Due milioni per l'hockeista morto

Aosta, il pm: abbiamo capito che non voleva ammazzarlo, era uno scontro di gioco Aosta, il pm: abbiamo capito che non voleva ammazzarlo, era uno scontro di gioco Due milioni per l'hockeista morto \Jimmy Boni condannato a pagare una multa AOSTA DAL NOSTRO INVIATO Ha avuto ragione, Jimmy Boni. Forse ha vinto anche l'hockey, ieri mattina, in quest'aula di tribunale troppo piccola per raccogliere una storia così grande, ha vinto anche l'hockey con le sue leggi dure per uomini duri. Magari ha vinto lo sport, perché alla fine è come se il suo tempio non fosse stato violato. E Miran Schrott? «Mi dispiace per Miran. Io continuo a dire che ero lì quella sera, in quel momento, ma che non c'entro del tutto. Ero lì, come poteva esserci chiunque altro». Miran Schrott cadde colpito da un bastone durante una partita e morì. Era il 14 gennaio del 1992 e adesso possiamo raccontarla così, questa storia. Dovremo raccontarla così anche al babbo di Miran, un falegname disperato che trattiene a stento lacrime di rabbia al telefono: «A questo punto, mio figlio è morto per niente, e non l'hanno nemmeno rispettato nella bara. Quella di oggi non è una sentenza, è una vergogna. Che non può finire qui. Uno che gioca a hockey da oggi ha la licenza per uccidere. Povero sport italiano. Io posso solo sperare in un'altra giustizia: verrà un giorno per tutti la vera giustizia». Jimmy Boni ha le spalle larghe e le gambe storte, i radi capelli biondi e le basette strette e lunghe. In aula davanti ai giudici sta seduto con qualche impaccio, come se quella sedia gli scottasse. E quando il presidente Domenico Cuzzola legge la sentenza, fissa gli occhi per terra come per cercare un punto dove nascondersi dagli sguardi degli altri, dalle telecamere che lo scrutano da vicino, dai giornalisti che lo circondano, dai tifosi che applaudiranno quando tutto sarà finito. Due milioni e spiccioli di multa, fedina penale intatta perché la sentenza non supera i tre mesi. Delitto derubricato da omicidio preterintenzionale (avrebbe rischiato minimo dieci anni) a omicidio colposo (nove mesi da patteggiare), come aveva chiesto l'avvocato di Boni, Vittorio Chiusano. Tutti d'accordo, accusa e difesa. E' la legge dello sport, può piacere o no. Ma è anche per una volta la legge degli uomini, che si ferma come impotente di fronte al Grande Evento sportivo, alle sue regole e ai suoi sbarramenti. Ed è in fondo lo stesso pubblico ministero, Franco Schiavone, che lo ammette parlando ai giudici, per spiegare il suo cambiamento di rotta: «C'è stata una serie di novità dal momento in cui questo capo d'imputazione è stato redatto. Il risarcimento dei danni, la rinuncia alla parte civile della famiglia. Ma anche la nostra conoscenza di questo sport. Noi purtroppo in Italia conosciamo solo il calcio. Abbiamo dovuto conoscere l'hockey, e allora abbiamo capito meglio quello che era successo». Perché lo scontro fra Boni e Schrott è avvenuto «all'interno di un'azione di gioco»: è il nodo della vicenda. L'hockey non è il calcio, tutto ciò che avviene in campo appartiene al gioco. E poi, «l'hockey è uno sport dove c'è una maggiore violenza fisica, dove i colpi di bastone sono qualcosa di normale, dove la velocità è la caratteristica principale. Inoltre, se riguardate le immagini dell'incidente, vedrete che nessuno interviene, che nessuno dei compagni di Schrott reagisce. Abbiamo capito che questo accade perché quello era uno scontro normale». Così, Schiavone sposa la tesi dell'avvocato Chiusano che aveva chiesto la derubricazione del reato: «Io non nego che il colpo di bastone dato da Boni abbia ucciso Schrott. Ma non era dato per ammazzare». E nello sport, come riconosce una sentenza della Cassazione, «c'è il consenso dell'avente diritto». Significa che quando una persona accetta di praticare uno sport pericoloso ne accetta anche le eventuali conseguenze. Nell'hockey, poi, «la violenza è prevista in certi casi addirittura dal regolamento». Ma non basta, aggiunge Chiusano: come risulta dalla cartella sportiva Boni è uno dei giocatori più corretti del campionato. E una prova, eseguita in un'Università del Canada (un fantoccio di compensato colpito 10 volte con una mazza) ha dimostrato che quel colpo non poteva uccidere. Perché morì Schrott, allora? «Perché era malato, era stato riformato alla visita militare perché epilettico. Pochi giorni prima della partita ebbe un attacco e fu soccorso dai compagni di squadra». Detto questo, anche Chiusano sottolinea come lo scontro fosse avvenuto in un'azione di gioco. E Schiavone conferma: «Abbiamo riguardato tante volte le tristi immagini di quell'incidente. Abbiamo osservato i due atleti negli occhi. E se lo farete anche voi, scoprirete che tutt'e due sono solo preoccupati di seguire l'azione e che non badano nemmeno ai colpi che si stanno dando. Ciò dimostra che tutto fa parte del gioco. E alla fine siamo arrivati alle conclusioni di Chiusano, possiamo considerare questo come omicidio colposo». Parte da queste premesse, la storica sentenza di ieri, nel primo processo per omicidio nella storia dello sport italiano. Mentre l'attende, Jimmy Boni sembra teso, non ancora convinto: «Stanno parlando di hockey persone che hanno visto un filmato e mezza partita. Come faccio ad avere fiducia? Ci hanno messo due anni per capire che si trattava di un'azione di gioco, e io continuavo a ripeterlo dall'inizio. Pensateci bene: sono stato trattato come un delinquente. Ma com'è possibile l'omicidio preterintenzionale in un campo da gioco?». Poi arriva il verdetto. Una multa (25 mila lire al giorno al posto dei tre mesi di condanna) e Boni adesso si rilassa: «E' finita. Per me significa la libertà. Solo questo riesco a dire». E l'hockey? «L'hockey mi piace, è la mia vita, lo gioco da quando avevo 6 anni». Pausa. «Spero di trovare la voglia di continuare». Ressa. Urla un tifoso: «Bravo Jimmy, torna in campo!». Anche questo è lo sport. Pierangelo Sa pegno I tifosi in aula applaudono il giocatore «Mi hanno trattato come un delinquente Dopo due anni si sono resi conto che non sono un assassino» Un momento del processo celebrato ieri ad Aosta: Jimmy Boni è seduto a fianco del suo avvocato, Vittorio Chiusano

Luoghi citati: Aosta, Canada, Italia