«Noi picchiatori di neri per gioco»

Tra gli skin di Ostia: è questa la legge da rispettare per vivere nel gruppo Tra gli skin di Ostia: è questa la legge da rispettare per vivere nel gruppo «Noi, picchiatori di neri per gioco» «In città non c'è mai nulla da fare» «Non ci piacciono gli arabi: puzzano» LA RABBIA NEL «GHETTO» LROMA O skin di Ostia, nazi o meno, tiene molto alla sua diversità. E' una questione di sguardi, innanzitutto, prima ancora del taglio di capelli, del giubbotto o delle scarpe. Guarda il mondo in cagnesco, con aria torva, perennemente incazzata. Ce n'erano un paio, ieri pomeriggio, all'ingresso della stazione, che sembravano guardie d'onore al contrario. Impettiti. Rasati. Neri fuori e dentro, neri anche in volto. Hanno ascoltato con sorpresa una domanda a bruciapelo: siete razzisti? «Assolutamente no. Solo che non ci piacciono arabi e polacchi. Puzzano». Poi basta. L'intervista è finita. La stazione di Ostia: se si vogliono trovare i naziskin, bisogna passare di qui. Scritte truci alle pareti. Una settimana fa c'era un banchetto che vendeva svastiche. Qui si ferma il trenino che collega il litorale alla città e che serve migliaia di pendolari. Qui si radunano ogni sera gli extracomunitari che vivono in città. E sempre qui, con aria di sfida, come arditi oltre le linee del nemico, gli skin vengono e vanno. Ma come vivono, cosa fanno, che pensano? Difficile farli parlare. Lo zoccolo duro dei più ideologizzati è praticamente inespugnabile. Parla qualche studente che un po' li imita, un po' li osserva, un po' ne ha paura. Gianni ha 16 anni, porta anche lui il giubbotto nero con lo scudetto tricolore sulla spalla, i jeans sformati, le scarpe da ginnastica Nike rigorosamente nere, i capelli rasati. Lui e i suoi amici, però, portano uno zainetto che tradisce la presenza di una scuola: «Vedi, qui a Ostia si vive per gruppi. Ognuno sta con i suoi amici. E se vuoi stare insieme devi fare le stesse cose. Anche picchiare, se serve». «Dove andiamo? Il pomeriggio si va tutti a via delle Baleniere. E' la strada che attraversa Ostia. Ci sono i bar. Ci sono i negozi. Ognuno sta lì con il suo gruppo. Mica tanto. Diciamo dalle cinque alle sette di pomeriggio. Sette e mezzo, tiè. Chiacchieriamo. Ci conosciamo. Poi si va a casa. Niente di speciale, che credi? A Ostia non c'è mai nulla da fare. Qualche volta andiamo a Roma». Per fortuna che c'è la domenica. «Sabato e domenica si va a ballare. Ci sono due discoteche qui vicino, a Isola Sacra, verso Fiumicino. In genere entriamo alle quattro del pomeriggio e andiamo via tra le nove e le dieci. Ci fanno la musica tecno, quella che mi piace di più. E dentro siamo quasi tutti ragazzi di Ostia. Quando la serata finisce si torna indietro. Chi c'ha la macchina, bene. Sennò in autobus». Dicono che li smontate questi autobus che vi riportano a casa. Anzi, gli autisti dell'Atac raccontano che sembrate uno sciame di cavallette: distruggete vetri, plafoniere, lampade, sedili, corrimano. Che in grup- po siete scalmanati. E che naturalmente nessuno paga il biglietto. «Io non lo so. Non mi è mai capitato. Però me l'hanno raccontato. Sì, qualche volta sarà pure successo». E il razzismo? Tasto dolente in una città di duecentomila abitanti che si sente dimenticata da tutti e invasa dagli immigrati. Domanda imbarazzante che raccoglie risposte opposte. «Qua sono tutti razzisti, altro che storie», dice il poliziotto che ben conosce Ostia. «Bisogna capire, non si può colpevolizzare un'intera città per il gesto di pochi ragazzini. Un gesto goliardico, secondo me», minimizza il parroco, don Antonio. E però... Ecco tre ragazzini dalla faccia pulita, seduti su una panchina del molo, al sole. «Crediamo che questa storia sia tutta una montatura. Se picchiavano un italiano non si sarebbe fatto tutto questo chiasso», dicono convinti Giuliano, Luca e Fabio, diciassette anni ciascuno, «fuggiti» da scuola per una mattina. «Abbiamo discusso con i nostri amici. Quel tunisino se l'è cercata, ne siamo convinti». Non dicono nulla di sconvolgente, per quel che si sente in giro a Ostia. E' l'opinione corrente. Si entra al bar e il barista ti dice, con promessa di anonimato: «Non dico che sia giusto quello che hanno fatto, però l'episodio mi sembra un po' montato». Si va all'alimentari e anche qui, sotto anonimato, rispondono: «Mi domando come faccia uno che è stato picchiato da 70 ragazzi ad essere dimesso dall'ospedale il giorno dopo. Come minimo doveva avere una prognosi riservata. Qui è stato ingigantito un fatto solo perché si trattava di un extracomunitario». Insomma si tratta, come dire, di un razzismo latente, per istinto e non per ideologia. I ragazzi, soprattutto, si sentono sotto accusa. Sarà forse perché nella città dilaga la moda della testa rasata. Dice Gabriele, studente del liceo scientifico Enriquez: «Non è detto che un giovane deve essere additato come razzista solo perché porta un giubbotto bomber e i capelli corti». In fondo Gabriele ha ragione. E' inevitabile, quando un fenomeno diventa di massa, che si annacqui. Più o meno quanto dice il dirigente del commissariato, Nicola D'Angelo: «Saranno in duecento che scimmiottano i naziskin. Non sono veri skin. Né sono particolarmente ideologizzati. Tanto più che sono minorenni o quasi». Minorenni. Lo dice anche il parroco. «E' difficile, con i giovani d'oggi. A sedici anni seguono le mode. Un tempo c'erano i capelloni. Oggi le teste rasate. Ma io penso che quando cresceranno passerà anche questa. Appena entreranno nel mondo del lavoro cominceranno a trottare. E vedrete che si faranno anche crescere i capelli alla lunghezza giusta». Francesco Grignetti E' la stazione il loro covo Il parroco li assolve «E' stato soltanto un gesto goliardico» Ma un poliziotto «Sono tutti razzisti e le teste rasate hanno tanti imitatori» Il tii Ali Sdi iverat Il tuall'oaggMa«Soe lha Il tunisino Ali Saadani, ricoverato all'ospedale «Grassi» di Ostia dopo aggressione subita sabato Alcuni extracomunitari lungo le vie di Ostia. Sotto, la stazione, luogo di ritrovo abituale dei gruppi di giovani naziskin

Persone citate: Enriquez, Francesco Grignetti, Isola Sacra, Nicola D'angelo

Luoghi citati: Ostia, Roma