Rissa sulle molestie all'Università di Francesco Santini
Il rettore della Sapienza respinge le accuse: «Non ci sono prove, si vuole solo infangare il nome dell'ateneo» Il rettore della Sapienza respinge le accuse: «Non ci sono prove, si vuole solo infangare il nome dell'ateneo» Rissa sulle molestie all'Università Le ragazze: «Ecco i nomi dei docenti che ci ricattano» SCANDALO IN FACOLTÀ' MROMA OLESTIE sessuali all'università di Roma: Giorgio Tecce, il rettore, è inferocito. «E' una vergogna - dice si vuole infangare il buon nome della Sapienza. Il caso Levi Montalcini e l'assegnazione del Nobel: siamo lì, stessi metodi, stessi attacchi alle istituzioni, nel clima preelettorale. Tocca all'università di Roma: un'accusa tanto grave senza una prova, senza un nome, senza una denuncia. Fuori dall'aula delle lauree quelle del Telefono rosa». La conferenza stampa su quaranta casi di corteggiamenti e ricatti, di pacche sul sedere e di inviti a cena già schedati dalle studentesse del Telefono Rosa si sposta nel disordine di telecamere e cavi, di flash impazziti e di microfoni aperti in direzione dell'aula quarta della facoltà di Lettere. Giorgio Tecce minaccia denunce per chi osi diffamare il buon nome del più affollato ateneo italiano ma il caso è esploso, la caccia aperta, l'identikit pronto. C'è, nel mirino di un femminismo nuovo e agguerrito, un docente di Scienze politiche. L'accusa, per lui che invita a cena le alunne più carine, è quella, infamante, di proporre testi e bibliografie sul divano di uno studio periferico, in un palazzone della Salaria, in direzione di Settebagni, verso Castelgiubileo. Ad una biondina, timida e incerta, avrebbe proposto di fare l'amore in cambio di una tesi di laurea. Circola anche un nome, ma nessuno riesce a sapere chi sia. In segreteria non risulterebbe tra le iscritte ma qualcuno dice che abiterebbe in Trastevere. Ad un'altra che ha lo sguardo sempre stupito e un naso gobbo e bellissimo lo stesso docente avrebbe detto con chiarezza: «Per preparare la tesi con me, dovrai essere sempre molto carina». Le avrebbe accarezzato il volto, preso la mano e a lei che si rifiutava avrebbe spiegato: «Ci sono prezzi che vanno pagati, impara a vivere». Serena Sapegno, ricercatrice di lettura italiana alla Sapienza di Roma, è esterrefatta: «Ecco che cosa accade nel tempio della cultura romana. E ciò che più è grave è che avances ed insidie confondono le idee a ragazze di vent'anni: impareranno soltanto ad andare avanti nella vita professionale o scientifica con metodi e meriti inadeguati. Se questo è il tempio, ma lasciamo stare». Nell'aula IV della Sapienza c'è il clima disordinato e assembleare del pre Sessantotto. Interventi scoordinati, dibattiti improvvisati, il tono duro dei circoli femmmisti. Ma si respira, con l'odio per il maschio, anche l'aria diversa di quante sono intervenute perché toccate dal problema. Un vecchio professore scalmanato si passa in fretta col pettine unto un riporto biondastro. Dà della «fascista» ad una femminista senza garbo e grida: «E' l'ora di fare nomi e cognomi: basta col silenzio di chi ha paura. E' toccato a mia figlia. Un professore ha allungato le mani e lei ha dovuto cambiare relatore, ha scelto una donna». L'uomo anziano che grida si chiama Rocco D'Antona. Lo trattano come uno scemo. Lui reagisce e si agita dinanzi alle teleca¬ mere. Adesso interviene Francesco Sparò. Giovane, barba curata, è nel Consiglio d'amministrazione dell'Ateneo. Rappresenta gli studenti. Suggerisce: «Nessuna delazione, ma almeno una lettera, un esposto al Senato accademico». Lo mettono a tacere e lui, stanco, ribatte: «Non si può pretendere il coraggio da chi non lo ha». C'è Giuliana Dal Pozzo, 65 an- ni, presidente di Telefono Rosa, che tenta di moderare e spiegare: «Nomi e denunce non mancheranno. Il telefono e le sue operatrici aiuteranno a far emergere la violenza sommersa che le studentesse romane non sono più disposte a tollerare». C'è chi propone un libro bianco e chi se la prende col professore che a lezione di procedura ama ripetere «Vis grata puellae». C'è smarrimento. «La forza piace alla ragazza?», traduce qualcuno. Una femminista invecchiata corregge: «La violenza non piace alle donne». Ovidio, Catullo? Nessuno risponde. Alcuni s'allontanano. La caccia al professore di Scienze politiche è cominciata. Il rettore Tecce accomuna il caso Levi Montalcini alle diffamazioni sull'ateneo e riceve un applauso da chi partecipa alla presentazione del sistema informatico bibliotecario. Per i professori che ricattano sessualmente le laureande il rettorato annuncia «un'indagine volta ad un approfondimento del problema». Tecce, infine, ammette infastidito: «Non escludo che anche qui ci sia qualcuno con le mani lunghe». E di rimando, la femminista Elvira Banotti: «Il Rettore non è all'altezza dell'intelligenza delle studentesse. Due anni fa abbiamo denunciato pubblicamente la funzione prostitutoria del professor Carotenuto». Francesco Santini Secondo le studentesse ci sono stati almeno 40 casi di minacce dai professori Sopra Giorgio Tecce, rettore dell'Università «La Sapienza» Da sinistra Giuliana Dal Pozzo e Gabriella Moscatelli di Telefono rosa
Luoghi citati: Roma
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