IL PALAZZO di Filippo Ceccarelli

r r IL PALAZZO 1 Dolce vita di omonimo a 10 milioni al mese UNQUE è Andò o Andò che si beccava i dieci milioni al mese dal Sisde? E' Salvo Andò, come sostiene il vicecassiere Locci, o, come testimonia Malpica, una lontanissima parente dell'onorevole, una signora o signorina di cui si ignora il nome, non il cognome, e che comunque i giornali s'ostinano a chiamare «la nipotina di Andò»? Ecco, ben confezionato tra quattrini, spionaggio e famiglia, tutto questo vorticare di verbi di moto al passato remoto - andò lui, andò lei - segnala ancora il rilievo, a volte cruciale, altre fantastico, altre ancora buffo, simbolico e sconsiderato dell'omonimia. L'importanza, nel caso specifico, di chiamarsi Andò. E se non bastano due Andò, in un impeto che qui rischia di risultare perfino delatorio, si potrebbe far presente, ad abbondanza, che Andò si chiamava anche un senatore democristiano della scorsa legislatura: Antonio Andò, per l'appunto, già sindaco di Messina e a sua volta figlio di un altro Andò, illustre notabile siciliano. Tutti perciò andarono. Resta solo la questioncina dei dieci milioni. Dunque, Plauto a via Giovanni Lanza, sede del Sisde, secondo le antiche regole che fanno dello scambio di persona uno dei meccanismi centrali dell'umorismo da commedia classica. Un genere letterario che calato nell'Italia della transizione, a Tangentopoli e dintorni, vira coerentemente verso la farsa, pure con allarmanti staffilate drammatiche. Il dramma, per dire, di Danilo - e non Duilio - Poggiolini, deputato del pri che pure lui ha a che fare con la Sanità e che da mesi si danna perfino con appelli in tv per non essere confuso con l'altro: «Io sono l'altro Poggiolini, quello buono, quello che non ha preso i soldi e i gioielli!». Identità ammaccate. Oppure identità invano trafugate, utilizzate come inverosimile via di fuga, come inutile schermo per esempio al conto corrente Lombardfin 1 100420 intestato ad Anna I Maria Rossi in Locatelli, moglie dell'ex direttore del Sole, e non ad Anna Maria Rossi e basta. Il che sarebbe stato molto meglio per il marito, divenuto nel frattempo il numero uno della Rai da moralizzare. E così, più o meno plausibile, più o meno emblematica, l'omonimia stende l'ala sua grigiastra anche sul processone Enimont. Basta ricordare l'aria trasognata del signor Domenico D'Addario, che senza tante spiegazioni i carabinieri hanno strappato di casa e piazzato lì, davanti alle telecamere, sulla seggiola più scottante d'Italia. E invece al posto suo ci doveva essere un altro D'Addario, Amedeo: «In effetti quando l'avevo interrogato conveniva Di Pietro - mica aveva la barba...». Già, Di Pietro, lui stesso fonte di vivaci omonimie, tipo film di Bunuel. Ed ecco l'attricetta Carmen Di Pietro, che stava per presentarsi alle elezioni con i comitati pro-Craxi. Ecco l'amico-calciatore, Teresio Di Pietro. Ecco soprattutto, mirabile nella sua allegoria rovesciata nel ruolo e nel sesso, la moglie di Curtò, Antonina Di Pietro (che abita in un palazzo dove pure compare Antonino Di Pietro, dermatologo). Individui omonimi, non omologhi. Tragedie, quindi, dubbi e allegria. Ottanta innocenti nella retata del caso Tortora. Incerta la pentita se sia stato Rino o Ciccio Nicolosi, entrambi de, l'uno presidente l'altro vice della Regione Sicilia, ad aver chiesto i voti della mafia (era Ciccio). Felice il ragionier Salvatore Riina per l'arresto di Totò, «dopo 23 anni di spaventosi incubi, profondi turbamenti, insostenibili tensioni e mortificanti umiliazioni». Bili | Filippo Ceccarelli

Luoghi citati: Italia, Messina, Sicilia