Povero Stendhal stregato dal dio quattrino

Povero Stendhal, stregato dal dio quattrino Parigi, una mostra al Musée de la Monnaie scandaglia i tormentati rapporti dello scrittore con il denaro Povero Stendhal, stregato dal dio quattrino Tutta colpa del padre avaro. E lui per riscattarsi voleva fare il banchiere PARIGI DAL NOSTRO INVIATO Sterline, luigi, franchi, napoleoni, lire, paoli... Il portafogli del giramondo Stendhal testimoniava una varietà monetaria considerevole. Ma per scoprire le sue intense relazioni con il denaro non occorre guardargli in tasca. Nell'intera sua opera, il banchiere-scrittore Murie-Henri Beyle alias Stendhal m parla doviziosamente. Il Musée de la Monnaie non poteva lasciarsi sfuggire la bella occasione. A «Stendhal et l'ar&ent» dedica quindi un'ampia mostra raggruppando oggetti personali, citazioni dalle opere e l'indispensabile aneddotica. Viene fuori un intellettuale per cui i quattrini furono croce e delizia fin dall'adolescenza. Non solo - sarebbe banale - a causa delle periodiche ristrettezze. E' che il danaro gli procurava comunque affanno. Come scrive il biografo Victor del Litto, «mancarne interdice all'individuo ogni autoaffermazione, e tuttavia le eccessive fortune lo per- dono». Amore-odio, bramosia-colpa, prodigalità-reticenza. Per decenni Stendhal oscillò tra pulsioni contrarie. I motivi - come succede in casi simili - non potevano non essere edipici. Leggiamo per esempio nell'autobiogra¬ fica Vie de Henri Brulard che la sua famiglia evocava i soldi «con pudore». «Il denaro era una triste necessità e il suo ruolo purtroppo indispensabile come l'andare al gabinetto, ma guai a parlarne». Primo colpevole, il padre. «Invece dei 6 franchi promessi, me ne dava 3, arrabbiandosi inoltre per l'esborso». L'avarizia paterna finirà con il marcare durevolmente il figlio. Che non diviene, sulle prime, spendaccione. Vorrebbe dire affrontare il genitore sul serio, contrapporglisi. Rischioso. Il futuro Stendhal si affida all'inconscio. «Tutti i giorni (...) nel fare le minime spese mi ingannano di un paolo o due», scrive. Quasi che, ormai ragazzo, ancora non sapesse dare un valore alla moneta. Ma eccolo riscattarsi. Diciottenne, scrive un diario ove annota con minuziosissima pedanteria ogni spesa. La contabilità eclissa le antiche irrequietezze. Il babbo potrebbe esserne fiero. Peccato che la tregua duri poco. Non pago di maneggiare i soldi come entità neutra, matematica, oggettiva, necessaria per vivere e null'altro, Beyle vuole metterli al centro nella sua vita. Farà il banchiere. Opzione ideologica, diremmo: in realtà gliene mancano i mezzi. Ma anziché battere cassa in famiglia, lo squattrinato Henri proclama: «Apro una banca». Come se un affamato volesse fare il cuoco per riempirsi la pancia. Nell'attesa si dedica alle lotterie e all'azzardo, tradizionale scorciatoia verso una favolosa opulenza. Giocatore metodico, appunta le somme: «Sei franchi più quattro soldi "al rosso e al nero"» (di già...). In extremis papà si defila, beneficare il figlio con grossi capitali non rientrava (ognuno l'avrebbe compreso dall'inizio salvo l'interessato) nella sua forma mentis. Cala allora il sipario - dopo vicissitudini e qualche successo - sullo «Stendhal in finanza». Ma si guadagnerà un provvisorio benessere da uditore presso il Consiglio di Stato. Lussi, relazioni extraconiugali, frivolezze. Il dio quattrino e i consumi facili sfrattano la rigorosa etica del capitalismo. Il 24 maggio 1814 enumera al cognato i suoi passivi. Conclusione: «Devo vendere la casa». Nei medesimi giorni pubblica tuttavia a proprio carico (1500 franchi, un'e¬ normità) le Vite di Haydn, Mozart e Metastasio. Si riaffaccia, insomma, lo Stendhal schizofrenico nel gestire l'economia familiare. Non stupirà, dunque, che alcuni studiosi gli attribuiscano «fondi occulti» di origine poliziesca. Le traversie con la moneta finiranno solo il 23 marzo 1842. Il cinquantanovenne Stendhal muore: gli eredi lo scopriranno povero in canna, ma per lo meno senza debiti. L'esposizione correda l'itinerario attraverso cimeli, ricostruzioni d'epoca, testimonianze. Ne emerge un Henri Beyle stregato suo malgrado dalla venalità, che in lui assume talora risonanze metafisiche. E gli impedisce di essere un tranquillo, borghesissimo gaudente. Enrico Benedetto Ci provò pure al gioco: (ovviamente) puntava «al rosso e al nero» Henri Beyle alias Stendhal. Le sue traversie con i soldi finirono solo il 23 marzo 1842, quando morì a 59 anni: povero in canna ma senza debiti

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