I misteri della cisterna nella vecchia Cittadella

Costruita nel '500 e dimenticata, ora si può salvare Costruita nel '500 e dimenticata, ora si può salvare I misteri della cisterna nella vecchia Cittadella Uno dei più prestigiosi simboli della tradizione militare di Torino, un monumento di cui restava solamente il ricordo nei trattati di ingegneria militare e di storia, ma che si credeva irrimediabilmente perduto, torna alla luce: è la maestosa cisterna che per secoli contribuì a rendere autosufficiente e inespugnabile la Cittadella voluta da Emanuele Filiberto di Savoia a difesa della capitale. Scomparve nel 1893, quando la città incautamente spianò le sue ultime vestigia. Per più di un secolo si è pensato che la Cisterna fosse andata perduta. Non è così. Il generale Guido Amoretti, colui che nel 1958 scoprì nelle gallerie della Cittadella la scala dove si sacrificò Pietro Micca, ha identificato in via Valfrè, nel cortile della scuola Riccardi di Netro, a 32 metri dall'ingresso della caserma dei Carabinieri Pietro Micca, il punto dove si trova ancora sotto terra la storica cisterna. La scoperta è stata fatta grazie a rilevamenti compiuti nel 1893 dall'ingegnere Riccardo Brayda. Costretto dal Comune a spianare la cisterna, ne riconobbe l'eccezionale valore e preferì sigillarla. Poi affidò le mappe per ritrovarla al figlio Carlo «affinché - dice Amoretti - le rendesse note non appena la città fosse in grado di apprezzare i propri beni storici». Carlo Brayda 1*11 giugno 1968 passò i documenti ad Amoretti, pregandolo di renderli noti non appena lo ritenesse opportuno. «Il momento è giunto. Nei prossimi giorni chiederemo alle Soprintendenze di darci ogni appoggio per riportare alla luce la cisterna». Venne progettata dall'architetto Francesco Paciotto da Urbino e costruita nel 1570 da Stefano Somasso da Lugano. Larga 20 metri, è profonda 23. Il pozzo centrale, di 12 metri di diametro, pescava in una fonte che poteva essere raggiunta con un'ingegnosa doppia rampa a chiocciola, larga 4 metri. E' simile a quella del pozzo di San Patrizio di Orvieto, ma è più grande. Permetteva di condurre all'abbeverata senza interruzione interi reparti di cavalleria, incolonnati a due a due. Chi scendeva da una delle chiocciole non incrociava chi risaliva dall'altra. L'ingresso era in un edificio circolare, a doppio colonnato, poi ricostruito in forme barocche quando una polveriera esplose nel 1698. La cisterna rimase operativa fino al 1799, quando il generale russo Suvarov fece riempire il pozzo con i corpi dei soldati napoleonici suoi nemici. La rampa a chiocciola fu invece accessibile fino al 1893, quando Brayda ebbe l'ordine di spianare l'area. «Brayda - ricorda Amoretti - fece di tutto per convincere il Comune a risparmiare quanto rimaneva della Cittadella, lottizzata da una triste operazione immobiliare, quasi una Tangentopoli d'allora. Non lo ascoltarono, ma riuscì a salvare dai demolitori almeno il Mastio. Per la cisterna. fece quanto era in suo potere per consentire ai posteri almeno un ripensamento». E' dunque ancora intatta? «Ne sono certo» dice Amoretti. «Non ho solo le carte di Brayda, ma anche la mappa tracciata da un anziano che da ragazzo vide 10 spianamento dell'area. Era il signor Biagio Prato, nato nel 1883. Lo conobbi nel 1959». Da giovane si recava spesso a vedere le manovre militari nell'area antistante la caserma di via Valfrè. La zona era cintata, ma quando vennero i demolitori Prato riuscì a entrarvi e a infilarsi nella cisterna. «Mi disse che scese lungo una rampa elicoidale. E per convincermi tracciò un disegno che indica piccole gallerie cieche che si irradiavano dalla rampa. Gli antichi testi le citano, ma Prato non poteva conoscerli. Non c'erano mappe ufficiali, perché quelle gallerie dovevano rimanere segrete. All'occorrenza avrebbero dovuto ospitare prigionieri, oppure rifornimenti di riserva. Così, nel caso il nemico avesse conquistato la Cittadella, la cisterna avrebbe potuto trasformarsi in un'ultima ridotta di difesa, capace di resistere ad oltranza». Amoretti parla indicando i documenti di Brayda. Uno è un disegno inedito del '700, tracciato dall'antico «consegnatario delle Fabbriche Gavagno». Mostra ogni dettaglio. Anche l'ingresso barocco alla cisterna eretto dopo 11 1698. E' circolare, coperto di pietre scolpite a diamante, con un bel portale, affiancato da due scale. L'interno si apriva sulla voragine d'acqua, cinta da una cancellata in ferro battuto, con pulegge per i secchi. Brayda non è riuscito a salvare quell'edificio, ma grazie a lui forse rimane il gran pozzo con le rampe. «Esiste e lo vuoteremo» promette Amo • retti. Ne ha parlato con la Soprintendente ai beni archeologici Liliana Mercando e con l'archeologa Luisella Peyrani: «Amoretti sa il fatto suo» dice Peyrani. «Una volta trovata l'imboccatura della cisterna non sarà difficile scoprire ciò che ne rimane. I manufatti torinesi del Cinquecento non erano di gran qualità, ma il terreno poco acido dovrebbe averli preservati. La profondità non è un problema. Gli scavi dovranno procedere con cautela, specie se incontreranno resti umani. Bisognerà prima effettuare saggi, poi programmare le opere, complete di perizie statiche, e trovare i fondi per un grande scavo a cielo aperto». Maurizio Lupo J?rospectiva, interiore dei medefimo^ o Jù jrroftlo interiore con Jùa, j^qfondila,. 'ut LASTAMBft C i m .\\\ Jty I ti—,trriTi"n^ 0 : \ ì > § I Fr^i «Non homa anchun anzi10 spiansignor 1883. 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Luoghi citati: Lugano, Netro, Orvieto, Prato, Torino, Urbino