Rensi la rivincita del demone

Morto isolato 53 anni fa, rilanciato da Sciascia: ora tutti lo riscoprono Morto isolato 53 anni fa, rilanciato da Sciascia: ora tutti lo riscoprono Rensi, la rivincita del «demone // filosofo che disse no a ogni potere SGENOVA ECONDO Piero Martinetti, che scriveva all'inizio degli Anni 40, GiuI seppe Rensi «è il solo dei filosofi italiani contemporanei che meriti di sopravvivere». Secondo Mario Dal Prà, che lo ricordava all'inizio degli Anni 90, è quello che più ci apre «spiragli e suggestioni del terzo millennio». Secondo Sciascia, che ha cominciato a leggerlo a 17 anni, è stato il maestro di tutta la vita. Secondo i filosofi dominanti nel suo tempo (e dopo) Rensi non doveva esistere. Croce lo definiva «un dilettante». Gentile, peggio, «un filosofo allegro che insegna a Genova, e salta e balla e fa sberleffi al pubblico, dimostrando oggi la verità e domani la falsità di ogni filosofia». La loro condanna ha pesato a lungo. «Ciò che è reale è irrazionale e ciò che è razionale è irreale», aveva scritto il filosofo che recuperava lo scetticismo greco: e questo era insop portabile, per gli idealisti di destra e di sinistra. Non poteva piacere né ai fascisti né agli hegeliani, né ai marxisti né ai cattolici. Poteva interessare solo gli eterodossi, amanti della ricerca fuori da ogni chiesa. Rensi riteneva di essere, nella filosofia, quello che era Pirandello nel teatro: e con ragione, riconoscono oggi gli studiosi. Con una differenza. «Il filosofo - dice Umberto Silva, che lo ha conosciuto bene - morì isolato, mentre il drammaturgo raccolse immensa ammirazione». «E che Paese è mai questo ha scritto Sciascia nel 1986 - in cui un'opera vastissima, ricca, pienamente rispondente all'inquietudine e al dolore dell'oggi, può essere del tutto dimenticata?». Ma qui si sbagliava. A 53 anni dalla morte, il filosofo veronese attrae sempre più adepti, il suo pensiero dirama alle nuove generazioni: con il suo dubbio tenace, la sua diffidenza sulle sicurezze della ragione, con il rifiuto di ogni dogma. E torna a circolare il motto «Etsi omnes, non ego» (anche se tutti sì, io no) che Rensi aveva voluto inciso sulla tomba, al cimitero di Staglieno. «Lo aveva ripreso dagli stoici, attraverso il vangelo», dice Renato Chiarenza, lo studioso che si dedica da anni al recupero dell'opera rensiana. Sono le stesse parole che un altro grande lettore di Rensi, Guido Morselli, aveva affisso dietro la sua scrivania: simbolo dell'anticonformismo, contro ogni parola d'ordine. I lettori di Rensi sono nascosti, una specie di setta clandestina, che un po' si fiutano fra loro e un po' si sfuggono, per ragioni di concorrenza. «Quando una libreria antiquaria, in qualsiasi città d'Italia, mette in listino un'opera di Rensi, bisogna correre a comprarla subito. Il giorno dopo non c'è più», dice Luigi Fenga, medico e scrittore, che si dedica a Rensi da decenni e ne è diventato uno fra i più fedeli interpreti. I segnali di interesse si moltiplicano, i fuochi si accendono qua e là, spontanei. Dopo l'articolo di Sciascia, e il rilancio fatto da Adelphi, il Corbaccio riprende in questi giorni uno dei suoi libri chiave, Autobiografia intellettuale, che contiene anche il Testamento filosofico. E la Fondazione Novaro di Genova pubblica, in coincidenza, L'inquieto esistere, una serie di importanti testimonianze raccolte tre anni fa in un convegno per il cinquantenario della morte. «Rensi è stato un maestro che ha formato generazioni di antifascisti», dice l'on. Alberto Bemporad, che frequentò la facoltà di Lettere a Genova negli Anni 30, quando il filosofo era ancora in cattedra; e ricorda bene la sua figura «con la barbetta mefistofelica», nelle aule di via Balbi. «Gli tolsero l'insegnamento nel 1934, perché non aveva prestato il giuramento fascista, lo ridussero a lavorare nella biblioteca universitaria. La biografia di Rensi è quella di un personaggio sempre dalla parte opposta al potere; fin dal 1898, quando dovette riparare a Lugano perché, giovane avvocato, aveva difeso a Milano le vittime di Bava Beccaris. E là, pochi anni dopo, si trovò a ospitare un giovane agitatore romagnolo, fuggito anche lui dall'Italia: si chiamava Benito Mussolini. Il futuro duce non gli sarebbe stato molto riconoscente