AZZURRI giganti del Nord

I favoritissimi norvegesi ko: memorabile impresa di De Zolt, Albarello, Vanzetta e Fauner nella staffetta I favoritissimi norvegesi ko: memorabile impresa di De Zolt, Albarello, Vanzetta e Fauner nella staffetta AZZURRI giganti del Nord IL SOGNO MATTO E' REALTA' • LILLE HAMMER ORO della staffata di sci di fondo non è il massimo successo dello sport italiano di ogni tempo, per la semplice ragione che gli sport invernali riguardano una piccola fetta di mondo, e lo sci nordico una fetta della fetta. E' però il nostro successo venuto da più lontano, da territori di paura, di povertà, di ignoranza, di soggezione, territori dai quali ci siamo mossi all'inizio degli Anni Sessanta, prima con Marcello De Dorigo che, primo italiano a battere (1963) gli scandinavi, chiuse per congelamento due anni dopo, poi con Franco Nones che vinse a Grenoble 1968 il primo nostro oro olimpico del fondo, quando Maurilio De Zolt, l'eroe più eroe di ieri, aveva diciassette anni e faceva fondo per divertimento. Battere i nordici al Nord, gli scandinavi in Scandinavia, i norvegesi sulle loro nevi e in seduta parapsicologica con una folla immensa e alla fine schiantata, batterli non con la scintilla di un talento ma con l'impresa di un gruppo apparteneva, neanche troppi anni fa, ai sogni matti, assurdi, presuntuosi. Batterli alla fine di un lavoro logico, calibratissimo, ognuno dei lavoratori esattamente svuotato di tutte le sue forze il giorno giusto nella gara giusta, apparteneva ad una programmazione teutonica, ad un impegno lavorativo giapponese, ad una ingenua intraprendenza statunitense: non roba nostra. Cose comunque già scritte ad ogni progresso, ad ogni successo del nostro fondismo, femminile come maschile. Ieri la novità è stata la scoperta di un quarantatreenne, De Zolt, buono anche per la velocità sui - pochissimi per lui, per il suo diesel - dieci chilometri. Chissà la prossima novità: che ci sarà. Finisce intanto una certa Olimpiade, quella dei lavoratori, e comincia quella dei divi. Fondisti e fondiste torneranno solo per le gare fachiristiche dei 30 e dei 50 chilometri, funzioni religiose della fatica dove un certo pubblico cerca il «frisson» mistico/voyeuristico. I pattinatori di velocità stanno per lasciare il posto agli acrobati un po' clowneschi dello short-track. Da stasera impazzano le pattinatrici di artistico, con le due squinzie americane tese al dollaro, con la Katarina Witt, tedesca ex Ddr affiliata però mai affigliata dalla Germania unita, bella come una dea ma, ventottenne, ansante sul ghiaccio come una massaia. E irrompe, nel gigante, il divo Alberto Tomba, che siamo pronti ad applaudire - anche se lui a parole grosse, cioè piccole (le sue proteste, le sue bizze) sta perdendo pezzi di una Olimpiade dei sentimenti, della simpatia -, ma che ieri abbiamo ritenuto distonico alla festa del fondo, là all'arrivo quasi a paternalisticamente benedire gli altri, che sono stati proprio bravi, che meriterebbero di guadagnare quanto lui. Arrivano i divi, i Giochi si fanno ancora più grossi, ma secondo noi meno grandi. Gian Paolo Ormezzano LILLEHAMMER DAL NOSTRO INVIATO Una medaglia d'oro che ne vale quattro. Perché è la più bella dell'Olimpiade invernale, perché è la prima di una squadra azzurra nel fondo, perché onestamente è giunta inaspettata, perché l'hanno conquistata quattro atleti meravigliosi, incredibili. E' difficile non cadere nella retorica, dopo una giornata così, piena di ansie e brividi, di gioia e commozione allo stadio di Birkebereinen, uno dei grandi templi di questo sport della fatica e dell'umiltà. Ma è anche impossibile non essere coinvolti quando si vedono tanti uomini piangere per la troppo felicità. E le lacrime si sono versate in abbondanza nel clan italiano, insieme agli abbracci, alle urla di un centinaio di tifosi già senza voce. Quante scariche di adrenalina quando Silvio Fauner è entrato nella dirittura finale, sotto un sole abbacinante, seguito da Bjorn Daehlie, il vikingo, il più medagliato (in