«l'economia ha bisogno di etica»

«l'economia ha bisogno di elica» Capitalismo fra crisi e ripresa: Jas Gawronski intervista il Governatore della Banca d'Italia «l'economia ha bisogno di elica» Fazio: l'impresa vive di profitto ma anche di valori «Le imprese sono "componenti" essenziali del sistema economico e - se valide e creative ne garantiscono nel lungo termine la vitalità e lo sviluppo». «L'impresa produce "valore aggiunto", costituito dal valore netto della produzione, al quale corrispondono i redditi di coloro che contribuiscono alla produzione stessa, salari e stipendi, interessi e dividendi per coloro che impiegano i capitali, profitto che compensa l'impegno e il rischio dell'imprenditore. Senza profitto l'impresa non sopravvive. Senza valore aggiunto, oltre al profitto, l'impresa si riduce a un gioco d'azzardo». «Questi principi semplici contengono in nuce la risposta al suo quesito. Le grandi imprese per ben operare necessitano di contesti nazionali e internazionali ben organizzati. Le reciproche influenze con la società, costi, ma anche soprattutto benefici, in senso lato, vanno oltre i meri dati che si possono leggere in un bilancio, anche se essi rimangono essenziali per la vita dell'impresa». «Mi pare che in Italia, in concreto, gli imprenditori hanno sempre compreso e ritenuto che la loro attività non si attua nel vuoto giuridico e istituzionale, e di fatto le imprese, come altre componenti della società, esplicano anche un ruolo culturale e politico. Tutto ciò premesso, è giusto che si discuta sulle soluzioni da dare a casi e problemi specifici e brucianti la cui soluzione non è mai semplice o scontata». «Con riferimento all'aspetto congiunturale della nostra economia va solo ricordato che se crollano i redditi da lavoro, diminuiscono i consumi e i risparmi, cadono anche l'attività produttiva e le imprese. Il sistema economico tenderebbe ad avvitarsi su se stesso e tutto ciò non mi sembra nell'interesse di nessuno». Nei suoi scritti lei ha spesso sottolineato la connessione tra società civile e sistema economico. E' concepibile l'impianto di un liberismo thatcheriano in un Paese come l'Italia? «E' un dato di fatto che negli ultimi trenta anni il rapporto tra spesa pubblica e reddito nazionale è cresciuto in tutti i Paesi industriali in media di circa 20 punti percentuali, dal 30 al 50% secondo i dati dell'Ocse». «E' difficile pensare che ciò sia dovuto soltanto a volontà di prevaricazione da parte dei poteri pubblici o a cattiva amministrazione; anche se questa evoluzione può talora essere fonte di inefficienza e purtroppo di corruzione. Col crescere della complessità della vita economica, aumenta anche l'esigenza di beni "lato sensu" pubblici, il concetto di pubblico si riferisce alla natura e destinazione dei beni non a chi li procura o gestisce». «In ogni caso gli sviluppi ricordati sono avvenuti in parallelo con l'espansione continua e sostenuta delle economie. Sono beni forniti su base collettiva dallo Stato, che è il primo agente e garante per il soddisfacimento di tali esigenze, da altri enti pubblici, da associazioni anche private». «I Paesi dell'Europa continentale hanno in genere una struttura di spesa pubblica non dissimile da quella italiana, con un rapporto al reddito nazionale della stessa spesa in molti casi anche superiore. Il sistema delle entrate pubbliche e previdenziali, tuttavia, è in questi Paesi meglio adeguato a far fronte a quei livelli di spesa». «Un altro aspetto della presenza pubblica nell'economia è costituito dalla proprietà di imprese e banche da parte di fondazioni o dello stesso Stato. La presenza pubblica in questi casi è talora impropria e può essere fonte di distorsioni. Il Regno Unito si è mosso al riguardo con decisione nel senso della privatizzazione, potendosi avvalere peraltro di un mercato finanziario più ampio e meglio organizzato di quello italiano. Mi pare che anche l'Italia si stia incamminando in quella direzione. Non si tratta di compiere azioni selvagge, ma di avviarsi verso soluzioni razionali che siano per il bene di tutti e non solo di moda, o emotive, o magari a vantaggio solo di alcuni, o di pochi gruppi». Sembrerebbe