Di Pietro Bossi ho preso i 200 milioni di Susanna Marzolla

Il pm non crede alla versione della Lega. E a Cusani: «Ecco la verità, ha dato un miliardo al pei» Il pm non crede alla versione della Lega. E a Cusani: «Ecco la verità, ha dato un miliardo al pei» Di Pietro: Bossi ho preso i 200 milioni Per il finanziere nuove accuse: fu appropriazione indebita Aperta una inchiesta sui giornalisti per «ricettazione» MILANO. Nuove accuse contro Sergio Cusani: il pubblico ministero Antonio Di Pietro ha rifatto i conti, ha usato contro l'imputato le sue stesse dichiarazioni e gli ha aggiunto l'imputazione di «appropriazione indebita» per un totale di circa 80 miliardi. Non solo: ha spiegato che dovrà indagare anche su altri episodi. Il giro di denaro emerso al processo è infatti di oltre 250 miliardi. Dal nuovo capo di imputazione non esce bene neanche la procura che era partita sicura di sé e si trova a dover ridisegnare la cosiddetta «maxi-tangente»: i 75 miliardi a Craxi e i 35 a Forlani hanno lasciato il posto (per ora) a cifre notevolmente inferiori. Ma è soprattutto l'imputato a uscirne male, con un'accusa infamante per chi, come lui, ha sempre sostenuto un punto d'onore: «Non mi sono mai appropriato di denari non miei». Queste le nuove accuse. Primo: la formazione della «provvista». Centocinquantatre miliardi, ottenuti «falsificando il bilancio» della società. Li ha pagati sì l'immobiliarista romano Domenico Bonifaci, ma con soldi anticipati dalla Montedison. Secondo: l'illecito finanziamento ai partiti per Enimont. Di Pietro elenca quello che è emerso in aula o dalle rogatorie all'estero e ottiene una somma di ventidue miliardi e mezzo (per un errore di conteggio ne vengono indicati ventinove), così suddivisa: 7 miliardi e mezzo a Craxi, tramite il suo uomo di fiducia Mauro Giallombardo; 5 miliardi e 300 milioni all'ex ministro Paolo Cirino Pomicino; 3 miliardi ad Arnaldo Forlani, tramite Citaristi; 2 miliardi e mezzo «ad esponenti romani della de facenti riferimento a Giulio Andreotti» (Sbardella e Moschetti); 4 miliardi al defunto esponente democristiano Franco Maria Malfatti. Terzo: il finanziamento per le elezioni del '92. Sei miliardi e mezzo è costata ai Ferruzzi quella campagna elettorale, dai pochi milioni in buoni benzina, alle cifre a nove zeri per i soliti Craxi (2 miliardi e 250 milioni) e Forlani (un miliardo e mezzo). Passando per i 500 milioni ciascuno a Martelli e Cirino Pomicino; i 300 al pri e alla sinistra de; i 200 milioni a pli, psdi e alla Lega. O meglio «all'on. Umberto Bossi che riceveva per il tramite di Alessandro Patelli». Rendendo chiaro che la procura non ha creduto alla versione del «pirla» Patelli: «Ho fatto tutto da. solo, poi me li hanno rubati e Bossi non lo sapeva». Quarto: i politici misteriosi. Ci sono 53 miliardi, più 22 di interessi che sono finiti non si sa dove: «Cusani - spiega Di Pietro - prima ha detto che erano per esponenti politici; poi ha sostenuto che li ha fatti avere a Raul Gardini. Secondo noi sono andati a politici di cui allo stato non è accertata l'identità. Per farlo occorre una lunga rogatoria e siccome vogliamo finire in fretta su questo chiediamo lo stralcio». Notare che la somma (75 miliardi) corrisponde a quanto si riteneva avesse incassato Craxi. Quinto: l'appropriazione indebita. Tutto quanto resta (78 miliardi tra Enimont e il '92) Di Pietro l'ha definito «cresta a soggetti non politici, secondo il criterio: mangiano tutti, mangiamo anche noi». Di qualcosa si sa la destinazione: 4 miliardi a Bisignani; 2 miliardi alla Fondazione San Serafino, e così via. Tutto il resto il pm lo appioppa allo stesso Cusani, visto che è passato sui suoi conti. Sesto: la defiscalizzazione. A Cusani viene contestato l'illecito finanziamento perché «erogava quanto meno la somma di un miliardo al pei». In concorso con Gardini ma sugli eventuali riceventi nessun nome; così come manca ancora la divisione per le altre somme (in totale 9 miliardi e mezzo) «erogate alla de e al psi». Settimo: un altro stralcio. Due versamenti per un totale di un miliardo e 600 milioni di nuovo «ad esponenti romani della de facenti riferimento ad Andreotti». Ma non si sa chi sono, occorre indagare; notare la data: gennaio-febbraio 1993, un anno dopo Tangentopoli. Ottavo: varie ed eventuali, ancora da definire. C'è di tutto: dai compensi allo Ior (14 miliardi) ai «sistema Troielli» (l'esponente psi tuttora latitante: 20 miliardi). E il miliardo finito ai giornalisti: «C'è reato anche per loro - dice chiaro Di Pietro - è la ricettazione». E anche se Cusani non vorrà far nomi, la procura indagherà ugualmente: se qualche «pennino corrotto» si sentiva ormai al sicuro, da stasera comincerà a dormire male. Susanna Marzolla Per II pubblico ministero Antonio Di Pietro un'altra giornata da mattatore al processo Cusani

Luoghi citati: Milano, Quarto, Sesto