Piante che ne fanno di tutti i colori

Le industrie alimentare, cosmetica e tessile rivalutano l'uso di coloranti naturali Le industrie alimentare, cosmetica e tessile rivalutano l'uso di coloranti naturali Piante che ne fanno di tutti i colori Un progetto di ricerca finanziato dal ministero ROMA. Le diffidenze e i timori sull'uso di sostanze chimiche hanno rivoluzionato i sistemi produttivi in agricoltura: basti pensare a frutta e ortaggi, dove si usano il 7080% in meno di antiparassitari; o alla nuova concezione delle concimazioni chimiche per i cereali. A questi settori si aggiunge ora l'industria tessile, che si sta orientando, per dare colore ai tessuti, su sostanze naturali. E, a maggior ragione, può e deve farlo chi fabbrica cibo, o medicinali o cosmetici. Si sa infatti che molti di questi prodotti hanno bisogno di coloranti che li rendano più appetibili o attraenti. Tutti conosciamo le famigerate «E», seguite da un numero, che indicano di quali coloranti chimici quel prodotto è impregnato. Molti di questi coloranti sintetici possono essere utilmente sostituiti con pigmenti ricavati da piarne e certo meno dannosi. In Italia il problema è sentito, tanto che lo stesso ministero delle Risorse Agricole si è impegnato nel progetto «Prisca». Le fonti di pigmenti adatti alla colorazione di cibi o fibre tessili sono molte: vinacce, bucce di pomodoro, radici di bietola rossa, more, mirtilli, ribes, semi di girasole e sorgo, cartamo, bacche di fitolacca, petali di calendula e di tagete, refeda, robbia, carcadè, genissa e via dicendo. Il progetto Prisca suddivide le specie vegetali prese in esame in cinque «filiere», una di queste - la filiera «usi diversi» - insieme alle piante dolcificanti, e a quelle per estrazione di gomme e resine, include anche la specie ad uso tintorio. Proprio di queste ultime piante si è parlato in un recente convegno in cui l'amministratore delegato della Reggiana Antociani e membro dell'associazione internazionale «Naturai Food Colour Association», ingegner Boni, ha tracciato una panoramica della situazione. Una fonte di pigmenti rossi è costituita da particolari varietà di ibisco, pianta africana, di cui si utilizza il calice del fiore, molto costo¬ so e di cui occorrono grandi quantità per ricavare qualche grammo di pigmento colorante. Per i pigmenti scuri viene usato il mais «morado». I limiti del suo impiego sono però rappresentati dai costi elevati. La principale fonte per ottenere i gialli è la radice di curcuma; per le colorazioni rosso brunastre si ricorre invece al seme di annatto; per i verdi, alle clorofille, che prevedono però un'estrazione di tipo chimico. L'ingegner Boni ha anche ricordato che vi sono altri prodotti, a volte derivati da lavorazioni, quindi scarti, che servono per colorare. La buccia di pomodoro è una, così come la radice della bietola. Ci sono poi le more, i mirtilli, il ribes nero e rosso: andrebbero bene per estrarre pigmenti ma dal punto di vista commerciale hanno un miglior mercato come frutti di sottobosco. Ancora da verificare l'utilizzo dei semi a tegumento nero di particolari varietà di girasole di origine romena, di sorgo e di riso. Infine il cartamo tintorio: è una buona materia prima, importata di Paesi africani e che spunta sul mercato prezzi molto elevati. Come si vede, l'uso dei pigmenti naturali nell'industria tintoria è interessante per la nostra agricoltura. E alcuni esperimenti effettuati, nell'ambito del progetto, in Emilia Romagna, hanno dato già discreti risultati. Gianni Stornello Anche le more sono usate come coloranti ecologici

Persone citate: Gianni Stornello, Prisca

Luoghi citati: Emilia Romagna, Italia, Roma