Tiene in ostaggio l'aeroporto per un'Ora

«Voglio sapere chi è la mia vera madre» I II capo della Digos l'ha convinto alla resa Torino, era armato con una pistola giocattolo: l'assalto copiato dalla trama di un film Tiene in ostaggio l'aeroporto per un'Ora Giovane sequestra 5 controllori di volo TORINO.Per un'ora ha tenuto in pugno l'aeroporto di Caselle. Armato di una pistola giocattolo, ha mobilitato 50 persone, tra Digos, polizia aeroportuale, due squadre speciali antiterrorismo, tiratori scelti. Alla fine è stato costretto a rinunciare ai suoi piani, al suo sogno di diventare para: «voglio pistole, fucili, una tuta da volo», aveva scritto in un biglietto. Si è consegnato in lacrime al questore Carlo Ferrigno e al capo della Digos Giovanni Sarto. Ora è in carcere, accusato di sequestro di persona, minacce, interruzione di pubblico servizio. Si chiama Antonio Ronzana, perito aeronautico, licenza di pilota privato, gli amici di scuola lo chiamano «Zanzy», oppure «Steve»: 22 anni, nato a Cernusco sul Naviglio da una famiglia originaria di Cancellare, provincia dì Potenza. Da poco più di un anno abita a Nizza Monferrato, via Monte Grappa 3. Attualmente sotto leva, in attesa dell'esito di una visita medica: forse lo avrebbero rispedito a casa, non sopportava la vita di caserma Disoccupato, con una grande passione per il volo, gli aerei, il paracadutismo. E anche per la torre di controllo, dove si è rinchiuso tenendo in ostaggio i 5 controllori di volo. L'avventura di Antonio si è iniziata intorno alle 16. Giubbotto verde, pullover fucsia, ha suonato alla porta d'ingresso della nuova torre di controllo, in fondo all'aeroporto. Nessun problema per arrivarci: Antonio, come allievo della Lindbergh Flying School di Torino, (scuola privata dove si è diplomato nel '92, dopo aver conseguito la licenza di pilota privato), conosce perfettamente lo scalo, vi si è recato un sacco di volte per le lezioni teoriche. Racconta il preside Gianfranco Bellovino: «Un bravo ragazzo, con il mito dei para, 15 giorni fa mi ha detto che ce l'aveva fatta. Ma io avevo saputo che non si era più presentato in caserma, dopo un ricovero all'ospedale militare. Forse lo avevano congedato». Ieri Antonio ha suonato alla torre: «Ciao, sono della Lindbergh, devo portare un libro ad un amico. Già che ci sono, mi fate vedere la nuova torre?». Scatta il pulsante, si apre la porta. Errore gravissimo: il regolamento non permette l'ingresso di estranei in uffici strategici come la torre. Antonio sale al terzo piano, si affaccia nel salone a vetri che dà sulla pista. Sembra che nessuno dei controllori lo conoscesse, però nessuno ha sospettato di quel ragazzo. Hanno iniziato a chiacchierare, Antonio ha seguito con attenzione il lavoro dei controllori dietro alla consolle, che gli spiegavano: «vedi, adesso diamo l'ok per questo volo...». Poi In cose sono cambiate, di colpo. Antonio stava impugnando una pistola PKK, l'imitazione di una Walter di fabbricazione tedesca, a cui ha tolto il tappo rosso. Gli altri sono rimasti a bocca aperta. «Ma che cosa fai?». Lui ha farfugliato qualcosa: «Voglio conoscere la mia madre, quella vera, non quella adottiva». Gli ha consegnato due fogli a quadretti, le sue richieste. Era nervosissimo, nessuno ha osato muoversi, parlare. Lui si è messo con le spalle verso la vetrata. La pistola spianata. Dopo qualche minuto, uno dei cinque è riuscito a piazzarsi davanti ai vetri, e a cenni, ha segnalato che lassù stava succedendo qualcosa di grave. Qualcuno, da terra, ha notato quei segnali. E' scattato l'allarme. Ore 17,40: l'aeroporto si è mobilitato, i servizi di sicurezza sono entrati in azione. Lo stato di allarme, dal posto