Non era monarchico pensava alla storia di Sergio Romano

Non era monarchico pensava alla storia LA SUA STRATEGIA Non era monarchico pensava alla storia EE rivelazioni del conte di Parigi sui sentimenti monarchici e sulla tentazione restauratrice di De Gaulle furono in realtà, verso la metà degli Anni Sessanta, il segreto più noto e più diffusamente commentato della V Repubblica. Tutti sapevano che il generale incontrava occasionalmente il conte di Parigi, molti si chiedevano se egli non volesse concludere la sua carriera politica restituendo un trono agli Orléans e la Francia al suo re. Si diceva che egli non volesse passare alla storia come il primo presidente della V Repubblica. Voleva essere Carlo il Reggente, grande vicario della sede vacante, un cardinale laico prestato alla Repubblica per riscattare la patria dalla grande festa omicida di cui si era macchiata il 21 gennaio del 1793. Le voci appassionavano Parigi e contribuivano a delineare il ritratto in cui molti, soprattutto a sinistra, volevano credere: un ufficiale monarchico e cattolico, la quinta colonna della monarchia nel cuore delle istituzioni repubblicane, un uomo dell'Ancien Regime animato, negli anni della gioventù, da segrete simpatie per l'Action Frangaise, il movimento realista di Charles Maurras. Il ritratto non assomiglia alla realtà. Gli incontri e la corrispondenza di De Gaulle con il conte di Parigi rispondevano ad altre esigenze e motivazioni. Jean Tulard, autore di un'introduzione storica al volume ora pubblicato da Flammarion, ritiene che egli fosse «profondamente monarchico». Credo invece che egli fosse pragmaticamente repubblicano e che l'idea di restaurare la monarchia non gli sia mai passata seriamente per la testa. Aveva una grande ambizione: restaurare la Francia, restituirle il sentimento della continuità storica, gettare un ponte all'indietro attraverso i secoli e riconciliare i Capeti alla Repubblica con un grande patto nazionale di cui egli sarebbe stato l'ideatore e il notaio. Se dette qualche illusione al conte di Parigi lo fece senza malizia per meglio assiI curarsene la complicità. Nel | gran' grande disegno del generale le loro conversazioni e le loro lettere erano soltanto un gioco storico che si esauriva in se stesso. Incontrava il discendente di Luigi Filippo per dimostrare tangibilmente che lui, De Gaulle, aveva un rapporto privilegiato con la storia di Francia. Se il conte fosse stato sordo e vecchio, il generale gli avrebbe fatto visita all'Hotel-Dieu, di tanto in tanto, per raccontargli le grandi favole della storia di Francia da Ugo Capeto, fondatore della dinastia nel 987 d. C, a Charles il liberatore, difensore dell'indipendenza nazionale dai microfoni di Radio Londra il 10 giugno 1940. Dietro questa curiosa partita a scacchi che De Gaulle giocava con la storia leggo tuttavia in trasparenza il pensiero che dovette arrovellarlo soprattutto negli ultimi anni della sua vita politica: quello della successione. Aveva due grandi preoccupazioni: come uscire di scena, come assicurare la continuità delle istituzioni. Risolse il primo problema quando il risultato del referendum, nell'aprile del 1969, gli dette l'occasione per sgombrare l'Eliseo in meno di ventiquattro ore. Risolse il secondo quando decise, giustamente, di non occuparsene. A Colombey - les - Deux - Eglises, dove si ritirò per il suo ultimo esilio, non volle ricevere uomini politici, non volle dare la sensazione che era responsabile, sia pure indirettamente, di ciò che accadeva nel suo Paese. Fece eccezione per André Malraux a cui aveva segretamente affidato il compito cu «cantare» la V Repubblica. Malraux gli fece visita e pubblicò dopo la morte del generale un libro a cui dette per titolo un verso di Victor Hugo: Les chènes qu'on abat, le querce tagliate per il rogo di Ercole. Quando Carlo il liberatore lo sfogliò nel paradiso degli eroi decise con una punta di compiacimento che aveva fatto bene a non diventare reggente: il verso di un poeta e il ritratto di un grande intellettuale erano più efficaci, di fronte alla storia, dell'olio con cui i Capeti erano stati consacrati a Saint-Denis e a Reims. Sergio Romano ino^J