Sul set della morte

BENITO e CURETTA Ritrovati documenti eccezionali girati dagli americani sul fronte italiano dell'ultima guerra: presto su Raiuno BENITO e CURETTA Sul set della morte ROMA ANNO entrambi al collo un cartellino di riconoscimento. Numero 107, si I legge distintamente su quello di lui. Chi potrebbe ormai riconoscere in quella faccia senza forma, una maschera nera di sangue rappreso e di carne tumefatta, il volto di Mussolini? Chi potrebbe dire che quel corpo martoriato, malamente seduto contro un muro grigio, il braccio che pende gracile dalla maglietta bianca imbrattata di sangue, appartenga al Duce che per 22 anni ha avuto in pugno l'Italia? Claretta sì, è riconoscibilissima, nei bei chiaroscuri del 35 mm, i ricci appena scompigliati le incorniciano il viso atteggiato in un immobile sorriso, la camicetta scollata spunta sotto quel che sembra una giacchetta scura. E gli occhi, semiaperti, che paiono guardare fissi oltre il suo amante, sulla cui spalla poggia il capo, quasi fosse stanca. Il tenente Tamber ha fatto un buon lavoro, alla stazione centrale di Milano, quel 30 aprile 1944, il giorno dopo piazzale Loreto. Da operatore hollywoodiano qual era in tempo di pace, ha aggiunto alla scena un tocco artistico, o spettacolare, comunque non necessario alla documentazione militare richiestagli. Ha accostato i due corpi così, componendoli in quel gesto che pare affettuoso. E ora gira loro intorno con la sua Arriflex per mostrarli ben bene, da tutte le parti, cambia obiettivo per fare un primo piano, finché anche della maschera di sangue si intravedono le fessure degli occhi. E non basta. Ancora, li ha coricati per terra, uno accanto all'altro, a braccetto, ma la mano di lei, ormai rigida, questa volta resta inesorabilmente sospesa in una posa sinistra. Preciso, professionale, il tenente Tamber quel giorno aveva cominciato le sue riprese all'alba, nella piazza vuota. Totale della «scena del delitto» ormai deserta, panoramica lungo il traliccio della stazione di servizio al quale i vigili del fuoco il giorno prima avevano appeso per i piedi i cadaveri dei gerarchi fascisti per mostrarli, e forse anche per sottrarli, alla folla inferocita. Sul traliccio restano i nomi scritti malamente a stampatello, Serbino, Barracini, Gerolmini, Petacci, ciascuno con accanto una freccia volta verso il basso. Più grande di tutte quella che indica Mussolini. Il documentario dell'Istituto Luce che abbiamo visto molte volte (l'ultima a Mixer, poco meno di un anno fa) ci aveva già mostrato la folla immensa e oscillante, l'arrivo del camion dei partigiani che scaricherà per terra i corpi e i calci, le botte della gente che infierisce sul mucchio di cadaveri, arginata dalle forze dell'ordine. Immagini documen- tarie, «sporche», quasi rubate, sgranate e imprecise. Niente a che vedere con la la qualità e la forza spettacolare del film americano che si vale di due operatori. E si sofferma implacabile sui morti a terra. Mussolini ha ancora la giacca (forse quella T-shirt bianca gliela farà indossare pietosamente lo stesso operatore alleato), gli occhi spalancati e vitrei e ima qualche dignità. Come Claretta, stesa accanto a lui, un cappotto scuro che le copre le gambe inguainate in «quelle calze da macabro can-can», come scriverà Quasimodo, che era lì tra la folla. E' uno degli innumerevoli filmati, mai visti dal pubblico e dagli storici, girati dall'esercito americano in Italia, come del resto in tutti gli altri Paesi che hanno visto l'intevento dei G. I. Documenti per anni «classificati» dal Pentagono, poi semplicemente dimenticati. Un giornalista del Tg regionale, Roberto Olla, ne ha scoperto per caso l'esistenza, ne è andato in caccia e alla fine li ha trovati nel luogo più ovvio dove potevano essere, i National Archives di Washington. Insieme a Italo Moscati, che per Raiuno cura la massa di programmi che la tv pubblica sta preparando per i 40 anni della Liberazione, ne ha tratto tre puntate intitolate Combat Film proprio come le «Combat film units», le unità di combattimento cinematografico che, formate di solito da operatori professionisti, e con la proverbiale ricchezza di mezzi ameri- cana, effettuavano le riprese. Il breve ciclo, condotto in studio da Vittorio Zucconi, vedrà la partecipazione di alcuni di quegli operatori d'eccezione. Comincerà il 9 marzo e si concluderà il 25 aprile con una trasmissione speciale dove saranno invitate le persone che, dopo passaggi ripetuti nella rete regionale, si saranno riconosciute nei filmati d'epoca. Spiega Moscati: «Sarà un viaggio all'indietro che, dal 30 aprile affonda in una guerra inedita. Non solo perché vista dagli americani ma per la qualità filmica assolutamente straordinaria dei materiali. I quali, specialmente per il Sud Italia, vanno inoltre a riempire un vuoto quasi assoluto». E invece proprio dal Meridione cominciano, ovviamente, a girare le Combat units, mentre l'e¬ sercito alleato risale la penisola. Non che sia stato facile scovarle, quelle vecchie «pizze». Anche solo rovistare nei cassetti dell'archivio, dove le schede sono ancora quelle d'epoca, ordinate per temi generalissimi come «Bombing», i bombardamenti, «Flight», i voli, «Towns», le città