MA L'ASSEDIO NON HA FINE di Enzo Bettiza

I serbi lasciano Sarajevo arrivano i «fratelli» russi MA L'ASSEDIO NON HA FINE vivenza fisica e culturale, è un'impresa disperata perché impari e solitaria. Il mondo islamico nel complesso, percorso com'è da convulsioni integraliste e antioccidentali, non ha mai guardato con eccessivo calore allo spirito di tolleranza, di laicità e di europeità di questa singolare oasi musulmana sperduta nei Balcani. Per le diplomazie occidentali i maomettani bosniaci rappresentano, più che altro, un ingombro folcloristico e anacronistico sulla via della pacificazione balcanica. Per la Russia, che ha già tanti fastidi con i musulmani di casa propria o delle contigue repubbliche ex sovietiche, essi sono meno che quantità négligeable a petto della centralità che Mosca nella sua visione europea ha sempre accordato ai serbi e alla Serbia. Gli unici alleati storici su cui i bosniaci islamizzati potevano fino a ieri contare erano i turchi e i croati; ma oggi la Turchia è lontana, mentre la Croazia è diventata, dopo la Serbia, la seconda nemica esistenziale. Ecco perché, in questo quadro d'isolamento e di solitudine, l'arrivo del contingente russo dell'Onu in Bosnia, contingente accolto con entusiasmo quasi carnale dai serbi di Pale, è visto e sentito invece come un ulteriore e grave pericolo dai musulmani di Sarajevo. Nessuno di essi crede alla «pax russiana» annunciata da Mosca, o più semplicemente «serbiana» annunciata da Pale. Dicono: che vale la pace proclamata con astuzia per la sola Sarajevo, dato che i cannoni e i carri armati, portati via da qui, andranno a rafforzare le milizie serbe che nelle stesse ore stanno già inasprendo un'offensiva generalizzata e «purificatrice» contro Tuzla, Banja Luka, Gorazde, Bihac, Srebrenica? Di più: che vale la stessa «pace» per Sarajevo, quando l'assedio di fatto continua, quando i rubinetti dell'acqua e del gas che alimentavano la città restano nelle mani dei serbi, quando le vie d'accesso alla città permangono sotto controllo serbo? Infine: spostare i contingenti russi in Bosnia dalla Slavonia, dove già davano una mano ai serbi contro i croati, non significa in definitiva «introdurre la volpe nel pollaio»? Dalla presenza russa sul terreno, insomma, i musulmani non s'aspettano nessuna forma di garanzia o di protezione. La situazione tutta a loro sfavore, tutta squilibrata verso i serbi, li porta a vedere nei soldati russi, non tanto una forza d'interposizione neutrale fra le parti, ma uno scudo in difesa di una parte sola che, fra l'altro, è anche militarmente e politicamente la più forte. Tutto questo, affermano i musulmani, non potrà che prolungare la guerra. Secondo una previsione pessimistica del generale Arif Pasalic, viceministro della Difesa del governo bosniaco, il conflitto potrebbe durare «ancora otto o dieci anni». Ormai, con l'arrivo dei russi, è scemata anche la speranza musulmana nella possibilità di un intervento militare della Nato contro le postazioni serbe nel caso che queste non venissero ritirate completamente da Sarajevo. Quale governo occidentale oserebbe correre il rischio di provocare con un attacco aereo vittime fra i soldati di Mosca coperti dallo stendardo Onu? Il pessimismo degli islamici di Bosnia è perciò più che mai profondo in un momento in cui gli altri, i non islamici, i russi, i serbi, gli occidentali, parlano o astutamente o prematuramente di pacificazione e di distensione. Essi non vedono davanti a sé che due scelte: o l'interminabile «guerra dei dieci anni», oppure l'iniqua firma di un trattato di resa che consegni ai serbi, e in parte ai croati, la quasi totalità del territorio della ex Bosnia-Erzegovina. La terza possibilità, implicita nella guerra decennale, è quella di offrirsi con le armi in pugno all'olocausto. Il genocidio suicida insomma, l'estinzione radicale dell'unica e antica comunità musulmana d'Europa. Il terzo scempio razziale dopo quello armeno a cavallo della prima guerra mondiale, e quello ebraico al culmine della seconda. Il terzo requiem e la terza onta per la nostra civiltà fondata, a parole, sul diritto delle genti e delle religioni diverse. Enzo Bettiza

Persone citate: Arif Pasalic