che una eventuale ripresa economica in Occidente non porti ad un riassorbimento della disoccupazione. E' possibile contrastare questo fenomeno con soluzioni che non siano «stataliste» o neo-dirigiste? «La soluzione di breve periodo uno o due anni - al problema della disoccupazione in Italia e in Europa, passa necessariamente attraverso una ripresa della domanda globale macroeconomica, partendo dagli investimenti. Il ritmo degli investimenti, sia privati che pubblici, è in forte flessione anche in altri sistemi economici fuori dell'Europa. In Italia la spesa in infrastrutture sembra sia sensibilmente rallentata a causa dei problemi connessi con la corruzione. Va ricordato che la nostra dotazione di capitale pubblico è in molti settori carente e si noti che ci sono investimenti in beni pubblici che possono essere gestiti con finanziamenti in gran parte privati». «E' necessario rendere operativa la nuova legge sugli appalti per incidere rapidamente sugli investimenti, lungo direzioni che siano di effettiva utilità anche strutturale». «Per quanto riguarda il più lungo orizzonte temporale, il pieno impiego delle forze di lavoro, del capitale umano, non deve - ma più fondamentalmente non può - essere affidato al settore pubblico. La soluzione riposa sulle capacità delle imprese di aprirsi nuovi varchi in vecchi e nuovi mercati, di creare e sperimentare nuovi prodotti. Lo sviluppo può essere affidato solo a un sistema imprenditoriale valido, avente visioni strategiche e innovative di lungo periodo». L'economia del Mezzogiorno è sempre stata collegata al sistema economico del Nord. E' possibile contemplare come fa la Lega un'ipotesi di sviluppo meno legata al Nord e più proiettato verso il Mediterraneo? Oppure minerebbe di per sé l'unità del Paese? «E' più che naturale che l'econo¬ mia del Mezzogiorno sia strettamente integrata in primo luogo con l'economia italiana nel suo complesso, ' alla quale cede la maggior parte dei beni che è in grado di produrre in eccesso alle proprie esigenze; dal Centro-Nord importa poi la maggior parte dei beni e servizi di cui ha bisogno e che non è in grado di produrre. Nel complesso acquista dal Nord molto più di quanto è in grado di vendere e a tal fine importa risparmio. La parte più prospera del Paese ha comunque interesse ad esportare direttamente o indirettamente risparmio verso il Mezzogiorno, anche al fine di garantire uno sbocco ai propri prodotti». «L'economia del Mezzogiorno negli ultimi 30 anni ha sostanzialmente "seguito" l'economia del Centro-Nord, crescendo, come il resto del Paese, senza ridurre, quindi, le distanze». «Ciò che è necessario - e si manifestano molti sintomi interessanti al riguardo - è che il Mezzogiorno trovi una propria capacità endogena di sviluppo, fornendo sempre più prodotti al mercato nazionale; ma altresì a quei mercati esteri per i quali non fa molta differenza la localizzazione geografica. Esiste certamente un interesse a volgersi verso aree vicine geograficamente che, però, va detto, sono più povere di potere d'acquisto». «La capacità di sviluppo può giovarsi di una opportuna flessibilità del costo del lavoro (non le vecchie gabbie salariali che non ho mai pensato di riproporre) che adegui meglio il costo del lavoro alla più bassa produttività e che può trovare corrispondenza nel minor costo della vita e nella maggióre disponibilità di forze di lavoro giovanili nel Mezzogiorno. In questa parte del Paese la disoccupazione si avvicina a un quinto delle forze di lavoro e, tra i giovani, solo uno su due trova lavoro». «Una immissione di queste forze nel processo produttivo è anche un investimento per il futuro di tutta la società italiana». «Da parte del settore pubblico, abbandonando i vecchi incentivi o almeno meglio graduandoli, occorre concentrare lo sforzo sulle infrastrutture; in primo luogo quelle civili, quali l'acqua potabile e i trasporti interni; quindi in forme più elevate di sistemi di comunicazione per le zone del Mezzogiorno più sviluppate; infine, in infrastrutture urbane. Alcuni di questi investimenti pur essendo pubblici per loro natura possono venire affidati m gestione a privati e quindi non ricadere