e relativi a tutto il mondo, è stata una piccola impresa. Fatica premiata. Dagli archivi frigoriferi è spuntato il film del caso «iprite a Bari»: il terrificante, improvviso bombardamento del porto pugliese dove gli alleati avevano segretamente fatto arrivare una nave, la Harvey, carica del micidiale gas, antenato del nervino. Non tanto segretamente, vista la fulminea reazione tedesca. Una vicenda ancora aperta, quella dell'iprite a Bari, per gli storici e i medici italiani che, dopo le rivelazioni del marine Glenn Infield, hanno continuato a indagare sui morti civili, i cittadini ignari colpiti agli occhi, ai genitali, al sistema nervoso, senza saperne il motivo e sulle bombe chimiche che i pescatori continuano, ancora oggi, a rinvenire nelle acque costiere. Perché l'affondamento della «Harvey» fu una sorta di piccola «Pearl Harbor», con decine di navi in fiamme, morti e feriti in numero imprecisato, neppure ricoverati per non dare nell'occhio. Un inferno di fiamme e di fumo che l'operatore da combattimento, coraggioso o ignaro anche lui, documenta con inquadrature degne di un film di guerra e forse anche superiori negli «effetti» assolutamente «naturali». E con dettagli raccapriccianti come il sergente che il giorno dopo, cercando in riva al mare fra i resti metallici e umani dell'esplosione, si imbatte in un piede ancora avvolto nel suo calzino, lo afferra e lo abbandona indifferente. Lasciando nell'inquadratura lo stivale accartocciato. Fumate dense, enormi e sconvolgenti come quelle di una mega-bomba si levano invece dal Vesuvio, nella storica eruzione del 19-22 marzo del '44 descritta da Curzio Malaparte ne La pelle e poi da Napoli 1944 di Lewis. L'operatore non esita a salire sull'aereo per cogliere lo spettacolo da vicino e garantirsi più efficaci prospettive dei massi scagliati dall'esplosione e della lava rovente che scende lungo il pendio divorando ulivi, ginestre e casolari, fino a minacciare il paese di San Sebastiano. Ed ecco le case che ad una ad una crollano divorate dal vulcano. Ecco la gente, i poveri napoletani che paiono profughi bosniaci mentre fuggono coi sacchi in testa, i ciuchi, i carretti colmi di masserizie, pentole, vasellame, coperte, misere grucce per abiti, bottiglie vuote polverose, le facce magre e bellissime di uomini e donne, i bambini che giocano nei cumuli di cenere nera. Che sembra di vedere la Terra trema o Paisà. «Operazione Workshop», documenta un altro episodio poco divulgato perché scomodo. Il bombardamento americano a tappeto di Pantelleria. Undici giorni di bombe scaricate senza obiettivi mirati come allora ancora si usava, ma tanto per di¬ struggere e dissuadere, i cui effetti vengono sperimentati per la prima volta in quell'isoletta dimenticata da Dio e dal mondo. Sarà un grande successo, come dimostrano la pratica da allora abituale, e i tre rulli di totale e assoluta rovina girati da un anonimo operatore delle Combat units. Non un edificio in piedi, non una casa intera, dappertutto cumuli di macerie, buchi vuoti, sventramenti fra carcasse di pochi aerei. E una fila di italiani laceri, ridotti allo stremo, in coda per ima tazza d'acqua dopo che anche quella, nell'isola, era andata persa. E ancora a Bari, la prima riunione degli esponenti politici dei vari partiti che si organizzano contro Badoglio, protetta dalle milizie italiane ma controllata dagli alleati. L'arrivo del conte Sforza, altissimo a fianco di un Benedetto Croce che appare invecchiato e stanco. E il riconoscimento dei corpi dopo l'apertura delle Fosse Ardeatine. Un eufemismo, la parola corpo, davanti alla raccappricciante poltiglia di carne, che si presenta alle vedove in nero che, una dopo l'altra, si presentano in cerca di una traccia, un orologio, una scarpa, una cintura che possa permettere di identificare il loro caro. Ciascuna poi colta da malore. Fino al bombardamento di Cassino, -mai visto da alcuno, al di là di quella ventina di secondi dell'unico film-Luce. Il lunghissimo, ripetuto, cadere delle bombe su quella rocca imprendibile dalla quale un pugno di tedeschi controllava un'intera valle. Il rombo lontano degli aerei (è l'unico documento sonoro) e il suono secco delle bombe, diverso da quelle del cinema, più simile a fucilate. E i grappoli invisibili che sollevano fumate dal nero, al grigio, al bianco, fino ad avvolgere tutto, a dissolversi, lasciando ogni volta a terra un pezzo dell'antico, maestoso monastero che sembra far tutt'uno con la roccia e invece pian piano si sgretola come cartapesta. Le bobine che riguardano l'Italia pare siano 3000 (forse 2800, forse 4000, nessuno lo sa con certezza). Siccome ciascuna dura 12 minuti, fanno 600 ore. Rolla e Moscati se ne sono portate via per 16 ore. Chissà cosa custodiscono ancora gli archivi di Washington. Maria Grazia Bruzzone // tenente Tamber, alla stazione, spostava i corpi per riprenderli «Iprite a Bari», una testimonianza inedita: così fu affondata la nave Harvey carica di gas micidiale // bombardamento di Cassino visto dalla Hollywood militare Sopra, primo piano del volto della Petacci morta Accanto, i cadaveri di Garetta e Benito Mussolini Un'immagine di piazzale Loreto con i gerarchi fascisti appesi a testa in giù