per quell'aiuto. Nel 1930 lo mandò in prigione, con la moglie, «per cospirazione politica». «Adesso tocca un po' a loro ballare», avrebbe confidato a uno dei suoi. Ci riferisce l'episodio Carlo Cormagi, scrittore e filosofo, che fu uno fra gli ultimi allievi di Rensi, dopo la sua esclusione dall'Università. «Per un anno, nel 1935, sono andato a casa sua, a preparare l'esame di terza liceo. Era di una chiarezza incredibile. Non ho mai trovato nessuno che facesse capire i filosofi in così poche parole». Cormagi ha ben presente la casa di via Palestra 10, con le stanze tutte foderate di libri, e lo studio, dove gli scaffali erano sormontati da una grande striscia con citazioni in greco. E non dimentica, nemmeno lui, quello «sguardo un po' demoniaco, nel senso greco di daimon». «Era un vero sofferente: soffriva della verità perché la cercava. In fondo il suo pensiero si può condensare tutto in una frase: "Io non credo nella ragione, ma nelle ragioni". Lui viveva questo dramma: il desiderio della verità e la impossibilità critica di trovarla». L'uomo che, unico in Italia, aveva osato pubblicare una Apologia dell'ateismo, non cercava di influenzare l'allievo con le sue idee: «Non ha allevato solo atei, era troppo obiettivo. Non gli ho mai sentito una accentuazione polemica, nemmeno nella voce». Sui rapporti fra Rensi e la re- ligione si è discusso a lungo. Ernesto Buonaiuti, dopo la morto del filosofo, ci ha scritto un libro, «doveroso omaggio all'amico», che una delle figlie, Emilia, ha sempre respinto; sostenendo fra l'altro che l'autore non ebbe mai «rapporti confidenziali» col padre. Cormagi ha una testimonianza contraria. «Un giorno, mentre aspettavo la lezione, ho visto aprirsi la porta, ed entrare Buonaiuti, con un mazzo di rose per la signora. Era pericoloso allora incontrare Buonaiuti, scomunicato. Ma erano amici». Più delicata, in quella casa, la scelta dell'altra figlia, Algisa, insegnante di filosofia, che negli Anni 30 si è fatta suora. «E' andata in convento a pregare per il padre», dice Cormagi. Secondo molti seguaci di Ren- si, per il filosofo fu uno choc. «A me non risulta. Era un uomo così tollerante», ci dice Lazzaro Maria De Bernardis, giurista e letterato, allievo della figlia in liceo e del padre in università, amico di famiglia sempre. De Bernardis, che per molti anni rappresentò la de al Comune di Genova, è rimasto in corrispondenza con suor Rensi, oggi novantaquattrenne, ritirata in un convento della Romagna, dopo essere stata madre generale del suo Ordine. E ci ricorda che «fu proprio Rensi a suggerirmi di studiare Diritto ecclesiastico»: dove poi ha fatto carriera. L'autore dell'Apologia dell'ateismo conclude il suo testamento filosofico dichiarando di credere «se non nel dio, nel divino». Oggi sappiamo qualcosa in più. Uno studioso genovese, Stefano Verdino, ha trovato nelle carte di Rensi un frammento sul Cristo, scritto nell'ultimo anno. «Quando ti penso di fronte alle podestà che ti hanno perseguitato e schernito, torturato ed ucciso, mi inginocchio dinanzi a te e ti sento Nostro Signore... Ma in quanto ti veggo in mano precisamente di quelle medesime podestà contro cui tu insorgevi e che si sono impadronite di te... allora sol col rinnegarti, te, il tuo vero te, io riconosco e confesso». Rensi è morto a 70 anni, il 14 febbraio 1941, cinque giorni dopo il bombardamento navale di Genova. «Ci fu un errore diagnostico - dice il dottor Fenga . La bara uscì dall'ospedale Galliera senza nessuno al seguito. Il regime aveva proibito di prendere parte al funerale». Ma il filosofo si era vendicato in partenza di quel rifiuto, che per lui era un onore. «E' morto cantando», ricorda Cormagi. Un no anche di fronte alla morte, una uscita di scena che perfino Pirandello gli avrebbe invidiato. Giorgio Calcagno Croce lo giudicava «un dilettante», Gentile un guitto che «fa sberleffi» Il suo dramma: la ricerca della verità e l'impossibilità critica di trovarla prono ne e Giuseppe Rensi. Sulla sua tomba aveva fattincidere il motto: «omnes, no(anche se Leonardo Sciascia. A destra, Benedetto Croce e Guido Morselli, che si ispirava all'anticonformismo di Rensi Giuseppe Rensi. Sulla sua tomba aveva fatto incidere il motto: «Etsi omnes, non ego» (anche se tutti sì, io no)