I PROFETI dell'epigramma
Il crollo della Prima Repubblica? Tutto previsto: in rima Il crollo della Prima Repubblica? Tutto previsto: in rima / PROFETI l OEdell'epigramm LTA poesia civile, quindi beffarda. Un lampo, un bersaglio - una vittima - e pochi versi come un unico sparo che non lascia eco. L'epigramma: un colpo secco. Così crudele e definitivo, a volte, da proiettarsi nel mondo oscuro della profezia. Così, adesso, uno legge questo uno-due di Alfonso Gatto - «Come metter le manette / alle favole sospette?» - e gli vengono in testa le rovine di Tangentopoli. Ripensa a Mario Chiesa, a come è cominciata e di nuovo: «La polizia ha sempre buon naso, / sbaglia per legge, indovina per caso». Ed eccoci qui. Tutto già previsto da Curzio Malaparte: «La Repubblica, ahimè, sta molto male: / ha già chiamato il prete al capezzale. / Or ch'è in punto di morte, al Padreterno / l'anima affida e sol nel Papa spera. / E credi che se muore andrà all'Inferno? / Credo che se non muore andrà in galera». Appunto. E' dunque un'antologia di civiche, profetiche revolverate, da Marziale alla fine della Prima Repubblica, quella che Gaio Fratini, anche lui strepitoso centometrista della poesia sotto i nove secondi, ha raccolto per la collana «Domino» della Vallardi, La rivolta delle muse. Epigrammi italiani. La sezione dedicata alla vita pubblica dell'Italia s'intitola I merli della Repubblica, come da altro, sconsolato epigramma malapartiano: «Questa sacra Repubblica pretina / dai muri nuovi, o almen pare a vederli, / non è che un vecchio castello in rovina, / di cui restano in piedi solo i merli». E non sarà consolante, ma da allora la rovina della Repubblica «pretina» è proseguita fino all'estremo limite, fino a un punto forse davvero terminale. Per cui oggi fanno un effetto agrodolce certi ritmici repertori di orrori: «Dorotei, serpenti, mostri, / porri, fave, bolli, inchiostri, / liste, abbracci, pianti, busti, / correntisti i più vetusti...» (Fratini). Quasi malinconiche certe figurine ormai estinte: «Sale sul palco Sua Eccellenza. / Esalta i valori della Resistenza. / S'inchina a Sua Eminenza» (Ennio Flaiano). L'Italia di Malaparte ormai sparita con quell'identità che pareva eterna: «La Repubblica, ad essere sinceri, / a un grande e bei cocomero somiglia: / è tonda è ver¬ de è bianca ed è vermiglia, / e i semi del cocomero son neri». L'Italia di Gatto che non c'è più: «Così vivono insieme in purgatorio / la falce il libro il sole e l'ostensorio». Suona perfino malinconica, ne La rivolta delle muse, l'autorappresentazione nazionale di Mario Tobino: «Sono un triste italiano / precipita l'allegria / come uragano. / Sono un cane italiano / che s'innamora ed è geloso, / un ladro, un ciarlatano». Ora è lo stesso concetto d'Italia, in discussione, la sua tenuta, la sua sopravvivenza. Ci si è arrivati per gradi, di misfatto in misfatto. Gli ultimi sono probabil- mente i peggiori: ignobili ruberie e rovesciamento di valori. Però l'epigramma era sempre lì, pronto all'agguato. E quei misfatti Fratini ce li restituisce con allegra ferocia. Lo scandalo della cooperazione, ad esempio (che tanta triste popolarità ha poi regalato ai poveri soldati italiani a Mogadiscio): «Roma, guardando alle somale inedie, / torte divide, moltiplica sedie / d'esperti in altrui pelli, scalpi, ossami / nel più cannibalesco dei reami». La stessa realtà stravolta, e per questo terribile, offre «l'inno - sempre di Fratini - dei cavalieri di Catania»: «Noi meschini! Se in tempi più feroci / i ladri s'appendevano alle croci. / Noi beati! Se in tempi più leggiadri / s'appendono le croci in petto ai ladri». E tuttavia, dagli antichi ammonimenti di Mino Maccari «Quei che un Ministro a visitar s'appresta / si tolga, oltre il cap¬ pello, anche la testa» - alle nevrotiche classificazioni Anni Settanta di Arbasino: «La ripresa del fox- / Trot è di / Sinistra / Nell'estate romana? è di sinistra / Il gelato di whisky? e i lamponi...»; dal sogno impossibile e irresistibile di Antonio Delfini sull'armatore Achille Lauro, monarchico fan di Umberto in esilio («Fossi Petrarca, / avessi Laura in barca, / col suo stile, / la metterei maschile: / a Lauro il carco / di Umberto l'imbarco!») al fulminante ritrattino onomatopeico che Fratini dedica al fisico di regime («In Suzuki Zichici a Moncalieri / l'Onda Verde scambiò per Buchi Neri»), ecco, ieri e oggi, dal principio alla fine della Prima Repubblica questo concentrato di poesia estrema, questo distillato di eleganza e di furore ha sempre saputo adattarsi, come ultima risorsa di veleno. Forse perché l'epigramma è più vecchio e - potenza delle antologie - più forte dei cicli storici che si esauriscono. Forse perché, nella sua essenzialità, coglie il nocciolo, l'immodificabile, il «sempre uguale». Impressionanti, almeno negli anni della Comunicazione (e un po' pure nei giorni di Penne pulite), questi versi di Alfieri: «Dare e tor quel che non s'ha, / è una nuova abilità. / Chi dà fama? /1 giornalisti. / Chi diffama? I giornalisti. / Chi s'infama? /1 giornalisti. / Ma chi sfama / i giornalisti? / Gli oziosi, ignoranti, invidi, tristi». Allo stesso modo sintomatico, proprio quando la campagna elettorale 1994 s'infuoca sul tema fiscale, rendersi conto che addirittura nei pressi della tomba di Cavour Antonio Baratta si permetteva di consigliare: «Passeggier, troppo vicino / a quest'urna non ti accosta. / Se si sveglia l'inquilino / paghi subito un'imposta». Per non dire della menzogna. E infatti, con il futurista Luciano Folgore: «Le bugie certamente / hanno le gambe corte / ma nell'età presente / corrono molto forte / specie lungo la via / della demagogia». Filippo Ceccarelli m Dai romani a Tangentopoli M tutti in un libro di Gaio Fratini Lauro, Zichichi, la Somalia e Chiesa Ce n'èper tutti LA STAMPA previsto: in rima TI ossi Petrarbarca, / col maschile: / i Umberto ante ritrathe Fratini me («In Sueri / l'Onda uchi Neri»), rincipio alla bblica quei tMERCOmM A lato, Curzio Malaparte; sotto, Gaio Fratini e Pier Paolo Pasolini; a sinistra, Antonino Zichic
Luoghi citati: Catania, Italia, Mogadiscio, Moncalieri, Penne, Roma, Somalia
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