DA RABBIT A RABBI PER UN COLPO DI VENTO di Stefano Bartezzaghi

DA RABBIT A RABBI PER UN COLPO DIVENTO DA RABBIT A RABBI PER UN COLPO DIVENTO to abbattutasi sul quartiere londinese di Golders Green, dove vivono principalmente ebrei, divelse l'ultima lettera dell'insegna che recava il titolo in programmazione presso il cinema Cannon Ionie, trasformandolo in «Chi ha incastrato Roger Rabbi» (da: Il Guinness del cinema, Gremese 1993; ed. or. 1988). Poi c'è il caso in cui entrambe le parole (quella attesa, quella inattesa) vengono rese esplicite nella costruzione del gioco di parole. Un bell'esempio è una frase tratta da una critica televisiva: «Un tempo, chi voleva fare dell'arte doveva avere il senso della mistura. Da che c'è la Tv, deve avere il senso della misura» (Nota, Penserete che sia una critica assai post-modem, up-to-date, work-in-progress. Coglie in un solo colpo i programmi-contenitore e Blob, lo show di Maurizio Costanzo e i programmi di Santoro. Invece è una frase di Achille Campanile, datata 10 settembre 1961). Abbiamo dunque tre esempi distinti l'uno dall'altro. I. La parola «sponsor» compare dove ce la si aspetta (ma le circostanze ci fanno intendere tutt'altra parola). II. La parola «Rabbi» compare dove ci si aspetta la parola «Rabbit». III. Compare il tema (senso della misura) seguito dalla sua variazione («senso della mistura»). Il caso IV. (Non compaiono né il tema né la variazione) chissà se esiste. Al caso I, appartiene la classica contrepèterie francese, che è un gioco per alludere, alle parolacce senza dirle. Abbiamo visto sabato scorso che se «patata bollente» fosse un'espressione oscena (e chissà che non lo sia), sarebbe una buona contrepèterie usare, al suo posto, la locuzione «patente bollata». Al caso II, appartengono certe freddure (chiamare Sgarbi «il bullo della non è per palati fini). Accostamenti, dunque: e non è detto che questi accostamenti debbano avverarsi. Il più delle volte basta un'evocazione. E' andata in onda la replica di Indietro tutta, e lì ci sono puntate in cui Renzo Arbore ripete continuamente ringraziamenti «al nostro sponsor, che è un grandissimo sponsor». Ripetuto in un certo modo, «grandissimo sponsor» fa venire in mente «grandissimo...» (qualcos'altro, più scurrile di sponsor). Questo è il caso in cui si dice la parola che ci si attende, ma si riesce a far pensare a una parola inattesa. Dato che non tutti sono bravi quanto Arbore - e occorre davvero una certa bravura tecnica - nella maggior parte dei casi avverrà che si dice la parola inattesa, al posto di quella attesa. E' quel che succede, nel caso in cui l'autore del gioco di parole sia il Caso: «Nel novembre del 1988 una bufera di ven¬ psus, caso...), l'effetto (enigmatico, divertente, nevrotico, poetico), la situazione (enigmistica, mistica, salottiera, letteraria...). Bisogna soprattutto vedere se ne vale la pena o se invece il gioco di parole non sia (in realtà) solo uno scherzo. Come dice un famoso (per chi se lo ricorda) brano dello stesso Beckett: «La divisione tra scherzi che una volta erano stati di buon gusto e scherzi che non lo erano mai stati, non era la meno importante delle innumerevoli classificazioni che Murphy un tempo infliggeva alla realtà bruta. Che cosa avrebbe potuto salvare il caos, più di un imperfetto senso dello humour? In principio era il calembour. E così via». E così sia. Scrivete a: Stefano Bartezzaghi, «La posta in gioco», Lo Stampa-Tuttolibri, via Marenco32, 10126 Torino. diretta»). Al caso III, appartengono quelle frasi come: «Il cuore ha ragioni che la ragione non conosce». Al caso IV, appartiene il silenzio - che spesso è un gran bel gioco di parole -, ma anche la risposta di Samuel Beckett a un intervistatore: «Lei è inglese?» «Al contrario». Ci stiamo preparando a una classificazione complessiva dei giochi di parole? Direi di no. Bisogna vedere se tutti i giochi di parole sono accostamenti di termini in coppie. Bisogna vedere se per distinguere i giochi di parole bisogna considerare la meccanica (scarti, zeppe, scambi, sciarade, anagrammi...), l'intenzione (calembour, gaffe, la¬ Stefano Bartezzaghi

Luoghi citati: Rabbi, Torino