Lo ricorda Fersen, «il» discepolo

Lo ricorda Fersen, «il» discepolo Lo ricorda Fersen, «il» discepolo «Incarcerato più volte dal suo vecchio amico Mussolini » ~wT] ROMA I "UOMO che più di tutti I ha conosciuto Rensi in 1 i Italia, e ne tiene le chiaMÀ Ivi, è Alessandro Fersen. L'ottantatreenne regista - «uno fra i tre grandi del teatro italiano», come lo definì Silvio d'Amico, accanto a Visconti e Strehler - nasce in realtà filosofo, e alla filosofia è tornato, dopo decenni di esperienza in palcoscenico. «Io non sono un discepolo di Rensi come tanti ci dice, con orgoglio -: io sono il discepolo». Nato a Lodz, in Polonia-, venuto a Genova a pochi mesi, Fersen ha seguito il maestro non solo alle lezioni in Università, ma soprattutto negli incontri della domenica pomeriggio, che Rensi promuoveva nella casa di via Palestra. «Ci trovavamo lì verso le quattro, una ventina di persone, era un salotto antifascista. Ma nessuno ha mai interferito su quegli incontri. A volte venivano anche personaggi da fuori, come Luigi Einaudi con la moglie, Emanuele Sella (il nipote di Quintino). Rensi diceva poche parole, con il suo sorrisetto demoniaco. Ascoltava gli altri, mentre la moglie serviva delle torte. Poi mi faceva un segno, si ritirava con me nello studio: e lì parlavamo». Ogni tanto il maestro finiva in prigione. «Era il suo vecchio amico Mussolini che ce lo mandava, per tre mesi. E proprio in uno di quei periodi io ho dovuto dare la tesi di laurea, nel '34». La tesi, L'Universo come giuoco, uscì poi da Guanda nel 1936, fu il primo saggio in Europa su questo tema, anticipando di due anni Homo ludens di Huizinga. Ma alla di- scussione della tesi, invece di Rensi, c'era Barié, uomo di regime, in camicia nera. «E' successo il finimondo. Mi hanno accusato di anarchia, io credevo di uscire in manette». Fersen è poi passato per altre ricerche ma si riconosce sempre nel solco del maestro. «C'è una continuità sul piano irrazionalistico. Rensi era un temperamento che faceva tutte le esperienze, si poteva anche accusare di contraddittorietà. Si dichiarava scettico e ateista, due cose che non van- no d'accordo. Però poi ha scritto le Lettere spirituali, che erano religiose. La definizione più giusta è quella di scettico, aperto e chiuso a tutte le opzioni filosofiche e ontologiche. Le ha esaminate e sperimentate tutte». Che personaggio era, Rensi, umanamente? «Era un uomo rude, molto spicciativo, drastico, con due occhi azzurri inverosimili. Le sue lezioni erano molto superiori ai suoi libri. Erano un gioco dell'intelligenza, gli allievi ne uscivano estasiati». E dopo la morte di Rensi è toccato a Fersen continuare la sua opera. «La figlia Emilia mi ha dato l'incarico di redigere l'ultimo suo libro, La morale della pazzia, sulla base degli appunti che aveva preso in Università. Uscì da Guanda nel '42, con introduzione di "A. F.". Non avevo potuto firmarla, c'erano le leggi razziali». Due anni dopo «A. F.» era segretario del Cln ligure, indicato dai frequentatori del salotto Rensi: senza far parte di j alcun partito, nello spirito del j maestro. [g. e] Luigi Einaudi con la moglie «Quando andavano a trovarlo, ricorda Fersen, Rensi diceva poche parole, con il suo sorrisetto demoniaco»

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