necessariamente sulle finanze pubbliche». «Va notato che tutto ciò è coerente con l'attuale tendenza al decentramento politico-amministrativo; è richiesta però una efficiente funzionalità delle amministrazioni locali a tutti i livelli». La Banca d'Italia è in prima linea nel portare avanti il processo d'integrazione europea. Lei pensa che l'Italia si stia dotando degli strumenti necessari per adeguarsi ai Paesi più forti in seno all'Unione? «Il capitolo più rilevante e più urgente della politica economica da affrontare, nel processo di adeguamento della nostra economia alla configurazione che si vuole che assuma l'economia dell'Europa, riguarda la finanza pubblica. Ho ricordato più sopra alcuni dati relativi ai bilanci pubblici nei grandi Paesi industriali». «L'equilibrio dei conti pubblici, la qualità della spesa, la funzionalità delle amministrazioni e i com- portamenti dei dipendenti sono tutti fattori essenziali ai fini dell'efficienza e dello sviluppo dell'intera economia. Da un punto di vista macroeconomico sono stati di recente compiuti progressi rilevanti in alcuni settori. Occorrerà un approfondimento, ma rimangono problemi rilevanti per le pensioni, la sanità, gli investimenti pubblici, il sistema fiscale». «Tutti i bilanci pubblici hanno presentato in Europa nell'ultimo mm m co o, triennio un sensibile deterioramento; l'aumento dei disavanzi è in parte di natura congiunturale e sarà agevolmente riassorbito con la ripresa dell'economia». «Ma vi sono anche aspetti strutturali nel deterioramento del bilancio in alcuni importanti Paesi. In Italia, partendo da una situazione peggiore della media, sono stati compiuti, in controtendenza rispetto agli altri, sensibili progressi. Il disavanzo rimane sensibilmente più alto rispetto alla media europea, ma occorre anche tener conto che nel nostro Paese il tasso di risparmio privato è molto più elevato». Le economie nei Paesi capitalisti più avanzati esprimono il meglio di quanto questo sistema possa dare, o ci possiamo attendere di più? «Mi pare che in questo momento i sistemi occidentali non stiano esprimendo il meglio di sé dal punto di vista economico». «La disoccupazione è in forte aumento con gravi disagi soprattutto per i cittadini, per le famiglie, per i giovani, ma anche per le imprese che vedono diminuire le vendite; con preoccupazione per 0 futuro». «La forte spesa pubblica, rigida rispetto al ciclo economico, impedisce attualmente un peggioramento della produzione che possa farci ripetere le espeirenze degli Aimi Trenta. Fu quella una grande crisi economica gravida di conseguenze politiche e sociali. Il sistema economico fa difficoltà ad uscire da solo dalla presente situazione. Per riprendere la via dello sviluppo sembrano necessarie, non solo opportune, appropriate e ben dosate azioni di politica economica. E' necessaria una ripresa degli investimenti sia privati che pubblici. Senza investimenti non si esce dalla depressione». Secondo lei il falhmento del sistema economico ad Est è stato provocato principalmente dal fatto che era un sistema esclusivamente basato su rapporti di produzione (un sistema «ateo»). Nel rigetto talvolta violento di quel sistema «ateo» lei intravede il pericolo che quei Paesi abbraccino un liberismo forse altrettanto arido e disgiunto dalla società? «I sistemi economici occidentali così come li conosciamo attualmente nelle loro manifestazioni più compiute, hanno una stretta interconnessione con un sistema di democrazia e di sovranità popolare, esercitata, quest'ultima, attraverso organi intermedi. Ciò mi porta a dire che l'attività economica e tutti gli altri aspetti fondamentali della vita civile sono verosimilmente manifestazione di una struttura di fondo della società, nella quale sono presenti i valori dell'individuo e della persona umana, una etica di correttezza e non di disonestà o di sopraffazione; più in generale un sistema di valori e di norme che trova espressione anche in una organizzazione giuridica e amministrativa». «Non è possibile che un'economia di mercato si sviluppi astraendo o addirittura in contrasto con questo substrato di valori fondamentali. Si noti che nell'analisi dei grandi teorici