Bocconiani e leghisti provate a fischiettar

Vento pre-elettorale su Sanremo. Il sindaco si chiede: «Vendere alla Fininvest? Perché no» Vento pre-elettorale su Sanremo. Il sindaco si chiede: «Vendere alla Fininvest? Perché no» Bocconiani e leghisti: provate a fischiettar Zero: è ora di cancellare iprocessi SANREMO DAL NOSTRO INVIATO Un gelido vento pre-elettorale ghiaccia la quarantaquattresima edizione del Festival di Sanremo. Tutto ibernato: fiori, sorrisi, canzoni. Tutto all'insegna del risparmio, dell'efficienza, della modestia. Primule invece che orchidee, «briefing tecnici» invece che risse tra artisti, sveglia anticipata per tutti, e poi: missing, scomparsi, maghi e camorristi, patron e ballerine. Lo scenario quest'anno è: bocconiani da una parte, leghisti dall'altra, l'un contro l'altro armati. In mezzo, Gio Di Tonno, Nilla Pizzi: il nuovo che avanza. I bocconiani, capitanati da Nadio Delai, direttore di Raiuno, sono qui «per dare spazio al prodotto canzone», o meglio per verificare «la potenza che, anche in chiave di canzoni, il Paese può esprimere»; i leghisti, sindaco in testa, s'ispirano a una più rude concretezza: in attesa di sapere se convenga rinnovare la convenzione con la Rai, in scadenza, o affidare l'organizzazione della kermesse a Berlusconi, loro il Festival se lo sono già venduto. Ai giapponesi. «Abbiamo appena stipulato un accordo economico con la città di Hamamatsu», s'appassiona Davide Oddo, avvocato, primo cittadino di Sanremo da due mesi, bossiano di ferro, «vogliono costruire un centro artistico-commerciale trasportandovi alcune parti del festival della canzone. Noi li aiuteremo, perchè c'interessa attirare qui il turismo giapponese. E siccome abbiamo saputo che loro si spostano soprattutto per sciare e giocare a golf, abbiamo portato la delegazione di Hamamatsu a visitare il nostro green, veramente competitivo». E per lo sci? Ex simpatizzante di sinistra «prima di scoprire che era tutto un gran bidone», ex suonatore di basso, ex scapolo d'oro, Oddo non è uomo che si perda d'animo di fronte alla vastità del mare: «Abbiamo allo studio un progetto con Limone Piemonte». Gli all'ari sono affari, e il sindaco non perde tempo. Se Berlusconi gli chiedesse il Festival, valuterebbe: «Tenendo presente che la Rai è un emittente televisiva e basta, mentre la Fininvest è un gruppo economico che può portare benefici alla città». E come la metterebbe col diritto d'antenna? La Rai ha l'esclusiva per la messa in onda del Festival fino al '97. «Lo lasci dire a me, che sono avvocato: quello è un accordo che, in termini legali, fa acqua da tutte le parti». Con questa chiarezza d'intenti, o bluff, chissà, appena insediato il primo cittadino è andato a Roma, viale Mazzini, «a chiedere che la Rai rispettasse gli impegni economici assunti con gli organizzatori di alcune manifestazioni sanremesi, diciamo così, collaterali al Festival». E com'è andata a finire? «Stanno pagando, gradatamente. Non sono più inadempienti». Con composta signorilità, ai limiti del masochismo, i bocconiani incassano: «Contiamo di ritrovare una sintonia al massimo livello con l'amministrazione civica sanremese», abbozza Delai, «in fondo, siamo tutti nuovi, noi e loro». Nuovissimi. Lo si capisco dall'entusiasmo del neofita con cui il direttore di Raiuno, forse fresco della lettura dei saggi di Gianni Borgna sulla canzone italiana, affronta e definisce il Festival «un appuntamento culturale per il Paese, un filo rosso che ha attraversato la nostra storia negli ultimi quarant'anni, un esempio di forza e di continuità che ha dato origine a tanti pensieri, tante dialettiche». Sarà anche così, ma tanta pesantezza finisce per impensierire Pippo Baudo: «Rileggiamoci "Il contesto" di Sciascia», butta lì, «e poi: dobbiamo anche divertirci un po', parliamo di canzoni». Già, le canzoni. «Questo Festival m'ammoscia» aveva detto il super-presentatore l'anno scorso; quest'anno non può dirlo, perché sua è l'organizzazione artistica, ma si capisce che l'effetto è, più o meno, sempre quello. «La fortuna ha voluto che ci ritrovassimo con una decina di canzoni carine», azzarda, «in fondo, questo Paese tirato come un elastico ha bisogno di una pausa. Non mi aspetto nulla di sensazionale, ho optato per un'impostazione calma, professionale, che faccia cantare la gente. Che la faccia fischiettare». L'ottimismo? E' un gioco al ribasso: «Le canzoni? Quattro o cinque sono carine», dice Mario Maffucci, capostruttura di Raiuno, responsabile storico dell'intrattenimento musicale. E coglie l'occasione per formulare quella che lui chiama una «considerazione in progress»: «L'industria discografica non ci ha seguiti nei nostri sforzi di valorizzazione del Festival. Ma noi non possiamo più permetterci di camminare su una strada in discesa. Anche alla Rai, alla fine, devono tornare i conti». I conti, eccoli: quattro serate di Festival più tre talk-show costeranno alla Rai sei miliardi, due in meno rispetto alla passata edizione, meno della metà del Festival aragozziniano organizzato al Palafiori nel '90. «Per noi questo Sanremo è anche un esercizio di controllo delle spese», puntualizza Delai. Ora non resta che cominciare a cantare, con un po' di paura di disturbare, dato il momento (e per questo il Consiglio comunale di Sanremo ieri ha approvato una delibera con cui chiederà alla Rai di far osservare, nella serata finale, un minuto di silenzio in onore delle vittime della guerra), e tanta fiducia nel potere ipnotico e divagatorio della canzonetta. Per dirla con Renato Zero: «C'è bisogno di distogliere l'attenzione dai processi Cusani e riacquistare ciascuno di noi una sua padronanza». Per dirla con Baudo: «Provate a fischiettar». Lo consigliava già Biancaneve. Stefania Miretti Baudo quest'anno non si ammoscia, l'organizzazione è sua: «Parliamo di canzoni» Renato Zero. Dice: «Ci ho messo quindici anni per essere accettato dalla Rai, per mia presunta omosessualità Non accetto che oggi si facciano ancora discorsi di questo tipo» Sopra: Nilla Pizzi (il nuovo che avanza), qui a fianco: Pippo Baudo insieme con Claudia Mori

Luoghi citati: Limone Piemonte, Roma, Sanremo