lo, giudice, rimpiango quel verdetto obbligato

lo, giudice, rimpiango quel verdetto obbligato lo, giudice, rimpiango quel verdetto obbligato UN PRESIDENTE NELLA BUFERA CREMONA DAL NOSTRO INVIATO «E' più giusto che il giudice dia atto, con la sentenza, di una carenza normativa, oppure cerchi di rimediare con strumenti che non sono i suoi?». Roberto Mazzoncini, presidente del tribunale di Cremona, ha firmato il verdetto sul caso del bimbo nato con l'inseminazione artificiale e disconosciuto dal marito di sua madre. Ha qualche perla di sudore sulla fronte, il giudice, mentre parla di questa storia al confine tra il codice civile e la vita di un bambino. «Certo, queste sono cose che pesano sul cuore». Roberto Mazzoncini viene dal palazzo di giustizia di Brescia, ha quasi trent'anni di carriera sulle spalle. E adesso ha preso la decisione più sofferta. La sua scrivania è ingombra di giornali, e il telefono squilla spesso. La gente vuol sapere perché un bambino come M., secondo la legge, è assurdamente un figlio di nessuno. Cosa risponde, presidente? «I giudici parlano con le sentenze. Ma mi rendo conto che devono essere capite da tutti. In termini generali, il giudice civile deve applicare prima di tutto la legge vigente, e poi è condizionato dalle domande che gli rivolgono le parti in causa». Questo la gente lo capisce poco. «Ma noi rispondiamo ai quesiti che ci vengono posti. E' evidente che non possiamo andare oltre». Questa, però, è una causa in cui c'è di mezzo un bambino, una storia così particolare. «Sì, un caso molto umano, che tuttavia non è regolato da nessuna normativa. Il fatto è che l'inseminazione artificiale non è contemplata. Allora, chi deve decidere prende atto di quel che è scritto: l'ordinamento dà ad un uomo il diritto di disconoscere un bambino nato con quella pratica». Ma c'è qualcosa che possa tutelare, in una vicenda come questa, anche i diritti di una creatura, e di una madre? «Esiste una proposta di legge, che dovrebbe regolare le modalità del consenso all'inseminazione artificiale, stabilire formule precise di responsabilità. Qui, invece, il consenso fu dato soltanto verbalmente». Una legge rimasta nel cassetto delle proposte e, in sostanza, un vuoto legislativo in materia. «Proprio così. Tocca dire che il legislatore non si è occupato di questo problema. Un problema che mi sembra sia stato rimosso. Eppure, ci fu un caso analogo a questo, esa- minato dal tribunale di Roma il 30 aprile del '56. Sono passati 40 anni, e non s'è ancora fatto nulla». Qualcuno dice che voi giudici, nell'occuparvi di questa vicenda, avreste potuto dare una spinta innovativa. «Sì, rimproverano al tribunale di non aver fatto nessun passo avanti, nell'emettere questa sentenza, anche se sono cambiati i costumi, il modo di pensare. Io rispondo che il discorso può essere rovesciato, trovando in questo caso la dimo- strazione che il quadro legislativo è rimasto lo stesso. Ripeto: i giudici, oggi come allora, non hanno fatto altro che applicare la legge esistente. Ancora una volta, si pretende dalla magistratura un'attività di supplenza, che non può andare oltre certi limiti». Il legale della madre del bambino, comunque, parla di mancanza di coraggio. «Ma non si può andare a vedere nella nostra sentenza se c'è coraggio o no. Non è questo il discorso. C'è da dire, tra l'altro, che qui manca una casistica, se si eccettua quella causa di quarant'anni fa. Ma poi ci sono le implicazioni culturali e religiose, che finora hanno impedito di affrontare una questione tanto delicata. Cosa si crede? Anche i giudici del tribunale hanno sentito la sostanziale mancanza di tutela del minore». Infatti, chi paga di più, adesso, è questo bambino, protagonista di una storia assurda. «In questa causa, la tutela del bambino e della madre è stata prospettata sotto il profilo risarcitorio. Ma nel nostro sistema giuridico il diritto al risarcimento del danno, si sa, non può derivare altrimenti che da un fatto ingiusto. E questo tribunale ha ritenuto che il disconoscimento che veniva considerato come un diritto non potesse costituire un fatto ingiusto. Nè il fatto ingiusto poteva essere visto, in mancanza di una specifica normativa, nel consenso dato all'inseminazione». Questi i contenuti giuridici. Ma quel bambino che resta come un piccolo diseredato, senza un padre, con un altro cognome? Nemmeno la richiesta di conoscere il donatore del seme è stata accolta. «Quella è stata respinta per motivi tecnici: la domanda era inammissibile. Quindi, noi non abbiamo potuto farci niente». Presidente, forse in futuro qualcosa si potrà fare, per questo bambino e questa madre. Intanto, resta una sentenza amara. «Anche in noi, mi creda, resta l'amarezza». Giuliano Marchesini «Ci spiace per il piccolo Ma non c'è una norma che tuteli i suoi diritti» ':,:':-:::::.y;.:j'.-:'yy A sinistra Luciano Anselmi, l'operaio che ha chiesto al tribunale di Cremona di poter disconoscere il figlio nato con l'inseminazione artificiale Accanto, il centro di Cremona

Persone citate: Giuliano Marchesini, Luciano Anselmi, Roberto Mazzoncini

Luoghi citati: Brescia, Cremona, Roma