Hopkins sir e maggiordomo

Los Angeles, parla il protagonista di «Quel che resta del giorno» Los Angeles, parla il protagonista di «Quel che resta del giorno» Hopkins, sir e maggiordomo «Ho solo imparato a servire a tavola» LOS ANGELES. E' stato il terrificante Hannihal Lecter in «Il silenzio degli innocenti», poi l'ambiguo dottor Van Helsing in «Dracula» e Henry Wilcox, il pomposo gentiluomo britannico, in «Casa Howard». Ruoli diversissimi tra loro. Ogni volta Anthony Hopkins ha saputo calarsi nei suoi personaggi con una naturalezza, con una grazia impressionanti. Vedendolo nel suo ultimo lavoro, «Quel che resta del giorno» (il film di James Ivory, multicandidato all'Oscar, conclude stasera fuori concorso, insieme con l'assegnazione degli Orsi d'oro, il 44° FilmFest di Berlino), Hopkins non sembra neppure recitare, sembra uno che nella vita non ha fatto altro che il maggiordomo. Se gli si domanda qual è il suo segreto, risponde: «Non faccio niente. Imparo le mie battute, infilo i costumi e faccio il mio lavoro. Quando la scena è finita, mi bevo un caffè e me ne vado a casa». A 30 anni dal suo debutto in teatro e a 25 dal suo primo film («Il leone d'inverno»), Sir Anthony Hopkins è uno degli attori più ammirati e premiati, ora candidato all'Oscar. Sir Anthony Hopkins, lei dice di non fare «niente». Che cosa pensa allora dei suoi tanti colleglli che entrano anima e corpo nel loro personaggio? «Li rispetto, ma mi pare che fanno le cose più grandi di quello che sono. E' una questione di senso comune. Il mio contratto dice che devo fare il maggiordomo, ma è inutile andare in giro come un matto a urlare "maggiordomo, maggiordomo!". Se sai che devi fare il maggiordomo, chiedi a un tecnico come servire a tavola. Sai anche che sei uno molto rigido, che si muove con grande discrezione. Contieni i tuoi movimenti e cambiando l'atteggiamento fisico immediatamente stimoli altre emozioni». Dove si è ispirato? «Non so molto su questo tipo di vita. Mio padre era fornaio, questo mondo per me è lontanissimo. Avevo una zia che faceva la cameriera e la sua vita era per la famiglia per cui lavorava, non per la sua. Mi sono spesso domandato perché, ma alla fine erano affari suoi». Come giudica una società che produce figure quali Stevens e lord DarLLngton? «Non sono un sociologo, non sono uno storico, non sono neanche uno particolarmente intelligente. Quando faccio un film non mi metto ad analizzarlo. Ma non direi che Stevens è un idiota o un represso. Fa il suo lavoro, come milioni di altre persone che per il lavoro sacrificano la famiglia o altro». E' anche un tipico prodotto della società britannica... «Veramente, a me pare che il significato del film sia universale. La sola verità è che l'Inghilterra ha avuto un'aristocrazia e le magioni padronali e una famiglia reale». Con «Quello che resta del giorno» torna a lavorare per Ivory e Merchant. Cosa c'è di speciale in un loro film? «I loro set sono sempre molto rilassati, la gente è amichevole, la troupe è spesso la stessa e dopo un po' si diventa come una grande famiglia. Non si perde tanto tempo, come a Hollywood». E' stato anche nominato sir. Come è andata? «E' andata che la Regina mi ha messo una medaglia attorno al collo ed è stata molto gentile. Mi ha chiesto se ero molto occupato». Lo è davvero? Ha fatto o sta per fare altri film? «Tra poco uscirà "Shadowlands", una storia d'amore molto commovente con Debra Winger. Poi, in dicembre, inizio "The road to Wellville". Dirige Alan Parker e tra i protagonisti ci saranno, credo, Robin Williams, Matthew Broderick, John Cusack, Bridget Fonda. Io faccio la parte di Kellogg, quello che ha inventato i comf1 akes». Sono anni che si sente parlare del seguito di «Il silenzio degli innocenti». A che punto siete? «Thomas Harris, l'autore, sta ancora scrivendo il libro: I seguiti non funzionano molto, ma se viene fuori una bella sceneggiatura lo farò». Ha l'aria di uno cui il successo e il riconoscimento sono arrivati quasi per caso. «Quando ci penso, la mia vita in effetti è alquanto straordinaria. Da bambino ero solitario. A scuola ero un po' tonto. E adesso tutto mi appare come un sogno. Cosa è successo? Non sono un accademico, non sono un intellettuale. Ma arrivato a 56 anni posso rilassarmi e divertirmi. Diventando vecchio impari a non prendere più le cose così seriamente e questo è il periodo più felice della mia vita. Spero che duri, ma se un giorno finisce va bene lo stesso. Aspetto che Dio mi dia un colpo sulla spalla e mi dica* "Anthony, adesso sveglia"». Lorenzo Sona Il film di Ivory, multicandidato all'Oscar, chiude stasera il Festival di Berlino insieme con l'assegnazione degli Orsi Nella foto piccola Emma Thompson l'altra protagonista di «Quel che resta del giorno» Nella foto grande Anthony Hopkins maggiordomo per Ivory

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