Un vuoto al Cremlino

Un vuoto al Cremlino Un vuoto al Cremlino Eltsin «raffreddato», decidono i falchi MISTERO MOSCA DAL NOSTRO INVIATO Il grattacielo sulla Smolenskaja, il ministero degli Esteri, è tutto illuminato. A qualche piano delle lunghe teorie di finestre accese c'è una «stanza operativa» dove la situazione di Bosnia viene seguita minuto per minuto. Come al ministero della Difesa, da dove ieri il comandante in capo dell'aviazione, generale Dejnekin, ha lanciato l'ultimo avvertimento: se la Nato bombarda sarà l'avvio di un conflitto più vasto. Le uniche finestre spente sono quelle del Cremlino. Boris Eltsin è a 80 chilometri di distanza, nella sua dacia di Zavidovo. Il suo portavoce conferma che il «raffreddore» è stato «piuttosto serio». Il Presidente è stato il grande assente di questa crisi, anche se i protagonisti visibili, Kozyrev, Ciurkin, Adamiscin hanno fatto di tutto perchè si pensasse che le «brillanti idee» espresse dalla Russia sono venute direttamente dall'ispirazione del malato. Ma tutta la Mosca politica guarda con le vertigini al grande buco nero rappresentato da un Presidente che non si vede. Vertigini d'angoscia nei suoi sostenitori, che vorrebbero assicurare che Eltsin resta il motore di tutto ciò che accade. Ma anche vertigini da giramento di testa, per chi assapora in anticipo una resa dei conti. E, comunque vada a finire, si può già dire che la vecchia scuola diplomatica sovietica perchè di questo ancora si tratta - ha dimostrato di essere all'altezza dei compiti di una grande potenza. Si dice che un importante editoriale, pubblicato sulla «Nezavisiamaja Gazeta», sia stato scritto da un diplomatico di primissimo piano. Leggerlo è istruttivo: della Russia non si può fare a meno. Noi non vogliamo una crisi, ma l'Occidente deve capire che è finita la parentesi dei russi che dicono sempre sì e che non sanno più quali sono i loro interessi. Sono le stesse idee che riempiono le pagine di «Stella Rossa», l'organo del ministero della Difesa. Se c'è un vuoto al Cremlino, è evidente che questo «vuoto» viene riempito da altri «pieni», che stanno imponendo una revisione della politica estera. La Bosnia sta diventando un test cruciale per tutte le parti in campo nella battaglia di Russia. E, mentre i serbi muovono le loro artiglierie dalle colline di Sarajevo, i generali delle fazioni russe piazzano i loro obici sulle alture metaforiche di una capitale che sembra alla vigilia di un altro braccio di ferro. La gente della strada non bada a queste manovre. Avverte solo la precarietà della situazione. Capisce solo che l'Occidente l'ha tradita. O, meglio, che le sue speranze non sono state soddisfatte. Così la partita si trasforma e i giocatori si dividono tra quelli che difendono l'identità russa, l'orgoglio nazionale, e quelli che appaiono, o sono, i portatori dell'umiliazione. Nella sala del cinema Novorossijsk il giornale dei «Centoneri» raccoglie migliaia di persone al grido di: «Non siamo né comunisti né fascisti. Siamo russi!». E Zhirinovskij sale sul podio della Duma per minacciare i deputati di «Scelta di Russia»: «State preparando il terzo colpo di Stato, ma vi arresteremo tutti in quest'aula». Comunisti, agrari, perfino democratici moderati pensano e dicono che dell'Occidente non ci si può fidare. Ziuganov, il leader dei comunisti, profetizza che «l'ottobre quest'anno verrà molto prima». Poi chiarisce: non l'ottobre del 1917, ma quello del 1993. Scioperano i minatori del Kuzbass, i professori, i cercatori d'oro siberiani, i medici. E' vero quello che un avvocato, che vuole restare anonimo, mi sussurra? Che, cioè, tra poco, il tribunale che giudica gl'insorti dello scorso ottobre libererà Aleksandr Rutskoi e Ruslan Khasbulatov? Sogghigna: «Se andrà così, avremo l'unico candidato alla presidenza in grado di battere Zhirinovskij». Giuliette) Chiesa

Persone citate: Aleksandr Rutskoi, Boris Eltsin, Ciurkin, Eltsin, Kozyrev, Ruslan Khasbulatov, Zhirinovskij, Ziuganov

Luoghi citati: Bosnia, Mosca, Russia, Sarajevo