IDENTIKIT PER UN SANTO

IDENTIKIT PER UN SANTO IDENTIKIT PER UN SANTO Ij «invenzione» culturale di Francesco te, si celano dietro quelle prospettive, quei segni, e restituir loro sonorità. Leggendo questo documentato, originale studio di Chiara Frugoni [Francesco e l'invenzione delle stimmate. Una storia per parole e immagini fino a Bonaventura, e Giotto, Einaudi, Torino 1993, pp. 430, 180 ili., L. 120.000) mi torna alla mente un altro bel libro, dovuto a Luciano Bellosi (La pecora di Giotto, Einaudi, 1985), nel quale l'anomalia di alcune raffigurazioni giottesche di Francesco senza barba rappresenta il nodo principale d'un complesso reticolo di relazioni formali tra dipinti, culminante addirittura nella proposta di una retrodatazione degli affreschi assisiati. Francesco sbarbato si rivelò a Bellosi come «un'immagine intenzionale, pregna di una forte carica ideologica, in polemica con gli spirituali e simbolo del francescanesimo moderato dei conventuali, gradito alla Chiesa e alla ricca borghesia fiorentina». Eppure fra 1290 e 1300, ad Assisi e nella tavola del Louvre, il Francesco di Giotto ha la barba; la perde verso il 1320, a S. Croce, proprio quando la leggera, quasi impercettibile rotazione del suo corpo lo rende speculare a quello del Cristo crocifisso, mano destra inchiodata dalla luce della mano destra, mano sinistra da quella della mano sinistra, e così via. Sarà, forse, un elemento ico- 'rwtiTsai di lionavenlura Iteriti taf n'eri nografico mirante ad attenuare lo scandalo di quell'identificazione, cioè a rendere accettabile l'idea, così ben intuita ed anche dimostrata ora da Chiara Frugoni, che «davanti al santo è apparso Cristo, con il suo corpo di uomo, per imprimere nella carne di Francesco il marchio che lo divinizza». Quella divinizzazione era stata pensata e propugnata trent'anni prima di Giotto, con sottile strategia politico istituzionale, ad opera di Bonaventura da Bagnorea nella sua Legenda, o biografia agiografica (1262-3), mediante la quale - eliminando la grande quantità di materiali scaturiti per crescita spontanea e «selvaggia» - aveva sigillato la «nuova linea» apertasi con il prevalere dei conventuali sugli spirituali, rigoristi e pauperisti, nel capitolo generale di Narbona (1260). L'idea di Francesco, e per conseguenza la sua immagine, furono da Bonaventura - in ogni senso - inchiodate alla croce: Francesco, le cui ferite sbocciano di quelle stesse della Passione archetipica, divenne cosi Valter Christus, portatore d'un messaggio radicale e rivoluzionario, ma anche ecclesialmente accettato perché riassorbito entro rigorosi schemi teologici e quindi sottratto alle molte e diverse mitografie dei primi decenni. Non a caso la proposta di schietto stampo bonaventuriano elaborata da Giotto «verrà prontamente accolta dai pittori successivi e sarà l'iconografia vincente». Con limpido dominio di un numero impressionante di fonti, let¬ ri terarie e visive, e con puntualissime indagini di dettaglio Chiara Frugoni ricostruisce la storia delle metamorfosi subite lungo il Duecento dalla figura («raccontata» e «raffigurata») di Francesco nell'immaginario collettivo, nelle pratiche devote, nelle differenti e spesso contrastanti espressioni ideologiche dell'ordine minoritico. A partire dal biglietto di Leone, il frate che nell'autunno 1224 aveva accompagnato il santo nei recessi della Verna desolata e dalla lettera di frate Elia che, tacendo della visione del serafino, descrisse le stimmate con un paragone di alta densità simbolica (Francesco come Cristo appena deposto dalla croce, con «chiodi di carne nella carne»), la Frugoni attraversa la spinosa questione delle fonti francescane in un capitolo molto denso (anzi forse anche troppo, visto che alcuni risultati potevano ritenersi sottintesi, essendo ormai saldamente acquisiti dalle ricerche, ad esempio, di Sofronius Clasen, di Kajetan Esser, di Raoul Manselli e di Giovanni Miccoli). La meta di quest'archeologia, o geologia, delle stratificazioni testuali-figurali è, appunto, il binomio Bonaventura-Giotto. La Frugoni da una parte studia come vengono livellate le idee, come le immagini mentali si riducono, quindi si radicalizzano e si definiscono anche sul piano teorico. Dall'altra, con gli strumenti dell'iconologia raffinati dalla scuola warburghiana in poi, verifica il conformarsi delle immagini dipinte ai nuovi indirizzi coordinati dal «centro politico»: sono tagliati via tutti gli spunti selvaggi, eccessivi, legati all'idea ossessiva di una sofferenza fisica, di una materialità e carnalità lacerate, che si sovrappongono nel tempo, fonte dopo fonte, all'apparizione figurale del serafino dardeggiarne ferite d'amore sulla Verna. Né frode né illusione, le stimmate di Francesco si trasmettono dalle fonti scritte a quelle orali, dalle testimonianze teologiche alle riplasmazioni pittoriche. Sono scandalo e pietra d'inciampo, esempio mirabile della passio Francisci parallela a quella di Cristo e traccia testimoniale della «comprensione del dolore e della sofferenza altrui» che «costituiscono la santità di Francesco e segnano come momento culminante, in crescenr do, la fine di quella vita esemplare». Al pari della tunica povera, un sacco tagliato a «T» perché somigliasse alla croce; della «Tau» dalla potenza magico-simbolica, tracciata quale signum di pace in un celebre biglietto autografo (al quale Chiara Frugoni dedica alcune importanti pagine del libro); del presepio di Greccio e della predica agli uccelli, incentrata sul tema della povertà. I programmi degli affreschi e delle tavole esibiscono chiaramente Francesco quale maestro di esistenza da imitarsi come exemplum: secondo le parole di Tommaso da Celano «i miracoli mostrano, ma non costituiscono la santità». Così nella tavola Bardi, su cui s'incentra il bellissimo penultimo capitolo, le singole scene raffigurate si trasformano in imagines agentes che visualizzano in una complessa, raffinata sintassi costruttiva (la Frugoni ne analizza assai finemente le strutture linguistiche, retoriche, stilistiche) le tappe successive d'una via crucis che si sconta vivendo, nel nuovo orizzonte laicale esaltato nelle Laudes Creaturarum. «Anche la tavola Bardi mostra quella che era stata una preoccupazione dei biografi, di dimostrare cioè la perfetta ortodossia di Francesco»: in tal modo «nel passato irrompe il presente», le ragioni di ieri si mescolano alle speranze e ai sentimenti di oggi. E il Francesco alter Christus che attraverso le stimmate patisce la sofferenza dell'umanità si sdoppia, si confonde con il Francesco-madre che, nella lavanda dei piedi al lebbroso e nell'atteggiamento di tenerezza nei confronti dei frati, proietta sul nuovo mondo, sicut mater, una protettiva, gratificante figura d'amore sacro e laico. Corrado Bologna

Luoghi citati: Assisi, Greccio, Torino