Mogadiscio tutto come prima

Mogadiscio/ tutto come prima UN ANNO FA RESTORE HOPE Mogadiscio/ tutto come prima Riesplode la violenza mentre l'Onu se ne va MOGADISCIO. Mogadiscio, un anno dopo. Sono passati quattordici mesi dall'arrivo del contingente americano, i marines che hanno dato il via all'operazione «Restore hope», l'operazione militare più teletrasmessa nel mondo. Quel giorno, era l'8 dicembre 1992, a Mogadiscio c'era una strana atmosfera: le «tecniche» che scorrazzavano cariche di armati per le vie della capitale semidistrutta erano sparite, nascoste prudentemente nell'interno, nella boscaglia che circonda la città. Alle prime luci dell'alba la popolazione si era riversata sulle dune che dominano l'aeroporto, sul lungomare di Medina, su ogni altura, per assistere allo sbarco degli americani, uno spettacolo in cinemascope, degno della migliore regia hollywoodiana: enormi hovercraft, zatteroni, motoscafi facevano la spola tra le navi alla fonda e la costa, mentre sciami di elicotteri da combattimento giravano sulla città. C'era aria di festa, la guerra civile che per due anni aveva martoriato il Paese, riducendo la capitale a un mucchio di rovine, sembrava un ricordo lontano, da dimenticare. E' durato meno di una settimana questo clima gioioso, poi le cose hanno incominciato a deteriorarsi. Gli americani passavano veloci con i loro automezzi lungo le strade sotto gli occhi prima divertiti, poi indifferenti, alla fine ostili dei somali. Dalle radure incominciavano a tornare in città le bande di miliziani, con i loro mitra, i lanciarazzi, le bombe. Quando il 18 dicembre arrivano i soldati italiani, la situazione a Mogadiscio è di nuovo tesa, ostile. I nostri non perdono tempo, sbarcano al Porto Vecchio senza troppo clamore, prendono posizione nei punti prefissati. E incominciano a lavorare: distribuiscono viveri e generi di soccorso alla popolazione, aprono ambulatori medici, scortano le colonne di soccorso dirette verso l'interno. Ma, soprattutto, disarmano i miliziani. Nel settore della capitale controllato dal nostro contingente, quello settentrionale abitato dagli Abgal fedeli al presidente ad interim Ali Mandi, dopo un paio di settimane non si vedono più in giro uomini armati. Sparite le tecniche, confiscati mortai, lanciarazzi, mitragliatrici, armi di ogni tipo. Lo stesso accade a Johar, a Balad, a Jalalassi, a Buio Burti. Nel settore settentrionale della capitale la vita riprende ritmi quasi normali: riaprono i negozi, i mercati, addirittura un ristorante e un albergo. A Sud, invece, la tensione continua a salire. Ogni notte colpi di mortaio vengono sparati contro le postazioni dei caschi blu, poi c'è l'intervento degli elicotteri americani, il bombardamento degli arsenali del generale Aidid, l'agguato ai caschi blu pachistani, la ritorsione dei marines, tutta la lunga serie di scontri, un pesante tributo di sangue che coinvolge anche i nostri soldati, al check-point Pasta, poi al porto. E la guerra che sembrava finita, riprende. A un mese dalla partenza dei contingenti europei e di quello americano, Mogadiscio è tornata ad essere una città in prima linea. Ogni giorno si registrano violenti scontri, vere battaglie, fra miliziani dei clan avversari. Gli attacchi contro i caschi blu si sono intensificati, la città è in mano alle bande di morian che rapinano e uccidono. Bisogna girare con una scorta agguerrita, ma sovente non basta: gli stranieri, i gal (bianchi), sono il bersaglio preferito perché hanno dollari, macchine fotografiche, orologi. E se non hanno niente possono essere sequestrati: qualcuno pagherà per la loro liberazione. In quest'atmosfera incandescente il nostro contingente si prepara a lasciare il Paese: fra mille incognite e pericoli. Perché quelli che fino a ieri ci sono stati amici, oggi ci accusano di abbandonarli. Gli Abgal che abbiamo disarmato vogliono riavere le armi: sostengono (con ragione...) che nessuno ha disarmato gli Haberghedir del generale Aidid e adesso temono che dopo la nostra partenza saranno facile preda dei loro nemici perché non sono in grado di difendersi. A Mogadiscio, un anno dopo, tutto è come prima. Anzi, peggio, [f. for,]

Persone citate: Aidid, Pasta

Luoghi citati: Buio Burti, Medina, Mogadiscio