Duby Un barbaro al servizio del Papa «santificato» dalla politica di Enrico Benedetto
Duby Duby Un barbaro al servizio del Papa «santificato» dalla politica PARIGI DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Carlo Magno padre dell'Europa moderna: un tema più che mai attuale, ora che l'integrazione continentale raggiunge, dopo Maastricht, la fase decisiva. Ma l'attualità s'impone pure sulla falsariga del Carlo Magno televisivo. Ne parliamo con Georges Duby. Perso nel suo «eremo» provenzale, il settantacinquenne storico sembra considerare almeno parzialmente abusiva l'ottima reputazione goduta da Carlo Magno. E sul film emerge un giudizio ancora più negativo. Ascoltiamolo. Professor Duby, che le sembra il tele-Carlo Magno? «Un po' una stupidaggine, anche se il termine può suonare eccessivo. Come minimo, la sceneggiatura è molto anacronistica. Presta cioè a Carlo Magno intenzioni politiche che sicuramente non aveva». Le SS francesi - che fecero la campagna di Russia al fianco della Wehrmacht - battezzarono «Charlemagne» la loro divisione scegliendo l'imperatore quale simbolo della sintonia franco-tedesca contro il bolscevismo. La giudica un'appropriazione difendibile? «Indubbio che la sua figura possa prestarsi alla propaganda d'estrema destra. Vegliava sulla cristianità per scongiurare le minacce barbariche orientali. Francia e Germania ne condividono l'eredità. Metterla strumentalmente in rilievo durante l'ultima guerra significava rafforzare - o almeno provarci - i legami fra i due popoli». Torniamo al Carlo Magno euro-patriarca. Lo fu veramente? «E' stato uno fra i creatori dell'Europa quale la conosciamo, ma senza averne piena coscienza. Era il clero romano - l'entourage del Papa - ad avere le idee. E per realizzarle ha scelto lui. Obiettivo: espandere la cristianità appoggiandosi sulla forza militare dei Franchi». Semplice strumento in mano al potere clericale, quindi? «In realtà, si stabilì fra i due una specie di asse come quello creatosi nel dopoguerra fra Adenauer e De Gasperi. In ogni caso, l'Adenauer del IX secolo non aveva l'intelligenza che contraddistinguerà il suo tardo successore». Il Carlo Magno mitico non ha insomma granché da spartire con quello della storia? «La sua canonizzazione - sopravvenne, credo, nel '300 - fu politica prima che religiosa. Su caldeggiamento dell'imperatore tedesco. Ma lo mitizzò pure la Francia, eccome. Basti ricordare che - se non mi sbaglio - il San Carlo Magno era la festa delle nostre scuole militari. Una sua statua troneggia infine dinanzi a Notre Dame». Proviamo a riassumere attraverso i secoli le fortune di Carlo Magno. Il reclamarsi suoi figli divise o unì epoche diverse e conflittuali, come Ancien Regime, Rivoluzione, Impero, sino all'attuale V Repubblica? «Lo definirei iperpresente nella letteratura francese. L'imperatore dalla barba in fiore, la Chanson de Roland e via dicendo. Era, la sua, una popolarità perennemente rinnovata. Controprova: i sovrani di Francia lo ritennero sempre il loro capostipite». Oltre ai re e all'uomo comune, l'imperatore «strega» tuttora gli storici? 0 no? «Be', qualcuno ha provato a guardare in faccia la verità. Vale a dire quella di un capo guerriero che fa il re nel modo più coscienzioso possibile. La sua buona volontà rimane indiscutibile. Ma non era uomo dalle ampie prospettive. In compenso, ha saputo circondarsi dei migliori sapienti che vi fossero all'epoca. Intendeva restaurare la cultura, e ne ebbe una consapevolezza precoce. Il fine era divenire un secondo Costantino, facendo rinascere per mezzo della sua persona l'impero romano. La costruzione di Aquisgrana come lo slancio per restituire al latino la sua purezza rientrano proprio in tale logica». Agiva per strategia politica? «No, la sua fu intima convinzione. Era divenuto l'imperatore d'Occidente. Bisognava dunque riprendesse le funzioni che incombevano ai Cesari». I suoi meriti bellici non si discutono. Ma quelli intellettivi erano all'altezza? «C'erano degli intellettuali che pensavano per lui, e bene. Ma Carlo Magno stesso profuse un notevole impegno. Analfabeta, imparò a leggere e scrivere. Alla fine, padroneggiava o quasi il latino. Ma non senza ignorare i suoi limiti. Seppe così trovarsi buoni consiglieri, mostrando notevole disponibilità e apertura». Che cosa ci lascia? «Fino al suo arrivo, l'Europa era in gestazione. Ma dopo di lui esisterà davvero. E' fondamentale non dimenticarlo nel 1994». Enrico Benedetto
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