Deficit, la Cee avvisa «C'è ancora da fare»

Deficit, la Cee avvisa «C'è ancora da fare» Deficit, la Cee avvisa «C'è ancora da fare» ROMA. La recessione non è finita, i suoi mali sono ancora tutti qui, insidiosi, pronti a soffocare sul nascere ogni germoglio di ripresa. Per questo l'Italia non deve allentare la tensione sulla strada del risanamento della finanza pubblica, e le imprese italiane - come del resto tutte quelle europee - non devono allentare l'impegno sul fronte della competitività per non essere surclassate dai concorrenti statunitensi e giapponesi, più avanti sulla via della ripresa. Questi due «segnali d'allarme» provengono da Bruxelles e precisamente dalla Commissione europea e dall'Unione delle confindustrie europee. L'Ue - che ieri ha riunito a Bruxelles il suo consiglio dei ministri economici e finanziari - apprezza l'opera di risanamento della finanza pub¬ blica svolta dal governo Ciampi. Ma il commissario Cee per gli affari finanziari Henning Christophersen, che per conto della Commissione segue la «salute» dei bilanci pubblici dei Dodici, ritiene che l'Italia debba fare ancora di più e che questo ulteriore passo avanti spetti al nuovo esecutivo che si insedierà dopo le elezioni. Tornando invece al «monito» della Confindustria, va detto che le esortazioni dell'associazione degli imprenditori italiani nascono da una serie di inquietanti rilevazioni statistiche. Negli ultimi venti anni - si legge nel più recente dei rapporti che periodicamente l'Unione delle Confindustrie invia al presidente della Cee Jacques Delors - la quota di esportazioni mondiali dell'Europa è calata dal 24% al 18%, la creazione di nuovi posti di lavoro è stata, su base annua, dello 0,4% contro l'I,8% degli Usa e l'l% del Giappone, mentre il tasso di disoccupazione Cee supera di una volta e mezzo quello degli Stati Uniti. Insomma se le imprese Cee non corrono immediatamente ai ripari verranno surclassate da quelle statunitensi e giapponesi che continueranno a conquistare fette di mercato, mentre per loro si ridurrà ulteriormente la profittabilità e l'occupazione insieme al livello del tenore di vita dei cittadini. Tra i fattori negativi nell'attuale situazione delle imprese europee vengono indicati la dinamica eccessiva del costo del lavoro per unità di prodotto nell'industria manifatturiera, la modesta reddditività del capita¬ le, 12% contro il 15% del Giappone e il 16% degli Stati Uniti, e soprattutto l'eccessivo peso del settore pubblico sul Pil che raggiunge il 49% in Europa contro il 37% degli Usa e il 32% del Giappone. Per superare questi punti di debolezza che però pesano come macigni sulla competitività delle imprese, è necessario, si legge nella lettera dall'industria, accrescere la flessibilità del mercato del lavoro europeo riducendo i costi «non salariali» soprattutto per i lavoratori meno pagati e per i giovani. Andrebbero inoltre introdotti nuovi contratti che consentano un'organizzazione del lavoro efficiente accentuando i differenziali restributivi in base alle differenze locali tra le varie realtà produttive. [r. e. s.]

Persone citate: Ciampi, Henning Christophersen, Jacques Delors