Primo round a Segni: via De Mita

Anche Martinazzoli acconsente a non ricandidare l'ex presidente della de Anche Martinazzoli acconsente a non ricandidare l'ex presidente della de Primo round a Segni; via De Mita Il Patto visterà le liste ROMA. L'accordo è fatto. Ma che fatica. Hanno rotto. Hanno siglato una tregua. Hanno litigato di nuovo. Si sono riappacificati. E alla fine, stremato, Mario Segni annuncia: «Andiamo avanti con convinzione. I risultati verranno, come sono venuti in passato nelle nostre disperate lotte referendarie». Il leader del Patto avrà la supervisione delle liste dove, assicura, «non vi saranno personaggi che hanno problemi aperti con la giustizia». Mancino e Mattarella si presenteranno nell'uninominale e la questione De Mita è risolta. Piazza del Gesù non 10 candiderà. Lui, naturalmente, l'ha presa male. «Decidi tu il da farsi», dice a Martinazzoli. E 11 suo non è propriamente un atto di sottomissione. Piuttosto, una sfida. E c'è chi non esclude che l'ex presidente de stia pensando di candidarsi per conto proprio. «Credo che voglia presentarsi con la lista autonoma di Paolo Del Mese», spiega il pattista Lugi Covatta. Però i demitiani di stretta osservanza smentiscono. La sorte di De Mita è stata decisa l'altro ieri sera. Il problema delle candidature di Mancino e Mattarella, invece, si è mostrato ben più spinoso. Il ministro dell'Interno non intende ragioni: «Se non mi presentate nell'uninominale non andrò nemmeno nel proporzionale», spiega a Martinazzoli. E anche il direttore del Popolo sembra restio a farsi mettere «in una lista di serie b». Ma i pattisti nicchiano. E in serata si sfiora nuovamente la rottura. Quando tutto sembra risolto. Colpa dei cronisti delle agenzie di stampa: nel pomeriggio, dal largo del Nazareno, annunciano che Mancino e Mattarella si candidano solo nel proporzionale. Apriti cielo. Una delegazione di ex de si trasferisce armi e bagagli nella sede dei pattisti per protestare. E Segni che ha convocato per le sei e mezza una conferenza stampa è costretto a far slittare di un'ora l'appuntamento. La si¬ tuazione si sblocca verso le sette, grazie a Martinazzoli. Che al telefono chiede al leader del Patto di non irrigidirsi. I tempi sono strettissimi e a Segni non resta altro che fare buon viso a cattivo gioco. Almeno per ora. Costretti a stare insieme. Malvolentieri. E' questo il destino di Segni e Martinazzoli. «Come marito e moglie che litigano per una questione di principio: su chi deve comandare», spiega Covatta. E infatti il tira e molla inizia in mattinata. Il segretario del partito popolare è ancora a Brescia. «Vi ricordate chi in piena guerra del Golfo, pescava nel Maine? Lui è fatto così: rappresenta la forza tran¬ quilla», lo giustifica il fedelissimo Michelangelo Agrusti. Dunque, Martinazzoli a piazza del Gesù non c'è. E Franco Marini, riunito con i coordinatori regionali, annuncia: «Siamo alla rottura». Segni infatti vuole, nell'ordine, la supervisione delle liste, più collegi per i suoi, l'esclusione di una ventina di candidati del partito popolare che risultano indagati. Pensa che ti ripensa lo stato maggiore del partito decide per un compromesso: un comitato ristretto vagherà le candidature e al leader del Patto spetterà una «valutazione complessiva». E su quell'aggettivo «complessiva» - che secondo gli ex de attenua il potere di Segni si dicutere per un'ora esatta. Il leader del Patto non rifiuta la mediazione. Però aspetta. «Non mi fido, all'ultimo momento il partito popolare potrebbe infilare nelle liste qualche nome strano. Voglio avere assicurazioni direttamente da Mino». Che gliele dà, per telefono, nel primo pomeriggio. Segni è soddisfatto e annuncia ai suoi: «Bisogna sbrigarsi, Martinazzoli ha accettato le mie proposte e la mia leadership». Nel frattempo, a largo del Nazareno arriva Pierluigi Castagnetti. Parla con Segni delle candidature spinose e si allontana soddisfatto preannunciando una dichiarazione del segretario. Che non è di quelle che fanno bene sperare: «Bisogna avere buona volontà da tutte due le parti - afferma infatti Martinazzoli -. Io ce l'ho, ma occorre che Segni non si faccia sobillare da qualche ex de arrabbiato che vuole fare una guerra che non c'è ad una de che non c'è più». La serata, come è noto, prosegue con un nuovo litigio, seguito dalla riappacificazione e dalla conferenza stampa di Segni. Ma, alla fine, chi ha vinto? «E' evidente che c'è un trionfatore e uno sconfitto, però il vincitore non è qui», sospira il pattista Guglielmo Castagnetti. Maria Teresa Meli Giornata convulsa con rotture e tregue «Nessun candidato che sia inquisito» A sinistra, Silvio Berlusconi con il presidente Scalfaro Sopra, Mino Martinazzoli

Luoghi citati: Brescia, Maine, Roma, Segni