Noi l'impero della censura

il caso. Russia: in mostra due secoli di libri vietati il caso. Russia: in mostra due secoli di libri vietati Noi, l'impero della censura Wl MOSCA ■ HI negli Anni 70 arrivaI va all'aeroporto interI i nazionale Sheremietevo jtdJ a Mosca quasi sempre si scontrava con un doganiere indagatore che si metteva a sfogliare giornali e settimanali che il viaggiatore aveva comprato prima di partire. Raramente in dogana erano in grado di capire quel che leggevano. Ma se su qualche rivista patinata occhieggiava un seno nudo o su un giornale compariva la faccia di Breznev, tutto veniva immediatamente confiscato. Chi arriva oggi a Sheremietevo, anche se sa che la censura è stata abolita (e in parte ora reintrodotta dopo i fatti di ottobre alla Casa Bianca), anche se sa che non ci saranno problemi per qualsiasi libro o periodico portati con sé, conserva tuttavia il timore che qualche cosa gli venga sequestrato. Perché in Russia i divieti da parte del potere nei confronti di tutto quanto viene stampato in Occidente sono una storia vecchia, secolare, che risale ai tempi di Caterina II e ancor prima. Una storia ben documentata dalla mostra allestita alla Biblioteca Nazionale di Pietroburgo intitolata La censura di libri stranieri nell'Impero russo e nell'Unione Sovietica, realizzata con il concorso dell'americana Università dell'Illinois e delle biblioteche dell'ex capitale, e dedicata al rapporto complesso, sempre autoritario, fra potere e libri. Un rapporto contraddittorio ben esemplificato dalla celebre battuta dello zar riformatore Alessandro II al suo ministro dell'Istruzione: «Questi vostri scrittori! Non si può prestar fiducia nemmeno ad uno di loro!». Edizioni ottocentesche di libri sequestrati, copie di leggi, decreti, rapporti censori esposti a Pietroburgo raccontano l'eterna lotta della cultura con lo Zar prima e con i soviet do- po. Ecco allora i romanzi di Balzac, vietati perché «la perversione e la lascivia sono rappresentati dai loro punti di vista più pericolosi». Perché il no alla Tentazione di Sant'Antonio di Flaubert? Perché «il libro per il suo contenuto, non privo di talento, rischia di trovare da noi numerosi lettori soprattutto nell'ambiente della gioventù, non ancora formatasi moralmente». E che dire del rapporto con cui il censore Komarovskij raccomanda che nel romanzo in cui Victor Hugo racconta i primi anni della Monarchia di Luglio si facciano tagli in quei punti in cui «l'au¬ tore mette in buona luce la rivoluzione e dove loda la rivolta e l'insurrezione»? La censura religiosa non amava le opere di Voltaire perché riteneva che umiliassero «la dignità della Storia Sacra». E nell'indice zarista entrano anche George Sand, Emile Zola e pure Ibsen, perché «quasi tutti i personaggi dei suoi drammi danno vita a una dura protesta contro la struttura sociale». Il controllo sull'edizione e la diffusione di libri che sostenevano idee «pericolose» e influenze non desiderate sui lettori non è mai stato esercitato forse con tanto zelo quanto in Russia. La prima a istituire comitati di censura fu Caterina II. In realtà l'imperatrice nel 1782, con una decisione liberale e certamente influenzata dai suoi rapporti di amicizia epistolare con gli illuministi francesi, aveva permesso per la prima volta la stampa privata di libri, sottraendo l'attività editoriale al monopolio dello Stato. Ma negli anni successivi, temendo in Russia ripercussioni politiche della Rivoluzione francese, si rimangiò tutto: ordinò la chiusura delle case editrici e instaurò un regime censorio che fu non soltanto mantenuto, ma rafforzato dal suo successore, Paolo I. Questi proibì anche l'importazione di libri dall'Occidente. Le cose andarono decisamente meglio con Alessandro I il quale abolì il divieto ed emise per la prima volta una legge organica in base alla quale tutti i libri dovevano essere esaminati e si doveva permetterne la stampa e la vendita soltanto per quelli che «contribuivano all'istruzione delle menti ed all'educazione dei costumi». Un passo indietro con Nicola I che nel 1826 istituì addirittura due comitati censori: uno per i libri pubblicati in Russia e l'altro per quelli che arrivavano dall'estero. Le cose cambiano di poco all'inizio del secolo, anche dopo l'abolizione di ogni divieto nel 1906 da parte di Nicola II: di fatto il controllo è stretto e prosegue sino al 1917. La rivoluzione peggiora la situazione, spiegano gli organizzatori della mostra, «perché la censura degli zar restava comunque sempre all'interno di una cornice giuridica precisa. E non solo, il nome dei censori di ogni volume era noto. E ancora, dei comitati di controllo facevano parte nomi altisonanti della letteratura russa: Vjasemskij, Tjutcev, Polonskij, Gonciarov, Aksakov». Subito dopo la Rivoluzione Lenin tornò a instaurare la censura sostenendo che sarebbe stata una misura temporanea. Invece fu abolita solamente nel 1990. Sembrerà impossibile, ma dalla mostra si possono imparare ancora cose sulla repressione sovietica, per quanto l'argomento sia stato uno dei più dibattuti e affrontati negli anni passati dalla pubblicistica occidentale. Ecco per esempio una copia sopravvissuta del Talmud. Che non è il libro religioso ebraico, ma il soprannome con cui si indicava il «libro nero», cioè il manuale con tutte le norme e le istruzioni per il censore. Istruzioni complesse e raffinate, perché a differenza dal potere zarista, i sovietici, per dimostrarsi liberali, traducevano molto di più, ma poi, per non urtare la sensibilità del popolo, «miglioravano» abilmente il testo. O ricorrevano a divertenti piroette redazionali. Due esempi per tutti. Dopo la morte di Stalin quando il capo della polizia segreta Beria fu processato e fucilato, lo spazio che occupava la sua biografia nella Grande Enciclopedia Sovietica fu sostituito con un disegno dello Stretto di Bering, voce che lo precedeva in ordine alfabetico. Nel 1970 gli editori sovietici pubblicarono 2001 Odissea nello spazio ma omettendo il finale (evidentemente non poteva piacere l'idea della trasformazione dell'eroe astronauta in una sorta di divinità cosmica») con una postfazione in cui si spiegava il taglio perché «non conforme alla concezione scientifica dell'autore» Arthur Clarke. Sergio Trombetta Da Victor Hugo a George Sand, dagli zar ai figli del bolscevismo: «Non pubblichiamo per salvare il popolo» A sinistra: George Sand Qui accanto: Victor Hugo Una scena da «2001 Odissea nello spazio» A destra: Honoré de Balzac A sinistra: Beria fotografato con Malenkov Sopra: Emile Zola

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