«Dal caldo ha ereditato la miseria»

IL DRAMMA DI UNA DONNA Il calciatore della Roma morì 25 anni fa. «Da allora lotto per sopravvivere» «Dal caldo ha ereditato la miseria» La vedova di Taccola: presto sarò senza casa IL DRAMMA DI UNA DONNA CALCI. La disperazione non ha tempo né età. E spesso neppure fine. E la voce di Marzia Taccola è dolente come la sera di 25 anni or sono quando le dissero che suo marito era morto. Così, senza una ragione, dopo una partita di calcio che non aveva giocato. Da quel momento, per lei, la vita è stata soltanto una strada tormentata e stretta. Fino all'ultimo capitolo, quello nel quale si racconta di uno sfratto, di uno sconforto, del futuro ormai buio. Giuliano Taccola era un eroe dei campi verdi, un centrattacco bravo che giocava nella Roma senza timidezze o pudori nel mostrare quel suo vizietto di fare gol: 10 nella stagione 67-68, già 7 in 12 partite nella successiva con la promessa di arrivare chissà dove in quella squadra allenata da Herrera. Allora Marzia aveva 22 anni e Mario Bianchini, il cronista sportivo che «La Stampa» aveva a Roma, la descrisse «giovane, bruna, sottile». Oggi non è cambiata molto, anche se dolore e contrarietà hanno lasciato tracce vistose sul volto grazioso. Si erano sposati sei anni avanti, lei appena diciassettenne, lui di anni ne aveva 19 e aveva anche una grande fiducia in se stesso, e in quei suoi piedi. Giocava nell'Alessandria «e la paga era bassa e incerta, come in tutte le squadre di serie C, allora». Non fu una marcia trionfale verso il successo, quella del centrattacco Taccola, piuttosto un cammino lungo, cosparso di sassi. A Varese dove ebbe un brutto incidente, poi a Chiavari nell'Entella, a Savona, infine il Genoa che era in B. Finalmente la Roma: era il 1967, regnante Franco Evangelisti. «Ebbe un contratto a gettone, tanto a partita». Per fortuna di gare ne fece 29 e fu un po' come decollare. «Ma conducevamo vita ritirata, i nostri amici erano Fabio Capello e il portiere Ginulfi». Erano già nati Giuliana e Gianluca. La stagione 1968-69 doveva essere quella della consacrazione, arrivavano i gol e dietro l'angolo, dicevano in molti, forse c'era la maglia azzurra. C'era stato un piccolo contrattempo, il 5 febbraio Giuliano aveva dovuto farsi operare alle tonsille. Ma, insomma, quel cielo era sereno. Morì alle 17 di domenica 16 marzo negli spogliatoi del nuovissimo stadio Sant'Elia. Non era stato della partita, finita 0-0, ebbe un malo re improvviso. Un'iniezione e i massaggio cardiaco furono inutili. «Da allora lotto, in 25 anni non ho avuto un lavoro, niente. Sì, promesse, tante promesse, la speranza di entrare al Coni, alla Federazione, al Banco di Roma. Mi dissero: fai domanda, ti assumeranno. E invece no. Avevo aperto un negozio di profumeria, a Pisa, un incendio ha distrutto magazzino e casa: 295 milioni di danni, da allora mia figlia soffre di anoressia per trauma da paura, così dicono i medici, ha perso il 71% dell'udito». Ma l'assicurazione? «Lui non l'aveva sulla vita. Soltanto quando saliva sull'aereo perché aveva | tanta paura. Alla Roma furono riconosciuti 200 milioni, ai miei figli ne furono dati 20 a testa, a me non spettava niente. Certo, la pensione: 2930 lire al mese, mi riconobbero, e mi hanno dato "una tantum" centottanta mila lire». Scriveva, dice, ai potenti del calcio, ma senza ottenere risposte. Aveva fatto anche una denuncia, per quella morte improvvisa e misteriosa, per quella iniezione. Senza successo. Si è rivolta anche a Milano, alla «procura di Tangentopoli». «Ho scritto a Save¬ rio Borrelli, ma non ho saputo niente». E così l'altro giorno ha mandato una lettera a due quotidiani sportivi: «Ci troviamo, io e mia figlia, nella necessità di vendere il quadro di Monachesi che tanti anni fa venne regalato a Giuliano». Quanto vale? «Non lo so, davvero». E poi, lo sfratto, ieri mattina: il brigadiere dei carabinieri Guglielmi e l'ufficiale giudiziario alle 9 si sono presentati in via XX Settembre 70, a Calci, l'ultimo rifugio. E lei con la figlia se n'è andata. Dove? «In una camera con uso cucina, a Pisa: 90 mila al giorno, potrò restarci una settimana». E poi? «Non lo so, sul serio». Nella lettera ha anche scritto che «per affrontare questa emergenza drammatica si potrà arrivare a vendere organi del nostro corpo». Una casa, di Rino Logli, sindaco di Calci, il Comune l'ha offerta, ma lei l'ha rifiutata. «Ma l'affitto è di un milione al mese, chi se lo può permettere?» protesta. E' vero, la figlia lavora alla Coop: un milione e 100 mila lire il suo stipendio. «Ma quanto mi potrebbero pagare, un rene?». [r. cri.] «Per pagare l'affitto io e mia figlia saremo costrette a vendere un rene» Giuliano Taccola in azione Era destinato a una brillante carriera da centravanti Taccola in ospedale assistito dalla moglie Venne operato di tonsille poco prima della misteriosa morte negli spogliatoi dello stadio di Cagliari

Luoghi citati: Cagliari, Chiavari, Entella, Milano, Pisa, Roma, Savona, Varese