«Sanremo come il Leoncavallo»

Paolo Rossi all'inaugurazione del cabaret «Bolgia umana» dijannacci Paolo Rossi all'inaugurazione del cabaret «Bolgia umana» dijannacci «Sanremo come il Leoncavallo» Io canto, chi vuole ascolta MILANO DAL NOSTRO INVIATO Vigilia di Sanremo pensando ad altro, com'è giusto. A 59 anni portati con l'allegra malinconia di un quarantenne, Enzo Jannacci compie il grande salto che dovrebbe bloccarne lo spirito vagabondo da toumées, e inchiodarlo ora a diversi accordi, di responsabilità stanziali. L'altra sera, San Valentino, ha inaugurato «La bolgia umana», il suo locale di musica, cabaret fr scuola di cabaret, nonché ristorante, in una ex discoteca di via Santa Maria Segreta, nel cuore di Milano; per tener fede al nome, gl'inviti distribuiti sono stati così tanti, e tutti evidentemente onorati, da costringere ragazzi e arzilli vecchietti dixie a rimanere in piedi per ore, in una calca, appunto, infernale. Con l'aria spaesata, Umberto Eco ha compiuto una breve esplorazione ed è scappato, pensando di tornare in tempi più tranquilli; a loro agio nella bolgia tutti gli altri personaggi dello spettacolo venuti a salutare l'amico Enzo, in attesa, magari, di lavorare con lui: Leila Costa, Franco Cerri, Gianfranco Manfredi, Cochi Ponzoni, Gino & Michele, e soprattutto Paolo Rossi. Brevilineo com'è, nella confusione è stato il più difficile da individuare, e perciò anche il più libero nei movimenti. Ma ha finito per passare in cucina la maggior parte del tempo. «Certo che verrò qui, a fare qualcosa con Jannacci», ha poi spiegato il comico più ricercato d'Italia. Da quando si è scoperto che sarebbe andato a cantare con Jannacci «I soliti accordi», l'unica canzone apertamente politica del Festival, Paolo Rossi si è come smaterializzato: non essendo mai capitato in vita sua nella bolgia sanremese, ha annusato un'aria di vigilia un po' troppo aggressiva addosso a questa sua mattana artistica, ed è scappato in montagna con la compagna e madre della sua secondogenita, che non ha ancora due mesi di vita. Placcato ora al bancone della «Bolgia Umana», spiega fintoingenuo, spalancando gli occhioni azzurri: «Vado a Sanremo perché c'è Enzo Jannacci con me, naturalmente», ma poi si allarga: «Sanremo o il Leoncavallo, non cambia niente. Io vado a cantare, e chi vuole ascolta. Ne ho fatte tante in vita mia, anche il presentatore di strip tease, ma resto defilato. Cosa vuole che sia Sanremo?... Però ho visto che c'è da stare attenti, voi giornalisti prendete tutto sul serio. Mi hanno chiesto: "Perché vai a Sanremo?" e io naturalmente ho risposto: "Per vincere"; ho aggiunto che vado con Jannacci perché è vecchio. E mi hanno preso sul serio... Che debbo dire? Quando il Festival sarà finito, mentre tutti partiranno per cantare in tournée e vendere dischi, scomparirò in una sala prove che ho affittato a Milano, a inventare qualcosa di nuovo da mettere in scena». Sulla storia che sia poco di sim¬ :stra cantare a Sanremo si scalda e molto - anche Enzo Jannacci. E sbotta, senza tanti complimenti: «E' importante che la gente sappia che, fra gli scemi che ci vanno e una marea di scemi che a Sanremo non vogliono venire, ci rimettiamo tutti». In che senso? «In quello che se al Festival ci venissero Conte, Dalla, Guccini, Baglioni, De Gregori, saremmo conosciuti nel mondo per le belle canzoni che facciamo, e non per le canzoni di Nino D'Angelo». Ma nella sinistra sono tutti contrari all'entrismo sanremese, pochissimi hanno osato, fra i mostri sacri, sfidare questa specie di embargo mai proclamato ad alta voce. «E chissenefrega. L'ultima cosa che va a pensare, chi guarda il Festival, è proprio quella roba lì. Se tu fai una bella canzone, gradevole, satirica, che stia in piedi su degli argomenti importanti, allora ti guardano: sennò, cambiano canale. Io sono stato uno dei primi ad arrivarci, al Festival, con Gino Paoli; poi è venuto Zero, e ha fatto un pezzo molto bello. Il resto del ragionamento è: se uno va a fare "Attenti al lupo" con i balletti, allora può andare anche a cantare a Sanremo... Paolo Rossi se ne può strafregare, e se qualcuno gli dice qualcosa lui gli ride in faccia. In quanto a me, nessuno può permettersi di sindacare dove voglio andare a cantare io: se sbaglio ma è difficile - sbaglio per i fatti miei. Perché, allora, se ragioniamo in quel modo lì, siamo di fronte ad un fatto razziale». Già, finisce che a Sanremo sarete l'unica bandiera aperta della sinistra. «Se io devo essere una bandiera di fronte a un pubblico di Eurovisione, e faccio sentire una cosa che - musicalmente e di testo - è all'altezza, allora io sono più scemo di De Gregori (che tra l'altro amo come mio fratello)? Andiamoci anche, al Club Tenco; ma al Club Tenco non ci sono i finlandesi, che ci guardano e dicono: ma questi italiani sono ancora fermi a Fiorello? Perché noi siamo conosciuti grazie a gente così. Sono solo canzonette, è vero, ma alcune non sono solo canzonette: "La fo- tografia" non lo era affatto». L'altra sera al «Bolgia Umana», comunque, sembrava che Enzo Jannacci nella sua vita non avesse fatto altro che il gestore di locali notturni. Ringiovanito dall'esperienza nuova, camicia rosa che metteva in risalto l'argento dei capelli, il cantautore ha presentato i gruppi e i solisti che hanno popolato l'allegra inaugurazione. «E' un brutto segno, quando suona questa musica», diceva Paolo Rossi, alludendo al dixie scatenato dell'arzillissima Ticinum Jazz Band che apriva la serata: musica del tempo di depressione economica, e ora up to date. Jannacci poi ha cantato una «Scarp De Tennis» emozionante, in versione moviola, e una stralunata «Bartali»; lo accompagnava il figlio Paolo. Marinella Venegoni Enzo: «Se al Festival venissero i cantautori non saremmo più conosciuti solo per Fiorello» Paolo Rossi ed Enzo jannacci presenteranno al Festival di Sanremo «I soliti accordi», unica vera canzone politica