La madre: costretti a fuggire di G. M.
La madre: costretti a fuggire La madre: costretti a fuggire «Adesso non possiamo più vivere in questa città diventata ostile» CREMONA DAL NOSTRO INVIATO Lei s'è rifugiata nella villetta con il giardino davanti, al suo paese, a una decina di chilometri dalla città. L. P., la madre del bambino nato con l'inseminazione artificiale, fatica molto a parlare di questo figlio che suo marito non vuole più. La sentenza del tribunale pesa come un macigno. E lei ha persino paura di quel che si dice in giro, adesso che sanno tutti. «Sto addirittura pensando di andare a stare in un altro posto, lontano da qui». L. P. fa l'infermiera all'ospedale di Cremona, ma lavorare è difficile, in queste condizioni. Oia deve badare molto di più al bambino. «Ho avuto il tempo dice - di spiegargli sommariamente come stavano le cose. Ma il problema, adesso, è difenderlo dagli altri». Suo figlio, per ora, lo tiene a casa da scuola: potrebbe fargli molto male, teme, qualche frase che sfuggisse a qualcuno dei compagni. «Vedremo, in questi giorni, di prendere una decisione. Se non andremo via da Cremona, cercheremo almeno di mettere il bambino in un'altra scuola. Dovrà anche cambiare il cognome, prendere il mio. Un altro cognome sul registro di classe: un'altra cosa che non so come prenderebbero, gli altri alunni». L'ex marito, L. P. non vuole più vederlo. Lui dice che quel bambino lo ha conosciuto soltanto attraverso le foto. Un distacco che raggela, il suo: «Cosa potrei dire a un bambino che per me è un estraneo? E poi, chissà come reagirei, chissà come lui mi guarderebbe, che cosa gli avranno raccontato di me. Da quando è nato, io sono tagliato fuori». Con la sentenza del tribunale in mano, quest'uomo dice che adesso si sente «libero». Il legale di L. P., avvocato Alfeo Garini, è anche sindaco di Cremona, ha condotto questa causa come una lunga battaglia. «Non so - dice - se a questo punto presenteremo appello. Dobbiamo parlarne, io e la signora. Certo, il bambino va tutelato, deve crescere come tutti gli altri. Da una parte c'è di mezzo la sua tranquillità, dall'altra c'è l'interesse di tutti i bambini che potrebbero trovarsi nella stessa situazione. Questi i motivi che ci indurrebbero a ricorrere in appello». Conservare al piccolo il cognome attuale, osserva l'avvocato Garini, sarà quasi impossibile. «Ma si può arrivare a un risultato: che l'ex marito della signora venga dichiarato padre putativo. In questo caso avrebbe una certa responsabilità, dal punto di vista economico». Forse ci sarà un'altra battaglia, in difesa di questo bambino, forse non si chiuderà presto una storia tanto inquietante. Il legale di L. P. dice che, comunque, per uscire da questa angoscia lei dovrebbe «rifarsi una famiglia», adesso che il tribunale ha accolto la richiesta di annullamento del matrimonio. Ma lei per ora non ci pensa, a mettersi insieme con qualcuno. Deve badare al bambino, consumare il suo tempo nel difenderlo. Anche da quelli che lo chiamano «figlio della provetta». L'ex marito di L. P. dice che ama i bambini. «E' per questo che ho accettato quell'esperienza, del donatore di seme. Io e la mia ex moglie eravamo carichi di fiducia. Ma poi è andata diversamente». Com'è andata, lo spiega con rancore: «Da quando lei è rimasta incinta, il rapporto tra lei e sua madre si è fatto sempre più stretto. E per me non c'è stato più spazio. Io pensavo che con la nascita del bambino saremmo stati una famiglia. Invece non è stato così». Ripete: «Io sono stato tagliato fuori». E di nuovo si fa risentito: «Era come se lei e sua madre avessero tirato su un muro. Non perdevano occasione per ricordarmi che quel figlio non è mio, che io non avevo fatto niente. Peggio ancora, dicevano che non ero stato capace di far niente. Come marito è stato terribile, come uomo è stato umiliante. Come padre non lo so, perché padre non lo sono mai stato». [g. m.]
Persone citate: Alfeo Garini, Garini, L. P.
Luoghi citati: Cremona
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