Musica brindisi e lacrime di Giuseppe Zaccaria

Musica/ brindisi e lacrime Musica/ brindisi e lacrime Alla festa per ilprimo giorno di pace NELLA CITTA' CHE TORNA A SPERARE SARAJEVO DAL NOSTRO INVIATO Dov'è la guerra? Da un'altra parte. A pochi chilometri da qui, magari, a Tuzla, Srebrenica, intorno a Gorazde: in tutti i luoghi (e sono ancora decine) in cui il grande macello o la lenta asfissia delle enclave musulmane continuano lontani dagli obiettivi delle tv, e senza che i grandi giornali dedichino loro una riga. Dovunque, in Bosnia: in ogni caso, non più a Sarajevo. I bosniaci continuano a rincorrere il fantasma di un ultimatum «ancora effettivo», secondo la Nato. I serbi a far finta di non essersi nemmeno accorti dell'ultimatum. «Se ci siamo ritirati - ripete Karadzic - è stato per le pressioni dei nostri amici russi, non certo per le minacce europee». Sia come sia, Sarajevo ieri mattina si è svegliata diversa. Più tardi, tanto per cominciare. A causa di una notte trascorsa con l'orecchio teso, le radioline acceso, in una concentrazione che fino all'una - la «dead line» pareva solida più della neve. E più tardi, per un sollievo che una volta tanto ha accomunato assediami e assediati, con musica nei bar (a dispetto del coprifuoco), feste, falò e discese notturne con gli sci dalle collina presidiate dai serbi. Per molti giorni ancora, ascolteremo le proteste di Izetbegovic e Ganic, ostinati (più il secondo che il primo) nel denunciare quella che per loro è una «non soluzione», a gridare al mondo che compromesso non vuol dire capitolazione, e Sarajevo continua pur sempre ad essere città assediata. E' vero: ma il colonnello Aikman, canadese, fino a ieri misuratissimo portavoce delle Forze Onu, adesso si lascia andare fino a dichiarare al mondo: «Missione compiuta: adesso a Sarajevo c'è la pace». Oltre le colline, le voci dei leaders serbi continuano a immaginare un «modello Sarajevo» anche per il resto della Bosnia. Forse è solo l'euforia del passato pericolo, ma la variazione è sensibile, forte, e adesso pare superare ogni riserva, oscurare per un giorno tutti i fuochi di guerra che altrove continuano a divampare. Le armi che i serbi hanno portato via da Sarajevo, spareranno domani contro le altre città musulmane? Il sistema di osservazione radar messo in piedi negli ultimi giorni da Onu e Nato, sembra poter escludere quest'eventualità. All'altra sera, le armi pesanti consegnate dagli assediami ai caschi blu erano 260, contro 45 di parte musulmana. Le proporzioni di forza appaiono rispettate: quel che ancora si trova intorno a Sarajevo, nelle nove, impervie postazioni che l'altra notte il maltempo aveva impedito di raggiungere, da ieri viene trascinato (spesso con l'antico sistema del traino: davvero i serbi non hanno più un goccio di benzina) verso i punti di raccolta. Anche Grbavica, l'ultima ridotta serba, comincia a sguarnirsi. Al più presto i caschi blu contano di raggruppare tanks e cannoni in due soli grandi depositi, che potranno essere controllati più facilmente. Due enormi casseforti della pace: l'immagine usata dagli ufficiali dell'Onu sarebbe suggestiva, non fosse per le tensioni che proprio intorno ai caschi blu continuano a montare. Basterà attendere qualche settimana: poi, c'è da scommetterci, a incarnare le nuove inquietudini di Sarajevo sarà rimmmagine rubiconda del generale Nikolaj Seskov, comandante la forza d'interposizione russa. E' giunto ieri, il resto dei «liberatori», accolto ancora una volta dai serbi con applausi, bottiglie di grappa e fiori miracolosamente estratti dalla coltre di neve. Dai blindati con le insegne dell'Onu, i para di Eltsin rispondevano con il segno del «tre», che esprime la comune identità ortodossa. Adesso si sono sistemati a Grbavica, in un'ex scuola che il comando serbo ha abbandonato, e il generale Seskov ha ricevuto compunto i saluti e gli omaggi dei generali serbi che gli lasciavano le consegne. A debita distanza - anche in tempi di «cessate il fuoco» non è prudente avventurarsi fin sulle prime linee - un gruppetto di bosniaci aveva improvvisato una manifestazione con tanto di slogans stremati e di improvvisati cartelli che dicevano «Ghali è un traditore». I russi fanno sapere subito che non tollereranno polemiche. Stretto fra un pesante colbacco e il colletto di pelo azzurro della divisa, il generale Seskov ha aperto la bocca solo per dichiarare: «Siamo qui su mandato delle Nazioni Unite, e svolgeremo i controlli sulle armi in modo del tutto imparziale». Vitalj Churchill, inviato speciale di Eltsin, l'uomo che contende al generale Rose l'immagine di «grande pacificatore», è ancora più netto: «Non è più il momento delle accuse pretestuose. La forza d'interposizione russa svolgerà il suo compito così com'è stato prefigurato». Tutto sta a capire cosa è stato prefigurato davvero, nei segreti ambulacri che in poche ore hanno partorito questa sorta di miracolo. Giuseppe Zaccaria Sciatori sulle alture sgomberate dai serbi ma l'assedio continua a distanza I soldati russi accolti con gioia dai serbi di Bosnia (foto reuter]

Persone citate: Aikman, Churchill, Eltsin, Ganic, Ghali, Izetbegovic, Karadzic, Nikolaj Seskov

Luoghi citati: Onu, Sarajevo