dell'economia, tra questi Adamo Smith, tali fondamenti erano sempre dati per scontati». «E' un dato di fatto che la cosiddetta organizzazione collettivistica della produzione connessa con una ideologia che "aboliva" esplicitamente i valori spirituali e morali non ha retto. Il sistema di proprietà collettiva era stato da sempre, ritenuto magari ideale, ma non praticabile; si ricordino la critica di Aristotele, nella Politica, e quella di Tommaso d'Aquino nel relativo commento a proposito della visione ideale "comunista" di Platone». «Si può pensare ad una organizzazione economica di tipo capitalistico, e che può essere efficiente, inserita in un sistema politico non democratico, che di fatto garantisca l'ordinato svolgersi delle attività produttive e commerciali. Ne esistono esempi nella storia recente e anche in quella attuale. Da un lato mi pare che in un tale contesto non può esistere mai un vero mercato concorrenziale; dall'altro queste organizzazioni sono in contrasto con la nostra visione della società. La competizione tra gruppi e individui deve sempre poter condurre alla ricerca e all'emergere delle soluzioni migliori, ma tutti debbono essere in grado di competere. Esiste però anche l'esasperazione dei rapporti di competizione e, specialmente in assenza di regole trasparenti e da tutti accettate, si può cadere in situazioni di conflitto aperto; possono allora venire infranti alcuni canoni fondamentalmente etici che sono alla base del funzionamento dell'economia, incidendo alla fine negativamente sullo stesso sistema economico (e non soltanto su quello)». «L'economia moderna - forse l'economia di sempre - è basata sulla divisione del lavoro. Occorre allora grande armonia e una forte intesa tra tutti i cittadini sui fini della società organizzata in Stato. Deve esistere accordo e rispetto delle regole anche a livello nazionale e internazionale». «L'uomo economico è soltanto una parte della realtà uomo - come lo è l'uomo fisico o biologico. Se la parte economica e l'utilitarismo materiale assurgono a livello di valori essoluti, entrando magari in contrasto con la parte superiore, spirituale, dell'uomo, si ha lo sbocco nell'economia collettivista da un lato, o nella giungla dei rapporti umani dall'altro. E le situazioni di conflitto sociale esasperato, di disuguaglianza, nuocciono anche all'economia». Tutti parlano di solidarietà. Lei ha spesso dichiarato che la solidarietà non è un valore a sé ma un elemento integrante di una sana politica economica. Che cosa intende dire? «La solidarietà, o se si vuole l'amicizia civile, o magari la Carità (non soltanto intesa come virtù teologale) trascendono il funzionamento dell'economia, attenendo piuttosto all'uso che si fa dei mezzi che l'economia ci mette a disposizione. «Userei il termine più preciso di giustizia distributiva, che attiene alla partecipazione, almeno in via di possibilità, di ogni cittadino ai frutti della vita associata, in particolare a quelli dell'economia». Oggi l'espressione «statalista» viene spesso usata in senso spregiativo. Come giudica questa interpretazione, lei che rimane un difensore del ruolo dello Stato nella conduzione della politica economica? «Se con l'espressione statalista ci si riferisce agli eccessi relativi agli interventi e alla presenza dello Stato nell'economia essa deve giustamente conservare un connotato negativo». «La vita economica, il buon funzionamento di un sistema economico, richiede la disponibihtà di beni pubblici quali le infrastrutture e i servizi pubblici necessari per le attività di produzione e scambio di beni oppure per la fruizione da parte dei cittadini di beni e servizi su base collettiva. Col crescere della complessità della vita economica la dotazione richiesta di tali beni è crescente. Si pensi poi alla necessità di una politica economica congiunturale o strutturale in quanto il mercato non sempre è in grado di risolvere, al meglio, tutti i problemi e di utilizzare pienamente le risorse disponibili. Lo Stato interviene allora nei momenti di grave crisi. Si pensi infine ai problemi della previdenza e a quelli della regolazione del credito». «Ritorno al concetto che l'attività