«Sisde Scalfaro non c'entra» di Giovanni Bianconi

i giudici considerano «legittima la disponibilità di fondi riservati ai Servi2i per fini istituzionali» i giudici considerano «legittima la disponibilità di fondi riservati ai Servi2i per fini istituzionali» «Sisde, Scalfaro non c'entra» La procura: su Mancino altre indagini ROMA. Scalfaro non c'entra, su Mancino bisogna indagare ancora. Lo scandalo dei «fondi neri» del Sisde ha ripreso quota, e la Procura di Roma è costretta a sfornare comunicati e decisioni a getto continuo. Ieri mattina - nelle stesse ore in cui era in ballo la decisione sul caso Craxi-D'Alema - il procuratore Vittorio Mele ha diffuso un comunicato per allontanare dal Quirinale le ombre di cui parlavano i titoli di alcuni giornali; nel pomeriggio - dopo una riunione tra Mele, gli aggiunti Coirò e Torri e i sostituti Galasso e Frisani - è arrivato l'annuncio della richiesta di ulteriori indagini e accertamenti al tribunale dei ministri sul ministro dell'Interno Mancino, inquisito per favoreggiamento: per il ministro si profila, tra l'altro, un confronto con l'ex capo del Sisde Malpica. Due decisioni che si fanno nascere nuovi interrogativi e, forse, altre polemiche. Nel comunicato su Scalfaro il nome del presidente della Repubblica non viene fatto, ma i riferimenti a lui sono evidenti quando la Procura, «in relazione alla pubblicazione reiterata di notizie provenienti da dichiarazioni degli imputati di peculato del fondi del Sisde, comunica che l'ufficio ritiene legittima la disponibilità di fondi riservati del Sisde da parte dei ministri dell'Interno per l'im- piego a fini istituzionali». Ma gli ex-cassieri del Sisde Timpano e Locci - quelli che hanno parlato delle buste da 100 milioni al mese, andate avanti fino a metà del 1987 - non sono indagati bensì testimoni; e la destinazione e l'uso di quei soldi non sembrano ancora del tutto chiari. Peraltro, visto che su Scalfaro la Procura ha deciso di non indagare perché il capo dello Stato non è «processabile», nessun accertamento è stato fatto sui soldi che - secondo Malpica, Broccoletti e soci - sarebbero finiti anche al capo dello Stato. Per Mancino, invece, si è scelta la strada di prendere ancora tempo. La delicatezza di una decisione su un ministro dell'Interno indagato, del quale si sta discutendo la ricandidatura alle elezioni, angustiava da giorni i magistrati della Procura. E ieri, tra la richiesta di archiviazione e quella di andare avanti nella procedura per il rinvio a giudizio, con la domanda di autorizzazione al Senato, ha prevalso la soluzione intermedia: ulteriori accertamenti. Una soluzione che lascia comunque il ministro «sulla graticola», cioè sotto in¬ chiesta. Il motivo ufficiale della decisione va ricercato nell'inserimento dell'altro ex-direttore del Sisde Alessandro Voci nell'elenco delle persone che devono passare il vaglio del tribunale dei ministri, nel voler considerare la posizione di Mancino collegata a quella degli altri indagati di favoreggiamento, e nella necessità di procedere ad altri accertamenti. Primo fra tutti quello per capire chi dice il vero e chi dice il falso tra Mancino e Malpica. L'ex capo del servizio segreto tuttora agli arresti, infatti, sostiene che il ministro dell'Interno era al corrente della falsa versione data dai funzionari del Sisde sui «fondi neri» trovati su alcuni conti correnti della banca Carimonte. Anzi, Malpica racconta: «Ricordo che lo stesso ministro Mancino mi telefonò dicendomi che era la soluzione migliore, che i cinque funzionari sarebbero stati arrestati, ma se avessero tenuta ferma la versione con dei buoni avvocati se la sarebbero cavata». Mancino ha negato, anche davanti al tribunale dei ministri, questa telefonata, e ades- so i giudici della Procura chiedono un «faccia a faccia» per tentare di capire chi dice la verità e chi mente. Quello tra il ministro dell'Interno e l'ex direttore del Sisde potrebbe non essere l'unico confronto, nei prossimi giorni uno dei sostituti procuratori delegati all'inchiesta dovrà indicare quali altri atti istruttori chiedere. Alcuni riguarderanno il prefetto Alessandro Voci, uno dei punti di svolta dell'inchiesta sui «fondi neri». Fui proprio lui, infatti, a «confessare» che, su insistenza di Malpica e Finocchiaro (successore di Voci alla guida del Sisde), era stata concordata la falsa versione dei conti bancari «coperti». In un primo momento però la Procura non aveva inserito Voci tra gli indagati per favoreggiamento perché si riteneva che essendo inquisito per peculato, non poteva essere accusato di aver favorito se stesso. Adesso, dopo aver esaminato gli atti istruttori fatti dal «collegio per i reati ministeriali», Mele e gli altri magistrati ritengono invece che i due episodi siano scollegati, e che quindi anche Voci debba seguire il destino di Mancino, Parisi, Finocchiaro e Lauro. Un destino che, da oggi, ritorna nelle mani del tribunale dei ministri. Giovanni Bianconi il presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro

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