonn, non importa dove. Firmiamo un documento storico e mettiamo fine alla guerra». L'iniziativa è clamorosa e coglie tutti di sorpresa. E per questo dalle capitali occidentali vengono reazioni sconcertate: possibilisti gli inglesi, scettici americani e francesi, ancora silenziosi i tedeschi. Perplesso anche il ministro italiano Andreatta che fa notare come la formula proposta da Eltsin «escluda l'Europa». Il presidente russo tiene, comunque, in mano l'iniziativa. Anche perchtrne ha sempre più bisogno per calmare i bollori interni delle opposizioni e della gente. E il suo ministro degli Esteri Kozyrev aggiunge carne al fuoco che manda fumo verso la Nato. Lasciamo perdere la «partnership per la pace» e puntiamo a un'iniziativa pan-europea nel quadro della Csce. Insomma Mosca non considera la Nato un buon veicolo per la «mmi-Yalta» che intende proporre. E lo fa capire in tutti i modi. Così si spiega, forse, la carta della coppia di spie giocata dal presidente Clinton, fin troppo irritato per l'improvviso sussulto di autonomia mostrato da una Russia che, bisognosa d'aiuto, era stata a lungo accondiscendente. Insom¬ ma i coniugi Ames, sotto controllo dal 1985, avrebbero pagato le spese della situazione e sarebbero stati usati per lanciare un duro avvertimento alla leadership russa: state attenti che la luna di miele potrebbe interrompersi. I portavoce russi non se l'aspettavano. Ma come? Loro hanno le loro spie da noi, noi le abbiamo da loro, dice Kobaladze. Queste cose si regolano senza fare clamore. E «se si fa clamore - sottolinea Lukin - vuol dire che gli scopi sono altri». Resta il fatto che Boris Eltsin e i radical-democratici di Russia sono diventati, loro malgrado, il bersaglio della polemica americana. Il tutto nel brevissimo giro di una settimana. Kozyrev, che qualche settimana fa l'influente columnist americano William Safire qualificava come il «good guy», il «bravo ragazzo» per eccellenza, si trova ora nella inedita per lui posizione di critico dell'America. Dal grattacielo sulla Smolenskaja si cerca di gettare acqua sul fuoco, s'invita a «non farsi prendere dalle emozioni». Ma gli americani fanno sul serio. Entro poche ore il Cremlino dovrebbe chinare il capo e richiamare in patria i funzionari d'ambasciata che tenevano i contatti con il signore e la signora Ames. E un funzionario del ministero degli Esteri russo, che preferisce restare anonimo, mormora malinconicamente: «Un bel guaio, perché noi saremmo costretti a rispondere». [g. e] Commenta sarcastico il presidente della commissione Esteri della Duma: «Si vede che l'America non ha digerito la Bosnia» ( In alto un'immagine dell'arresto del dirigente Cia Aldrich Ames A sinistra la moglie Maria del Rosario Casas in una foto scattata in segreto dagli agenti deli'Fbi Qui sopra, il presidente Clinton