Tra gli Undici e Atene il giorno degli sgarbi

I partner disertano il vertice Cee per protesta contro l'embargo alla Macedonia I partner disertano il vertice Cee per protesta contro l'embargo alla Macedonia Tra gli Undici e Atene il giorno degli sgarbi BRUXELLES DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Dopo 22 mesi d'assedio, a Sarajevo finalmente si respira. Il silenzio dei cannoni è senz'altro un successo dei Paesi occidentali che, molto tardivamente, hanno unito voci e sforzi nel lavorio per la pace. E paradossalmente proprio ora, quando il mondo intero si chiede se non fosse il caso di mostrare questa compattezza due anni fa, sul guscio dell'Europa appare una crepa strana, preoccupante, che rischia di far crollare d'un colpo i sogni di politica estera comune che i dodici Paesi dell'Unione inseguono da anni. Questa crepa si chiama Macedonia, e l'ha aperta la «delicatezza» della diplomazia greca. Mercoledì scorso, in pieno conto alla rovescia per l'ultimatum ai serbi, il ministro degli Esteri greco Karolos Papoulias compie un viaggio a Belgrado, dove incontra il leader serbo Slobodan Milosevic ed il suo alleato serbo-bosniaco Radovan Karadzic. Papoulias, definendo «importanti e utili» i colloqui, sfrutta il fatto che la Grecia ha la presidenza di turno dell'Unione europea, e propone una riunione straordinaria dei ministri degli Esteri dei Dodici, sperando di fermare gli orologi della Nato. La proposta non arriva neanche ad essere formalizzata, perché dalle altre capitali europee si fa immediatamente capire che l'iniziativa non è benvenuta. Che la Grecia abbia simpatia per la Serbia, e che soprattutto veda come il fumo agli occhi l'indipendenza acquisita dalla vicina Macedonia, è noto. Ma nessuno si aspettava quello che poi è accaduto. Due giorni dopo la visita di Papoulias a Belgrado, senza dir nulla ai «cugini» dell'Unione europea ed agli alleati della Nato, Atene decide di chiudere la frontiera con la Macedonia, colpevole di voler continuare a chiamarsi così, con lo stesso nome della regione greca subito aldilà del confine. Il governo di Atene decide che nessun commercio potrà più passare in Macedonia dalla Grecia, condannando così la piccola Repubblica ad un isolmento quasi totale. La mossa non è piaciuta molto e così, ieri, la riunione dei ministri degli Esteri dei Dodici è andata quasi deserta: con due sole eccezioni, i ministri si sono rifiutati di partecipare ad un Consiglio dell'Unione che, organizzato dalla presidenza di turno greca, avrebbe dovuto affrontare la questione bosniaca. Beniamino Andreatta ha preferito andare a Budapest, per incontrare il russo Kozyrev, il britannico Hurd ha raggiunto il collega francese Juppé a Parigi, ed il tedesco Kinkel è rimasto a Bonn, a ricevere una delegazione cipriota (!). Il ministro greco degli affari europei, Theodoros Pangalos, si è quindi trovato a presiedere una riunione di ministri del commercio e di «numeri due» degli Esteri. Le eccezioni, il lussemburghese Poos ed il danese Petersen, non l'hanno del resto troppo confortato: «La decisione della Grecia è illegale, perché con la Macedonia l'Unione europea aveva stabilito legami preferenziali», ha detto Petersen, ancor prima che la riunione avesse inizio. Quando poi, a pranzo, è stato affrontato l'argomento, per Pangalos il pasto si è trasformato in una via crucis. Ad aprire il tiro al bersaglio è stato il Presidente della Commissione europea Jacques Delors, condannando la chiusura della frontiera macedone «sia dal punto di vista politico, sia da quello giuridico». Bloccare i traffici commerciali dei partner europei con un Paese terzo, chiudendo una «frontiera esterna» dell'Unione, non può infatti in alcun modo essere in linea con «lo spirito comunitario». Vero è che l'articolo 36 del Trattato dell'Unione prevede «i divieti o restrizioni all'importazione, all'esportazione e al transito» di merci, ma solo se «giustificati da motivi di moralità pubblica, di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di tutela della salute e della vita delle persone». Pangalos ha allora tentato di giustificare il suo governo facendo capire che la Macedonia viola l'embargo nei confronti della Serbia: «Lo scorso anno per la Grecia sono transitati dirette in Macedonia 12 milioni di tonnellate di petrolio, mentre il fabbisogno del Paese è di tre milioni. Dov'è il resto?». Ma i suoi argomenti non hanno convinto, ed il Consiglio ha deciso di inviare prima ad Atene, poi nella capitale macedone Skopje, il commissario europeo Hans Van den Broek, con il compito di raccogliere «informazioni», prima di denunciare la Grecia alla corte di giustizia dei Dodici. Capita la gaffe, ora ad Atene si spera in una soluzione diplomatica. Pangalos ha auspicato «sviluppi rapidi». Ma come ci ha detto un alto diplomatico della Nato, l'imprudenza della Grecia, valutata nel teatro balcanico già sconvolto dalla guerra, appare come «sale sulla ferita del buon senso». Fabio Squillante