Mascia: «Una violenza politica» di Pierangelo Sapegno

4. Parla il leader dei Bo.Bi. ancora sotto choc dopo l'aggressione a Ravenna Moscia: «Una violenza politica» «Dopo le minacce dovevo aspettarmelo Mi dispiace per i capelli, ci tenevo» RAVENNA DAL NOSTRO INVIATO Testa rapata. «Mi dispiace, ai miei capelli ci tenevo». Occhi grandi c mesti. «Devo farmi forza, ci vorrà del tempo». Quando passa davanti alle telecamere, tiene a braccetto la moglie ed è come se cercasse un sostegno. «Scusatemi. Sono rimasto paralizzato, dalla paura. Sono ancora bloccato, confuso. E non riesco a ricordare molto di quello che mi è successo. E' come un incubo, con delle ombre che si muovono. Ecco, quelli che mi hanno fatto del male per me erano delle ombre, persone nascoste, senza volto, senza niente. Ma dietro a loro ci dev'essere chi ha organizzato questa violenza». Giancarlo Mascia, leader un po' goliardico dei «Bo.Bi.», i comitati per boicottare Berlusconi, adesso sembra un uomo perduto, con la sua testa rapata, gli occhi mesti, gli amici intorno a far cordone. Eppure se dovesse raccontarsi che cosa direbbe di sé? «Che sono un tipo allegro, estroverso». Guido Andri, ex prete, compagno di militanza politica, cerca di spiegare: «E' rimasto svenuto almeno per un'ora e mezzo, e ha subito una violenza umiliante, angosciante. Dovete capirlo...» In realtà, non c'è molto da capire. Questa è una storia di straordinaria violenza. Giancarlo Mascia è stato aggredito nel suo ufficio, a Ravenna, vicino al porto, nella sera di venerdì, legato, imbavagliato, pestato e sodomizzato con il manico di una scopa («l'ho trovata, è qui», urlava uno degli aggressori all'altro, «ora glielo facciamo vedere»): due ore che sembravano non finire mai, proprio come in una scena da «Arancia meccanica». Oggi, tre giorni dopo, l'uomo del boicottaggio al Biscione, stenta ancora a mettere ordine nelle sue emozioni, nelle sue ferite. «Non riesco a farmi un'idea delle cose che mi sono capitate, mi sforzo, ma non ce la faccio. So solo che con la mente non riesco a soffermarmi molto sull'accaduto. Non so esattamente che cosa sia successo e soprattutto che cosa mi abbiano fatto. Anzi, mi meraviglia che qualcuno sappia e scriva cose che neanche io so». A che cosa si riferisce? «Io non ricordo alcuni particolari che sono stati riportati dalla stampa, e non riesco nemmeno a immaginare come abbiano fatto i giornalisti a saperli». E così, a chi gli chiede che cosa sia successo nel suo ufficio la sera di venerdì, risponde in maniera evasiva: «Io non ricordo niente, forse erano in due, magari in tre, perché uno stava fuori. Non so nemmeno se la porta fosse aperta, o se l'hanno forzata per entrare. Ma vado per supposizione, io non ce la faccio a mettere a fuoco quasi niente. Sono ancora paralizzato, non riesco a capire che cosa può essere capitato». Poi, in un comunicato di poche righe consegnato ai giornalisti, aggiunge: «Comunque sia non esiste nessun motivo per pensare che qualcuno volesse colpirmi per problemi personali. Allora, la domanda che mi rimbomba nel cervello è: perché? Perché qualcuno ha voluto colpire me e in quella maniera? Io ho sempre condotto battaglie nonviolente e ho sempre pensato che la protesta debba essere civile ed educata». Se le cose stanno così, chi sono gli aggressori? Pazzi isolati? «Pazzi sì, isolati non direi pro¬ prio. Persone identificabili no, questo lo escludo. Ma l'aggressione ha tutto il marchio di un'azione preparata molto bene. Lo so, a primo acchito, viene da pensare a una banda di pazzi. Però, poi, la logica è quella delle telefonate minatorie. Ecco, direi che c'è proprio questa sequenza logica, questo nesso che unisce i vari episodi: prima la nascita del Bo. Bi., poi le telefonate e infine l'aggressione. Io sono sempre stato impegnato in politica, ma fino a quel momento non avevo mai ricevuto minacce». Alcune di queste telefonate sono state registrate e su quei nastri stanno lavorando gli inquirenti. Eccola, l'Italia della vergogna: «Smettila di rompere i coglioni. Hai la voce da deficiente. Sei una testa di cane. Ba- stardo. Vi facciamo chiudere tutti. Vi conosciamo tutti. Bastardi. Vi spacchiamo il culo. Gruppo Silvio forever». Linguaggio da ultra. E quella sera, quando i due sono apparsi alla soglia dell'ufficio, hanno spinto Gianfranco Mascia dentro e hanno cominciato a insultarlo. Lo stesso linguaggio delle telefonate: «Finalmente ti abbiamo trovato, bastardo. Sai perché siamo qui». Poi l'hanno legato a una sedia, mettendolo in ginocchio, gli hanno infilato uno straccio da polvere in bocca e hanno cominciato a picchiarlo. Gianfranco: «Non ho idea di chi sia stato, ma non posso non pensare che questi maledetti non siano legati a qualche gruppo». Mentre lo picchiavano, è svenuto. Un'ora e mezzo senza sensi. «La prima cosa che ho provato è la paura, una paura grande che ti immobilizza, ti impedisce di reagire. Terrore. Poi, l'impotenza. La rabbia è venuta dopo, quando il peggio era passato». E adesso? «Non voglio fare analisi. Prima vorrei capire bene, capire quello che è successo, e per far questo ho bisogno di un po' di tempo». Però, alla fine, qualcosa dice. E' un gesto politico, confessa agli amici, a Guido Andri, a Giuseppe Tadolini, Mima Del Signore, e a sua moglie Nieves. «Perché la firma è molto chiara, quel tipo di violenza, quel rituale riportano indietro la lotta politica di settantanni. Non vorrei che questi siano solo i primi segnali: questo diventerà lo scontro politico nel nostro Paese». Sullo sfondo di questa storia, il Bo. Bi. Che ne sarà dei comitati? «Io non sono il Bo.Bi. Il Bo.Bi. sono le migliaia di persone che hanno aderito in tutta Italia. Non sono in grado di decidere cosa farò della mia vita, ma una cosa è sicura: anche senza di me sarà difficile fermare tutta questa gente». La cronaca del terrore finisce qui. Continuano le indagini. Oggi, a Bologna, incontro con i magistrati per un confronto. Voci o volti da riconoscere. Le ombre di Arancia Meccanica. Pierangelo Sapegno «Sono pazzi, ma isolati non direi Ho provato tanta paura, la rabbia è venuta dopo» Il fondatore dei Bo.Bi. Gianfranco Mascia dopo l'aggressione

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