«Esigiamo un ritiro totale» di Giuliano Marchesini

LA STAMPA «Esigiamo un ritiro totale» Da Aviario la Nato ribadisce l'ultimatum AVIANO dal nostro inviato Ad Aviano con il fiato sospeso. Le ultime ore, prima della scadenza dell'ultimatum ai serbi di Bosnia, trascorse tra l'incertezza e la speranza, tra i rombi degli «F 15», degli «F 16» e degli «Awacs» americani in impennata sopra la pista, sopra le teste di migliaia di abitanti della zona che invadono i prati. Fino all'ultimo ad aspettare di vedere se l'operazione «Deny Flight», di controllo del territorio della ex Jugoslavia, si trasforma in bombardamenti. Davanti ai piloti schierati nella base, il segretario alla Difesa statunitense William Perry dice: «I serbi hanno fatto molto per rispettare l'ultimatum. E noi non vogliamo i raid aerei. L'iniziativa della Nato ha portato ad alcuni risultati. Ma non sapremo se avremo avuto successo fino a domani, o dopodomani». Perry s'è incontrato, qui ad Aviano, con i ministri della Difesa inglese, Malcolm Rifkind; olandese, Relus Ter Beek; francese, Frangois Leotard, e italiano, Fabio Fabbri. C'erano anche i capi di stato maggiore, comandanti Nato e una rappresentanza dell'Unprofor. Dopo la riunione, i ministri si presentano nel gigantesco hangar degli elicotteri, dove li aspettano circa 150 giornalisti. Le prime parole di William Perry sono coperte dal sibilo di un «A 10» che si le- va in volo. Il segretario alla Difesa americano risponde passandosi una mano sulla fronte a chi gli domanda che cosa succederà: «Tutto dipende dall'adesione dei serbi ai termini dell'ultimatum. Noi siamo pronti». Ripete, Perry, che l'adesione alle condizioni poste dalla Nato dev'essere piena. «Non possiamo anticipare quel che succederà. I rappresentanti delle for- ze Unprofor sul campo ci hanno fatto sapere che ora possono andare in tutte quelle che si chiamano zone di esclusione. E i pezzi di artiglieria che non possono essere spostati possono essere smontati e sottoposti a vigilanza. Tutto questo potrebbe avvenire in tempo utile». Per il ministro della Difesa inglese, i progressi nell'area bosniaca sono stati «chiari». Ma, avverte Malcolm Rifkind, non si può arrivare a una conclusione prima dello scoccare della mezzanotte, ora di Greenwich d'una in Italia). Poi Rifkind torna a inquadrare la situazione a Sarajevo: «Le armi sono state ritirate, o consegnate, in gran numero. Ma si deve arrivare al cento per cento». Estensioni dell'ultimatum, incalza il ministro della Difesa olandese, non ce ne saranno. E Fabbri ribadisce: «Il conto alla rovescia non è stato fermato: nessuno spostamento della scadenza dell'intimazione. Noi confidiamo nella fermezza che ha caratterizzato l'iniziativa della Nato». Si domanda al nostro ministro della Difesa quali potrebbero essere le conseguenze sul nostro territorio nel caso scattassero i raid dei cacciabombardieri, dopo le minacce all'Italia da parte di esponenti del nazionalismo serbo. Fabbri si mostra rassicurante. «Loro - dice - non dispongono di sistemi missilistici in grado di colpire il nostro Paese. E contro eventuali attacchi per mezzo di aerei o motovedette, il sistema difensivo dell'Alleanza Atlantica è all'opera da molti mesi. Inoltre abbiamo rafforzato tutte le misure per fronteggiare ogni minaccia terroristica». Ma le notizie che giungono dalla Bosnia, dice Fabbri, «incoraggiano». «Ora si tratta di compiere la verifica definitiva, di accertare se sia venuto meno l'assedio sanguinoso a Sarajevo. La condizione è una sola: che cessi lo strangolamento di Sarajevo». Sarà Michael Rose, comandante dell'Unprofor, a comunicare se la situazione in Bosnia giustifica un attacco aereo. Intanto, qui ad Aviano, si aspetta. Alla base americana l'allarme è arrivato al livello «Charlie», il penultimo. A sera, la gente si assiepa ancora davanti alla pista, sulla quale si riverberano le luci dei cacciabombardieri. Giuliano Marchesini Mentre si attendono le decisioni dell'Onu ad Aviano i caccia sono pronti a colpire Una folla di curiosi ha seguito i movimenti degli aerei della Nato