economica per svolgersi correttamente ha bisogno di uno Stato che funzioni». «Esistono però gli accessi, gli abusi e gli interventi svolti in maniera impropria; in questi casi la presenza dello Stato distorce la migliore allocazione delle risorse ed influisce negativamente sull'attività economica». Da un punto di vista economico quale danno hanno arrecato al sistema italiano le forme di corruzione emerse in questi ultimi mesi? «Le rispondo, senza cambiare una virgola, con un testo che ho scritto e diffuso nel marzo del 1993 (prima della mia nomina a Governatore)». «Il danno più grave che le forme di corruzione, ora giudiziariamente perseguite, hanno arrecato all'economia italiana è costituito dalla interferenza che tali comportamenti hanno esercitato sul buon funzionamento di una economia concorrenziale. Oltre agli effetti di disincentivazione di una sana competizione, rimane una differenza, rilevante, tra il valore delle opere realizzate con criteri di favoritismo e corruttela e il valore di quelle che sarebbero state ottenute attraverso una spesa effettuata secondo criteri di efficienza e di economicità, scegliendo le soluzioni più valide». Quanto deve pesare l'etica nelle decisioni economiche? «L'etica è essenziale nelle grandi scelte politiche e sociali, anche se la composizione di fini, obiettivi e strumenti è aperta al dibattito. L'etica è presente, fondamentale, anche nella scelta dei mezzi. La giustizia distributiva, tra uomini, sul territorio, tra classi sociali e tra generazioni, va a pieno titolo considerata in questo contesto». «L'etica entra quindi nei rapporti di scambio che debbono svolgersi secondo regole corrette e trasparenti». «Essa è infine fondamentale per i comportamenti di coloro che gestiscono il potere politico e gh' interessi per conto di "altri"». JasGawronski «Le aziende hanno anche un ruolo culturale» Per superare la recessione occorrono più investimenti» «Costo-lavoro più flessibile per facilitare lo sviluppo» ROMA. Liberismo contro statalismo, capitalismo con o senza regole, rigore e inflazione: d'improvviso, nell'Italia che affronta il difficile passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica, sullo sfondo di una pesantissima congiuntura economica e una crisi delle ideologie senza precedenti, si discute di temi finora rimasti in ombra, o riservati agli specialisti. Ma davvero il futuro italiano può dipendere dalla scelta di culture, programmi e ricette contrapposti, e, almeno a un primo esame, incompatibili? E quale peso eserciterà, in un confronto così delicato, l'appello del Papa a conciliare le esigenze dello sviluppo con una società più umana? Abbiamo rivolto queste domande al Governatore della Banca d'Italia Antonio Fazio, che ha accettato di rilasciare al «La Stampa» la sua prima intervista. Fazio ci riceve nel suo ufficio di via Nazionale, dove le doppie finestre tengono lontani i rumori del traffico, ma anche tutti i brusii del pettegolezzo elettorale italiano. E la discussione parte proprio dall'interesse manifestato da Papa Wojtyla per le conseguenze delle scelte politiche ed economiche sui problemi sociali. Papa Giovanni Paolo Secondo, in una intervista al nostro giornale, ha avuto parole critiche verso la ricerca esasperata del profitto nell'economia. Condivide questa preoccupazione? E secondo lei quale dovrebbe essere l'obiettivo primario dell'impresa, fare profitti o, come sostiene anche l'Osservatore Romano, dare lavoro? Adamo Smith, teorico del capitalismo. Sotto, Tommaso d'Aquino p Jcapitalismo con o senza regole, ritalia che affronta il difficile pasbblica, sullo sfondo di una pesan crisi delle ideologie senza prece in ombra, o riservati agli speciadipendere dalla scelta di culture, lmeno a un primo esame, incomfronto così delicato, l'appello del uppo con una società più umana? Governatore della Banca d'Italia asciare al «La Stampa» la sua pri ufficio di via Nazionale, dove le mori del traffico, ma anche tutti i iano. E la discussione parte proa Wojtyla per le conseguenze delproblemi sociali. a intervista al nostro giornale, ha sasperata del profitto nell'econoe? e l'obiettivo primario dell'impree l'Osservatore Romano, dare la