oro) di tutti i Giochi del fondo da sempre. Una sfida testa a testa, davanti a 40 mila persone, mentre altre centomila nei boschi seguivano la scena dagli schermi tv e dalle radio. L'azzurro è sulla destra, ha due metri di vantaggio. E' uno sprinter di rango, uno dei migliori. Ma ha 10 chilometri di ansie e una grandissima responsabilità sulle spalle. All'avversario è inferiore, quantomeno, in esperienza. E poi c'è l'Heia Heia Norge! spaventoso, assordante. Il «Sissio» ha la testa bassa, non guarda, ha la bava gelata alla bocca. Mulina le braccia, fa scorrere gli sci volocissimi, con falcate potenti. L'ombra rossa di Daehlie diventa minacciosa, si allarga, si allunga. Fauner non guarda, spinge. Ha due metri di vantaggio. Si butta sull'ideale filo di lana, la fotocellula. Vince. Alza le braccia al cielo. Bjorn Daehlie, muove il capo in segno di negazione: «Non è possibile», sembra dire. L'Italia è campione olimpica di staffetta. Il primo oro di squadra della storia. Con quattro decimi di vantaggio sulla Norvegia, il più esiguo da quando ci sono i Giochi invernali. E per questo ancora più bello. Il popolo norvegese, con re Harald V, con Carlo Gustavo re di Svezia, con i loro familiari e dignitari in tribuna, ammutoliscono. Non applaudono. Sembra che la temperatura sia scesa improvvisamente su valori polari. Un mucchio di statuine immobili. Loro che sono grandi sportivi, che sempre si spellano le mani, anche quando arriva l'ultimo degli ultimi, questa volta non hanno digerito. E' un affronto. Si sentono come defraudati di un titolo che era loro, doveva essere la vittoria, l'apoteosi. Così per la prima volta una medaglia d'argento viene accolta come un pugno nello stomaco, a freddo. La gente se ne va ripiegando le bandiere. Lunghe file scendono le montagne bianche. E' un gigantesco funerale. Mentre nello stadio risuonano i canti degli italiani, un inno di Mameli. Stonato, magari, ma che musica. Il successo è arrivato da lontano. Dalla preparazione degli atleti, dai risultati di questi anni. Risultati che hanno messo paura ai norvegesi, che li hanno messi poco alla volta in ginocchio. E' arrivato dalla prima frazione, quando nel difficile lancio «nonno» De Zolt ha resistito al gigantesco Siversten. Prima ingoiato dal mucchio dei 14 concorrenti, con le sue gambette corte, poi subito fuori dal gruppo, dietro ai migliori. Il Grillo resiste, si fa vedere, tiene alle spalle di Sture Siversten che lotta con il finlandese Mika Myllylae. Deve correre con il passo alternato, che non gli piace, ma resiste: 9"8 di distacco, soltanto, dopo 10 km. Parte Albarello. Mette in funzione le sue lunghe leve. Davanti ci sono il «lupo» Ulvang e il grande Kirvesniemi. Vogliono fuggire, ci provano. Poi sarà una questione fra scandinavi. Ma il latino non ci sta. Meglio in tre. I metri da 50 diventano dieci, quindi centimetri. All'ultima curva Marco sembra Villeneuve sulla Ferrari (quella buona), la taglia all'interno e si presenta per primo al cambio. Scatta Vanzetta, subito agguantato da Alsgaard e Raesaenen. E' di nuovo una coalizione nordica. Giorgio però non si lascia intimorire. Anzi prova persino a scattare. Il norvegese e il finnico si scambiano sguardi allarmati. Cosa fa? E' matto? Raesaenen tira con la forza della disperazione. Vuole fare il buco. Ma non ci riesce. Al terzo passaggio dal traguardo, Vanzetta è ancora lì, incollato. Ultimi 10 km: partono Isometae e Daehlie. Fauner è in mezzo a loro. Tutti gli altri sono lontanissimi. Il resto è già storia. Cristiano Chiavegato Fauner entra nella dirittura d'arrivo seguito da Daehlie: comincia l'ultimo terribile duello L'italiano trionfa, il pubblico assiste muto alla sconfitta del suo grande idolo LE TAPPE DEL TRIONFO ITALIA NORVEGIA FINLANDIA MAURILIO DE ZOLT m 10KM MARCO ALBARELLO 20 KM RGIO VANZETTA Elli J 30 KM SILVIO FAUNER 40 KM ILI _ E' il momento dell'esultanza per i quattro fondisti azzurri che hanno trionfato sulla favoritissima Norvegia nella 4 x 10 km

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