di polizia è rimbalzato alla questura centrale. Massima allerta: le volanti di rinforzo sono arrivate dopo un quarto d'ora, a sirene spente. Nessuno sapeva esattamente quale era la situazione sulla torre, 15 metri più su. E nessuno, dei passeggeri in attesa di partire, si è accorto di nulla. Ma nel frattempo il direttore dello scalo, dottor Federico, aveva chiuso la pista. Tre aerei (per Napoli, Catania e Roma) sono stati bloccati, e il volo dell'Air France è stato tenuto mezz'ora in «circolo» sulla città. Gli ostaggi, intanto hanno cercato di farlo parlare, Antonio, per capire le sue intenzioni. Ma lui se ne stava lì, in mano la pistola, ripetendo che cercava la madre. Alle 18 il dirigente della Digos Giovanni Sarto ha preso l'unica decisione che c'era da prendere: salire sulla torre, che nel frattempo era stata circondata dai 12 tiratori scelti delle squadre speciali della questura. Ha bussato alla porta, si è affacciato. Antonio gli ha chiesto: «Chi sei?». Risposta: «Sono un poliziotto». E l'altro: «Se vuoi entrare, devi dimostrarmi chi sei. Fammi vedere il tesserino». Sarlo gli ha sporto il distintivo. Poi si è disarmato, si è anche levato la giacca, in maniche di camicia si è fatto avanti. Nel frattempo anche il questore Ferrigno saliva le scale della torre. Anche per lui, stessa trafila: tessera, niente armi, niente giacca. Un'occhiata, e i due dirigenti hanno capito che la pistola non poteva essere vera. E allora gli sono andati incontro, gli hanno parlato. «Ti prometto che se fai il bravo nessuno ti toccherà, e io ti porterò nel mio ufficio», ha detto il questore. L'altro ha iniziato a balbettare, «ho dei problemi, non mi sento tanto bene, e la mia fidanzata mi ha anche lasciato, 4 mesi fa. Non so più cosa fare». Ore 18,40: si è arreso, è scoppiato a piangere, ha consegnato l'arma, la fondina che aveva a tracolla, alcuni proiettili a salve. I tre sono scesi a terra. Fine della paura. I tre voli sono partiti, mezz'ora di ritardo. Il Parigi-Torino ha potuto atterrare. Antonio, la faccia sconvolta, è stato caricato su una macchina del capo della Squadra mobile Aldo Faraoni, e trasportato a sirene spiegate in questura. Ferrigno è stato di parola. Antonio Ronzana ha trascorso il primo quarto d'ora nel suo studio, poi è stato trasferito in un altro ufficio, dove lo attendeva il sostituto procuratore Teresa Benvenuto, che ha iniziato ad interrogarlo. Con sé, Antonio aveva una lettera sigillata con lo scotch, «è il mio testamento, ero pronto a tutto, anche a morire». Ma con sé aveva anche due foglietti di bloc notes. Lì aveva scritto le sue richieste, che non ha fatto in tempo a divulgare: «Voglio fucili, pistole, e una tuta da volo». E ancora: «Faccio parte di un commando, anzi, di 5 commando». E poi c'era la sua storia: «Sto facendo il militare nella Folgore», ma questo è ancora da accertare. Un servizio militare problematico, problemi a non finire, episodi di nonnismo, una tragedia. E poi la vita privata: «Voglio sapere chi è la mia vera madre, non quella che mi ha adottato. Io ho diritto di sapere». Brunella Giovara Marco Vagì ietti «Voglio sapere chi è la mia vera madre» II capo della Digos l'ha convinto alla resa I l^lliiliij tifili! qe. Massima allerta: le volanti di rinforzo sono arrivate dopo un quarto d'ora, a sirene spente. Alle 18 il dirigente della Digos Giovanni Sarto ha preso l'unica decisione che c'era da prendere: ,,giacca. Un'occhiata, e i due dirigenti hanno capito che la pistola non poteva essere vera. E allora ogha potuto atterrare. 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Di fianco a sinistra il particolare della torre di controllo e a destra come si presenta al suo interno